L'ARMENO-VENETO 
 
   
    Compendio 
   
    Storico 
   
    e 
   
    documenti 
   
    delle 
   
    Relazioni 
   
    degli 
   
    armeni 
   
    coi 
   
    veneziani
 
   
    Primo 
   
    Periodo, 
   
    secoli 
   
    XIII-XIV
  
  
  
 
   
    A 
   
    meraviglia 
   
    nelle 
   
    istorie 
   
    del 
   
    mondo 
   
    l'incontrarsi 
   
    di 
   
    due 
   
    popoli, 
   
    stranieri 
   
    di 
   
    lingua 
   
    e 
   
    di 
   
    costumi; 
   
    e 
   
    tanto 
   
    maggiormente, 
   
    se 
   
    divisi 
   
    l'uno 
   
    dall'altro, 
   
    non 
   
    solamente 
   
    dalle 
   
    catene 
   
    de 
   
    monti 
   
    e 
   
    dai 
   
    mari, 
   
    ma 
   
    ancora 
   
    per 
   
    l'interposizione 
   
    di 
   
    parecchie 
   
    altre 
   
    genti , 
   
    più 
   
    vicine 
   
    bensi, 
   
    ma 
   
    con 
   
    le 
   
    quali 
   
    non 
   
    v'ebbero 
   
    relazioni 
   
    si 
   
    grandi 
   
    come 
   
    fra 
   
    que' 
   
    due 
   
    più 
   
    lontani . 
   
    Se 
   
    poi 
   
    alla 
   
    lon 
   
    tananza 
   
    dei 
   
    paesi 
   
    si 
   
    aggiunga 
   
    quella 
   
    dei 
   
    tempi , 
   
    e 
   
    si 
   
    ricordi 
   
    ancora 
   
    essere 
   
    l'origine 
   
    di 
   
    quasi 
   
    tutte 
   
    le 
   
    nazioni 
   
    avvolta 
   
    nelle 
   
    tenebre, 
   
    nè 
   
    si 
   
    possa 
   
    affissarvisi 
   
    come 
   
    sulla 
   
    realtà, 
   
    cið 
   
    nonostante 
   
    c'è 
   
    un 
   
    piacere 
   
    secreto 
   
    in 
   
    quelle 
   
    ombre 
   
    vaghe 
   
    della 
   
    tradizionementre 
   
    la 
   
    critica 
   
    severa 
   
    la 
   
    rigetta, 
   
    la 
   
    immaginazione 
   
    se 
   
    ne 
   
    com 
   
    piace, 
   
    non 
   
    dico 
   
    un'immaginazione 
   
    senza 
   
    freno, 
   
    ma 
   
    appoggiata 
   
    più 
   
    o 
   
    meno 
   
    alla 
   
    probabilità 
   
    o 
   
    alla 
   
    possibilità.
  
 
   
    Chi 
   
    spieghi 
   
    davanti 
   
    a 
   
    sè 
   
    una 
   
    carta 
   
    storica 
   
    -geografica 
   
    dell'Armenia, 
   
    due 
   
    cose 
   
    trova 
   
    offrirsi 
   
    alla 
   
    sua 
   
    riflessione: 
   
    prima, 
   
    l'antichità 
   
    del 
   
    paese, 
   
    vale 
   
    a 
   
    dire 
   
    del 
   
    popolo 
   
    armeno, 
   
    fino 
   
    dalle 
   
    origini 
   
    della 
   
    storia 
   
    autentica 
   
    cominciata 
   
    dal 
   
    diluvio : 
   
    ed 
   
    eccoci 
   
    additato 
   
    il 
   
    primo 
   
    punto 
   
    geografico 
   
    col 
   
    nome 
   
    di 
   
    Monte 
   
    Ararat, 
   
    sinonimo 
   
    d'Armenia , 
   
    nelle 
   
    sacre 
   
    Scritture ; 
   
    mentre 
   
    anche 
   
    la 
   
    storia 
   
    profana 
   
    alle 
   
    più 
   
    antiche 
   
    nazioni 
   
    accopia 
   
    quella 
   
    degli 
   
    Armeni. 
   
    Secondo 
   
    che, 
   
    per 
   
    quanto 
   
    si 
   
    ostinasse 
   
    a 
   
    restare 
   
    sopra 
   
    il 
   
    suolo 
   
    patrio, 
   
    non 
   
    poca 
   
    parte 
   
    della 
   
    nazione 
   
    Armena 
   
    si 
   
    trovi 
   
    oggi 
   
    dispersa 
   
    nei 
   
    paesi 
   
    stranieri, 
   
    vicini 
   
    e 
   
    lontani , 
   
    anche 
   
    lontanissimi ; 
   
    cosichè 
   
    si 
   
    può 
   
    chiamarla 
   
    cosmopolita 
   
    per 
   
    eccellenza. 
  
 
   
    Non 
   
    è 
   
    dunque 
   
    da 
   
    meravigliare 
   
    se 
   
    gli 
   
    Armeni 
   
    avessero 
   
    contratta 
   
    relazione 
   
    e 
   
    corrispondenza 
   
    coi 
   
    popoli 
   
    stranieri , 
   
    e 
   
    principalmente 
   
    con 
   
    quelli 
   
    più 
   
    ricchi 
   
    d'industrie 
   
    e 
   
    di 
   
    commerci; 
   
    essendo 
   
    stato 
   
    sempre 
   
    il 
   
    commercio 
   
    una 
   
    delle 
   
    principali 
   
    occupazioni 
   
    e 
   
    passione 
   
    degli 
   
    Armeni. 
  
 
   
    Scoprendo 
   
    il 
   
    velo 
   
    dei 
   
    primitivi 
   
    secoli 
   
    seinistorici, 
   
    e 
   
    volendo 
   
    lasciare 
   
    da 
   
    banda 
   
    altre 
   
    regioni 
   
    ed 
   
    altre 
   
    genti 
   
    della 
   
    terra, 
   
    sceglierne 
   
    una 
   
    ad 
   
    esempio 
   
    delle 
   
    relazioni 
   
    coll’Armenia, 
   
    ci 
   
    si 
   
    pre 
   
    senta 
   
    particolarmente 
   
    un 
   
    popolo 
   
    per 
   
    molti 
   
    riguardi 
   
    celebre 
   
    e 
   
    segna 
   
    lato 
   
    nel 
   
    medio 
   
    evo, 
   
    in 
   
    un 
   
    paese 
   
    non 
   
    meno 
   
    singolare 
   
    per 
   
    la 
   
    forma 
   
    zione, 
   
    che 
   
    per 
   
    la 
   
    sua 
   
    politica 
   
    e 
   
    per 
   
    l'industria : 
   
    una 
   
    delle 
   
    attuali 
   
    regioni 
   
    d'Italia, 
   
    non 
   
    ha 
   
    molto 
   
    indipendente: 
   
    la 
   
    Repubblica 
   
    di 
   
    Venezia. 
  
 
   
    Venezia 
   
    ed 
   
    Armenia 
   
    ! 
   
    Se 
   
    non 
   
    vi 
   
    è 
   
    comparazione, 
   
    c'è 
   
    correlazione. 
  
 
   
    Benchè 
   
    tutte 
   
    le 
   
    nazioni 
   
    sieno 
   
    coeve 
   
    per 
   
    la 
   
    origine, 
   
    si 
   
    repu 
   
    tano 
   
    antiche 
   
    o 
   
    moderne 
   
    per 
   
    la 
   
    storia, 
   
    ossia 
   
    per 
   
    la 
   
    loro 
   
    rivelazio 
   
    ne 
   
    nel 
   
    corso 
   
    dei 
   
    tempi : 
   
    per 
   
    questo 
   
    riguardo, 
   
    immenso 
   
    è 
   
    lo 
   
    spa 
   
    zio 
   
    fra 
   
    l'Armenia 
   
    e 
   
    Venezia, 
   
    e 
   
    si 
   
    può 
   
    dire 
   
    che 
   
    il 
   
    giorno 
   
    felice, 
   
    in 
   
    cui 
   
    Venezia 
   
    spuntava 
   
    dallo 
   
    splendido 
   
    seno 
   
    dell'Adriatico, 
   
    l'Armenia , 
   
    oramai 
   
    vetusta, 
   
    s 
   
    ' 
   
    immergeva 
   
    nelle 
   
    mobili 
   
    onde 
   
    de' 
   
    suoi 
   
    trenta 
   
    secoli, 
   
    durante 
   
    i 
   
    quali 
   
    aveva 
   
    compiuto 
   
    il 
   
    lungo 
   
    lavoro 
   
    del 
   
    la 
   
    sua 
   
    attività. 
   
    Accanto 
   
    alle 
   
    antichissime 
   
    nazioni 
   
    orientali , 
   
    l'Armenia 
   
    aveva 
   
    rappresentata 
   
    la 
   
    sua 
   
    parte 
   
    nel 
   
    teatro 
   
    mondiale ; 
   
    forza 
   
    era 
   
    si 
   
    curvasse 
   
    sotto 
   
    il 
   
    peso 
   
    dei 
   
    tempi : 
   
    venne 
   
    meno, 
   
    s'in 
   
    deboll, 
   
    passo, 
   
    ma 
   
    non 
   
    trapassò. 
  
 
   
    Chi 
   
    oserebbe 
   
    dire 
   
    che, 
   
    perdendo 
   
    la 
   
    indipendenza, 
   
    morisse 
   
    Venezia 
   
    ? 
   
    Dicasi 
   
    lo 
   
    stesso 
   
    per 
   
    l'Armenia , 
   
    benchè 
   
    in 
   
    proporzione 
   
    ineguale, 
   
    per 
   
    opera 
   
    della 
   
    sorte, 
   
    la 
   
    quale 
   
    con 
   
    leggi 
   
    non 
   
    eguali 
   
    governa 
   
    l’Asia 
   
    e 
   
    l'Europa. 
   
    La 
   
    perdita 
   
    dell'autonomia 
   
    non 
   
    è 
   
    la 
   
    perdita 
   
    dell'esistenza; 
   
    anzi 
   
    spesse 
   
    volte 
   
    sotto 
   
    le 
   
    percosse 
   
    della 
   
    fortuna 
   
    cresce 
   
    la 
   
    energia . 
   
    Dopo 
   
    un 
   
    grave 
   
    colpo 
   
    ch'ebbe, 
   
    l'Armenia 
   
    trovò 
   
    mezzo 
   
    di 
   
    salda 
   
    e 
   
    sincera 
   
    relazione 
   
    con 
   
    Venezia 
   
    nella 
   
    più 
   
    fiorente 
   
    età 
   
    di 
   
    questa : 
   
    e 
   
    con 
   
    che 
   
    dignità, 
   
    con 
   
    che 
   
    frutto, 
   
    lascio 
   
    giudicare 
   
    a 
   
    chi 
   
    abbia 
   
    la 
   
    curiosità 
   
    d'inoltrarsi 
   
    in 
   
    queste 
   
    pagine. 
   
    Ma 
   
    ci 
   
    si 
   
    permetta 
   
    intanto 
   
    di 
   
    rimuovere 
   
    un 
   
    poco 
   
    quel 
   
    misterioso 
   
    velo 
   
    dei 
   
    secoli 
   
    semistorici. 
  
 
   
    Abbiamo 
   
    accennato 
   
    all 
   
    ' 
   
    Armeno 
   
    come 
   
    comparso 
   
    sulle 
   
    prime 
   
    scene 
   
    della 
   
    storia ; 
   
    ci 
   
    conviene 
   
    indagare 
   
    la 
   
    culla, 
   
    ossia 
   
    il 
   
    primo 
   
    essere 
   
    del 
   
    Veneziano, 
   
    innanzi 
   
    alla 
   
    sua 
   
    mirabile 
   
    metamorfosi 
   
    in 
   
    quella 
   
    forma 
   
    singolare, 
   
    che 
   
    s'attirò 
   
    lo 
   
    sguardo 
   
    dell'Europa 
   
    e 
   
    del 
   
    l'Asia 
   
    dal 
   
    sesto 
   
    secolo 
   
    fino 
   
    al 
   
    decimottavo. 
   
    Rimontando 
   
    altrettanto 
   
    spazio 
   
    di 
   
    tempo 
   
    avanti 
   
    a 
   
    quella 
   
    rigenerazione 
   
    della 
   
    stirpe 
   
    veneta, 
   
    arriviamo 
   
    quasi 
   
    ai 
   
    giorni 
   
    eroici 
   
    della 
   
    guerra 
   
    troiana ; 
   
    ed 
   
    ecco 
   
    il 
   
    vecchio 
   
    poeta, 
   
    che 
   
    ringiovinisce 
   
    l'estro 
   
    dei 
   
    moderni , 
   
    Omero, 
   
    colla 
   
    magica 
   
    arte 
   
    svelarci 
   
    un 
   
    simulacro 
   
    dei 
   
    Veneti 
   
    collo 
   
    scambio, 
   
    o 
   
    il 
   
    nascondersi 
   
    d'una 
   
    sola 
   
    lettera 
   
    del 
   
    nome ; 
   
    poichè 
   
    egli 
   
    chiama 
   
    Heneti, 
   
    o 
   
    Eneti, 
   
    una 
   
    famiglia 
   
    o 
   
    tribù 
   
    di 
   
    Paflagoni,
    
     [1] 
   
    bravi 
   
    nel 
   
    maneggiare 
   
    cavalli 
   
    e 
   
    muli 
   
    d'eccellente 
   
    razza : 
   
    i 
   
    quali 
   
    attesta 
   
    anche 
   
    Sofocle, 
   
    essere 
   
    giunti 
   
    a 
   
    soccorrere 
   
    lo 
   
    sfortunato 
   
    vecchio 
   
    Priamo,
    
     [2] 
   
    e 
   
    prevenuti 
   
    dai 
   
    non 
   
    meno 
   
    valorosi
    
     [3] 
   
    ca 
   
    valieri 
   
    dell'Ararat, 
   
    col 
   
    loro 
   
    sovrano 
   
    e 
   
    duce 
   
    Zarmayr; 
   
    il 
   
    quale, 
   
    insieme 
   
    ad 
   
    Ettore 
   
    ed 
   
    Euforbo, 
   
    giacque 
   
    su 
   
    quei 
   
    gloriosi 
   
    campi; 
   
    ma 
   
    colpito, 
   
    ci 
   
    avverte 
   
    il 
   
    nostro 
   
    storico, 
   
    von 
   
    da 
   
    altra 
   
    mano 
   
    che 
   
    da 
   
    quella 
   
    ferrea 
   
    dell'eroe 
   
    degli 
   
    eroi, 
   
    d'Achille; 
   
    mentre 
   
    Pylomene 
   
    condottiere 
   
    Heneto 
   
    cadeva 
   
    sotto 
   
    quella 
   
    fiacca 
   
    di 
   
    Menelao. 
   
    Sieno 
   
    favole 
   
    o 
   
    leggende, 
   
    poichè 
   
    noi 
   
    cerchiamo 
   
    le 
   
    relazioni 
   
    di 
   
    questi 
   
    due 
   
    popoli, 
   
    non 
   
    è 
   
    da 
   
    tenere 
   
    in 
   
    piocolo 
   
    conto 
   
    questo 
   
    vederne 
   
    gli 
   
    antichi 
   
    padri 
   
    alleati 
   
    nel 
   
    primo 
   
    celebre 
   
    fatto 
   
    della 
   
    storia 
   
    profana. 
  
 
   
    I 
   
    Paflagoni 
   
    erano 
   
    quasi 
   
    limitrofi 
   
    agli 
   
    Armeni 
   
    ed 
   
    agli 
   
    Ar 
   
    menochalibi, 
   
    separati 
   
    per 
   
    un 
   
    fiume 
   
    mediocre, 
   
    l'Alys. 
   
    Vestivano 
   
    similmente, 
   
    alla 
   
    frigia; 
   
    e 
   
    per 
   
    caso 
   
    singolare, 
   
    il 
   
    simbolo 
   
    allego 
   
    rico 
   
    d'ambidue 
   
    i 
   
    popoli 
   
    era 
   
    lo 
   
    stesso, 
   
    la 
   
    tiara, 
   
    ossia 
   
    il 
   
    berretto 
   
    frigio, 
   
    col 
   
    quale 
   
    i 
   
    Romani 
   
    nelle 
   
    loro 
   
    monete 
   
    rappresentano 
   
    gli 
   
    Armeni. 
   
    E 
   
    chi 
   
    non 
   
    conosce 
   
    la 
   
    stessa 
   
    tiara 
   
    in 
   
    capo 
   
    al 
   
    doge 
   
    dei 
   
    Veneti, 
   
    ed 
   
    a 
   
    Venezia 
   
    stessa 
   
    personificata 
   
    nella 
   
    pittura 
   
    e 
   
    nella 
   
    scultura 
   
    ? 
   
    Secondo 
   
    alcuni 
   
    interpreti, 
   
    Veneto, 
   
    significa 
   
    illustre; 
   
    gli 
   
    Armeni 
   
    si 
   
    chiamavano 
   
    grandi. 
   
    Spero 
   
    che 
   
    i 
   
    critici 
   
    più 
   
    severi, 
   
    af 
   
    fratellandosi 
   
    questi 
   
    due 
   
    popoli 
   
    imberrettati 
   
    alla 
   
    frigia, 
   
    in 
   
    una 
   
    lontananza 
   
    così 
   
    grande 
   
    di 
   
    luoghi 
   
    e 
   
    di 
   
    tempi, 
   
    loro 
   
    concederanno 
   
    di 
   
    salutarsi 
   
    con 
   
    rispettoso 
   
    affetto, 
   
    intanto 
   
    che 
   
    noi 
   
    ci 
   
    affretteremo 
   
    & 
   
    cercare 
   
    tra 
   
    loro, 
   
    in 
   
    tempi 
   
    più 
   
    moderni, 
   
    altre 
   
    e 
   
    più 
   
    autentiche 
   
    attinenze. 
  
 
   
    Lascio 
   
    agli 
   
    eruditi 
   
    delle 
   
    venete 
   
    memorie 
   
    il 
   
    discutere 
   
    la 
   
    pro 
   
    babilità 
   
    della 
   
    nascita 
   
    o 
   
    del 
   
    battesimo, 
   
    se 
   
    si 
   
    permette 
   
    dire 
   
    cosi, 
   
    della 
   
    loro 
   
    alma 
   
    città 
   
    e 
   
    del 
   
    comune, 
   
    nell'anno 
   
    421 
   
    ai 
   
    25 
   
    di 
   
    marzo. 
   
    In 
   
    quello 
   
    stesso 
   
    anno, 
   
    le 
   
    cronache 
   
    armene 
   
    indicano 
   
    la 
   
    fonda 
   
    zione 
   
    della 
   
    fortezza 
   
    e 
   
    l'ampliazione 
   
    della 
   
    capitale 
   
    dell'Alta 
   
    Ar 
   
    menja, 
   
    Teodosiopoli, 
   
    l'odierna 
   
    Erzerum, 
   
    scelta 
   
    residenza 
   
    del 
   
    go 
   
    vernatore 
   
    imperiale 
   
    (bisantino) 
   
    dell'Armenia 
   
    Occidentale, 
   
    ed 
   
    in 
   
    pari 
   
    tempo 
   
    baluardo 
   
    contro 
   
    i 
   
    Sassan 
   
    idi 
   
    (Persiani), 
   
    i 
   
    quali 
   
    possede 
   
    vano 
   
    l'Armenia 
   
    Orientale. 
   
    Quella 
   
    fortezza 
   
    altera 
   
    germana 
   
    a 
   
    que 
   
    sta 
   
    bella 
   
    ed 
   
    unica 
   
    Venezia, 
   
    da 
   
    quel 
   
    giorno 
   
    sino 
   
    ad 
   
    oggi 
   
    nel 
   
    corso 
   
    di 
   
    oltre 
   
    quattordici 
   
    secoli 
   
    torbidi, 
   
    conservò 
   
    e 
   
    conserva 
   
    ancora 
   
    il 
   
    grado 
   
    e 
   
    l'ufficio 
   
    poco 
   
    lieto 
   
    per 
   
    cui 
   
    s'innalzo, 
   
    anzi 
   
    divenne 
   
    gran 
   
    de, 
   
    tra 
   
    le 
   
    città 
   
    armene, 
   
    di 
   
    mano 
   
    in 
   
    mano 
   
    che 
   
    tutte 
   
    le 
   
    residenze 
   
    regie, 
   
    (e 
   
    ce 
   
    n'erano 
   
    non 
   
    poche) 
   
    disparivano, 
   
    lasciando 
   
    quale 
   
    più, . 
   
    quale 
   
    meno, 
   
    o 
   
    quasi 
   
    niente, 
   
    de' 
   
    loro 
   
    edifizi 
   
    e 
   
    delle 
   
    loro 
   
    rovine. 
   
    E 
   
    cool 
   
    quella 
   
    forte 
   
    città, 
   
    situata 
   
    presso 
   
    le 
   
    sorgenti 
   
    del 
   
    classico, 
   
    anzi 
   
    sacro 
   
    Eufrate, 
   
    divende 
   
    la 
   
    metropoli 
   
    d' 
   
    Armenia, 
   
    ed 
   
    è 
   
    an 
   
    cora 
   
    la 
   
    città 
   
    la 
   
    pid 
   
    popolata, 
   
    anzi 
   
    la 
   
    capitale 
   
    della 
   
    provincia 
   
    d'Erzerum, 
   
    che 
   
    comprende 
   
    oltre 
   
    all'Armenia 
   
    turca 
   
    anche 
   
    un 
   
    bel 
   
    tratto 
   
    d'Asia 
   
    Minore; 
   
    ed 
   
    in 
   
    pari 
   
    tempo 
   
    uno 
   
    dei 
   
    punti 
   
    militari 
   
    i 
   
    più 
   
    tentati 
   
    ed 
   
    ostinati, 
   
    e 
   
    a' 
   
    nostri 
   
    di 
   
    il 
   
    più 
   
    formidabile, 
   
    del 
   
    Turco 
   
    nell'Asia 
   
    contro 
   
    l'impero 
   
    del 
   
    suo 
   
    vicino. 
  
 
   
    Se 
   
    per 
   
    la 
   
    fondazione 
   
    di 
   
    Venezia 
   
    è 
   
    più 
   
    probabile 
   
    l'anno 
   
    461, 
   
    io 
   
    cui 
   
    i 
   
    fuggitivi 
   
    dalle 
   
    più 
   
    che 
   
    barbare 
   
    orde 
   
    del 
   
    terribile 
   
    Attila 
   
    si 
   
    ripararono 
   
    in 
   
    queste 
   
    maremme 
   
    dell'Adriatico, 
   
    quel 
   
    medesimo 
   
    anno 
   
    (451) 
   
    per 
   
    dura 
   
    sorte 
   
    segno, 
   
    si 
   
    può 
   
    dire, 
   
    la 
   
    fine 
   
    dell'antica 
   
    Armedia 
   
    colla 
   
    perdita 
   
    di 
   
    una 
   
    battaglia 
   
    gloriosa 
   
    e 
   
    sacra 
   
    negli 
   
    an 
   
    nali 
   
    della 
   
    nostra 
   
    chiesa, 
   
    ma 
   
    fatale 
   
    per 
   
    l'unità 
   
    nazionale. 
   
    L'eroi 
   
    co 
   
    Santo 
   
    Vartan 
   
    che 
   
    guidava 
   
    l'ultimo 
   
    numeroso 
   
    esercito 
   
    arme 
   
    DO, 
   
    cadendo 
   
    iu 
   
    quel 
   
    sempre 
   
    memorabile 
   
    giorno 
   
    (2 
   
    Luglio 
   
    451), 
   
    copri 
   
    di 
   
    sua 
   
    grande 
   
    persona 
   
    la 
   
    patria; 
   
    la 
   
    quale 
   
    non 
   
    lo 
   
    colloco 
   
    tra 
   
    le 
   
    Costellazioni 
   
    col 
   
    suo 
   
    Hayg 
   
    (Orione) 
   
    e 
   
    il 
   
    suo 
   
    Vahagni 
   
    (Ercole), 
   
    ma 
   
    lo 
   
    innalzo 
   
    insieme 
   
    ai 
   
    1036 
   
    compagni 
   
    pid 
   
    alto 
   
    an 
   
    oora, 
   
    nel 
   
    coro 
   
    de' 
   
    santi 
   
    martiri; 
   
    e, 
   
    nell'anniversario 
   
    della 
   
    loro 
   
    fe 
   
    sta, 
   
    ogni 
   
    Armeno 
   
    cessa 
   
    dal 
   
    lavoro 
   
    cotidiano, 
   
    e 
   
    celebra 
   
    nella 
   
    chiesa, 
   
    nelle 
   
    scuole 
   
    e 
   
    nei 
   
    circoli 
   
    letterari, 
   
    nonchè 
   
    nei 
   
    banchetti, 
   
    non 
   
    più 
   
    una 
   
    nascita, 
   
    ma 
   
    una 
   
    morte 
   
    che 
   
    lo 
   
    vivifioa, 
   
    e 
   
    gli 
   
    rende 
   
    meno 
   
    amaro 
   
    l'aspro 
   
    destino. 
  
 
   
    Trascorso 
   
    un 
   
    secolo 
   
    da 
   
    questa 
   
    data 
   
    (451-552), 
   
    ecco 
   
    un 
   
    al 
   
    tro 
   
    riscontro 
   
    armeno-veneto; 
   
    la 
   
    presenza 
   
    d'un 
   
    bravo 
   
    generale 
   
    Armeno, 
   
    non 
   
    tanto 
   
    condottiere 
   
    de' 
   
    suoi 
   
    nazionali, 
   
    quanto 
   
    dei 
   
    va 
   
    ri 
   
    sudditi 
   
    del 
   
    vasto 
   
    impero 
   
    bisantino; 
   
    quel 
   
    Narsste 
   
    patrizio, 
   
    di 
   
    cui 
   
    la 
   
    fama 
   
    universale 
   
    è 
   
    quasi 
   
    più 
   
    particolare 
   
    all' 
   
    Armenia 
   
    e 
   
    a 
   
    Venezia: 
   
    & 
   
    quella 
   
    perchè 
   
    gli 
   
    diede 
   
    i 
   
    natali, 
   
    & 
   
    questa 
   
    perchè 
   
    l'o 
   
    spito 
   
    nei 
   
    suoi 
   
    tuguri, 
   
    abbozzi 
   
    dei 
   
    futuri 
   
    palazzi 
   
    sontuosi 
   
    del 
   
    suo 
   
    Canal 
   
    Grande; 
   
    e 
   
    perchè 
   
    lo 
   
    soccorse 
   
    di 
   
    barche 
   
    pescarecce, 
   
    a 
   
    con 
   
    durre 
   
    le 
   
    schiere 
   
    di 
   
    Orientali 
   
    contro 
   
    il 
   
    nemico 
   
    comune. 
  
 
   
    Grato 
   
    a 
   
    questi 
   
    generosi 
   
    padri 
   
    Veneti, 
   
    senti 
   
    il 
   
    grande 
   
    capita 
   
    no 
   
    sacro 
   
    dovere, 
   
    innanzi 
   
    all' 
   
    averli 
   
    pacificati 
   
    coi 
   
    Padovani 
   
    lo 
   
    ro 
   
    vicini, 
   
    di 
   
    erigere 
   
    le 
   
    prime 
   
    chiese 
   
    e 
   
    la 
   
    prima 
   
    biblioteca 
   
    nel 
   
    la 
   
    ancora 
   
    difforme 
   
    e 
   
    futtuante 
   
    Venezia. 
   
    So 
   
    che 
   
    la 
   
    tradizione 
   
    e 
   
    la 
   
    storia 
   
    disputano 
   
    ora 
   
    su 
   
    questo 
   
    argomento; 
   
    nuovi 
   
    critici 
   
    e 
   
    nuove 
   
    scoperte 
   
    vogliono 
   
    che 
   
    nel 
   
    secolo 
   
    nono, 
   
    e 
   
    non 
   
    già 
   
    nel 
   
    80 
   
    sto, 
   
    si 
   
    fondasse 
   
    la 
   
    chiesa 
   
    di 
   
    S. 
   
    Teodoro, 
   
    prima 
   
    cattedrale 
   
    di 
   
    Ver 
   
    nezia 
   
    con 
   
    la 
   
    succursale 
   
    di 
   
    S. 
   
    Geminiano, 
   
    e 
   
    per 
   
    mano 
   
    di 
   
    un 
   
    altro 
   
    Narsete; 
   
    e 
   
    ancora 
   
    che 
   
    il 
   
    fratello 
   
    di 
   
    quest'ultimo 
   
    sia 
   
    stato 
   
    vesco 
   
    vo 
   
    di 
   
    quella 
   
    chiesa 
   
    madre, 
   
    ma 
   
    quale 
   
    che 
   
    sia 
   
    il 
   
    modo 
   
    e 
   
    il 
   
    tempo 
   
    di 
   
    questo 
   
    fatto, 
   
    ci 
   
    basti 
   
    avvertire 
   
    per 
   
    ora 
   
    il 
   
    cordiale 
   
    adoperarsi 
   
    insieme, 
   
    almeno 
   
    mille 
   
    anni 
   
    addietro, 
   
    di 
   
    Armeni 
   
    e 
   
    di 
   
    Veneti. 
   
    D'altra 
   
    parte 
   
    si 
   
    sa 
   
    bene 
   
    che 
   
    dal 
   
    secolo 
   
    VI 
   
    all'VIII 
   
    c'era 
   
    un 
   
    Esarcato 
   
    bisantino 
   
    a 
   
    Ravenna, 
   
    e 
   
    che 
   
    non 
   
    solamente 
   
    alcuni 
   
    di 
   
    quei 
   
    grandi 
   
    governatori 
   
    d'Italia 
   
    erano 
   
    di 
   
    nazione 
   
    armena, 
   
    come 
   
    Narsete, 
   
    Gregorio, 
   
    Isacco 
   
    (e 
   
    ce 
   
    lo 
   
    attestano, 
   
    per 
   
    quest' 
   
    ultimo, 
   
    le 
   
    sculture 
   
    e 
   
    le 
   
    epigrafi 
   
    del 
   
    ricoo 
   
    monumento 
   
    nella 
   
    chiesa 
   
    di 
   
    San 
   
    Vitale), 
   
    ma 
   
    v'era 
   
    ancora 
   
    una 
   
    milizia 
   
    detta 
   
    armona, 
   
    perchè 
   
    com 
   
    posta 
   
    per 
   
    la 
   
    maggior 
   
    parte 
   
    d' 
   
    Armeni 
   
    sudditi 
   
    dell' 
   
    Imperatore 
   
    greco; 
   
    e 
   
    perciò 
   
    il 
   
    quartiere 
   
    della 
   
    città 
   
    dove 
   
    essi 
   
    dimoravano 
   
    (Classe) 
   
    fu 
   
    chiamato 
   
    anche 
   
    Armenia: 
   
    nomi 
   
    che 
   
    durarono 
   
    fino 
   
    al 
   
    secolo 
   
    undicesimo. 
   
    L' 
   
    Esarca, 
   
    in 
   
    caso 
   
    di 
   
    bisogno, 
   
    dava 
   
    mano 
   
    ai 
   
    commercianti 
   
    Veneti; 
   
    come 
   
    appunto 
   
    si 
   
    dice 
   
    di 
   
    Longino, 
   
    successo 
   
    re 
   
    di 
   
    Narsete, 
   
    che 
   
    soccorse 
   
    con 
   
    raccomandazioni 
   
    quegli 
   
    intrapren 
   
    denti 
   
    mercanti, 
   
    i 
   
    quali, 
   
    appena 
   
    ricoverati 
   
    in 
   
    queste 
   
    lagune, 
   
    progre 
   
    divano 
   
    il 
   
    loro 
   
    viaggio 
   
    fino 
   
    ad 
   
    Antiochia 
   
    di 
   
    Siria; 
   
    e 
   
    questo 
   
    fu 
   
    già 
   
    prima 
   
    del 
   
    secolo 
   
    VII. 
   
    Da 
   
    Antiochia 
   
    alla 
   
    Cilicia 
   
    non 
   
    è 
   
    che 
   
    un 
   
    passo; 
   
    ove 
   
    fra 
   
    poco 
   
    vedremo 
   
    i 
   
    Veneti 
   
    frequentati 
   
    e 
   
    previlegiati 
   
    dai 
   
    nuovi 
   
    padroni 
   
    di 
   
    quella 
   
    classica 
   
    terra, 
   
    dai 
   
    Re 
   
    Armeni. 
  
 
   
    Gioverebbe 
   
    sapere 
   
    se 
   
    in 
   
    quei 
   
    secoli 
   
    remoti 
   
    (V-VIII), 
   
    men 
   
    tre 
   
    fioriva 
   
    ancora 
   
    nell'Armenia 
   
    Maggiore 
   
    l'antica 
   
    capitale 
   
    Dvin, 
   
    come 
   
    una 
   
    delle 
   
    principali 
   
    piazze 
   
    commerciali 
   
    dell'Asia 
   
    anteriore, 
   
    l'avessero 
   
    visitata 
   
    i 
   
    Veneti; 
   
    e 
   
    se 
   
    d'altra 
   
    parte 
   
    gli 
   
    Armeni, 
   
    non 
   
    meno 
   
    famosi 
   
    per 
   
    l'industria 
   
    mercantile, 
   
    fossero 
   
    attratti 
   
    fin 
   
    a 
   
    que 
   
    ste 
   
    isolette, 
   
    che 
   
    poco 
   
    a 
   
    poco 
   
    collegandosi 
   
    col 
   
    Rialto, 
   
    formarono 
   
    la 
   
    metropoli 
   
    adriatica. 
   
    Nou 
   
    è 
   
    improbabile 
   
    quests, 
   
    ma 
   
    è 
   
    più 
   
    che 
   
    probabile, 
   
    che 
   
    parecchi 
   
    dei 
   
    soldati 
   
    Armeni 
   
    di 
   
    Ravenna 
   
    abbiano 
   
    visitata 
   
    la 
   
    Venezia: 
   
    e 
   
    cosi 
   
    pure 
   
    cbe, 
   
    in 
   
    quel 
   
    frammezzo 
   
    il 
   
    nome 
   
    di 
   
    Venezia 
   
    s'introducesse 
   
    nella 
   
    letteratura 
   
    armena, 
   
    ed 
   
    in 
   
    ma 
   
    niera 
   
    assai 
   
    notevole. 
  
 
   
    Sanno 
   
    gli 
   
    eruditi 
   
    come 
   
    una 
   
    delle 
   
    più 
   
    importanti 
   
    produzioni 
   
    di 
   
    un 
   
    celebre 
   
    nostro 
   
    autore 
   
    del 
   
    V 
   
    secolo, 
   
    di 
   
    Moisè 
   
    Khorenose, 
   
    sia 
   
    la 
   
    Geografia, 
   
    scritta 
   
    secondo 
   
    il 
   
    metodo 
   
    di 
   
    Tolomeo 
   
    e 
   
    di 
   
    Pappo 
   
    d'Alessandria; 
   
    in 
   
    quest'opera, 
   
    ritoccata 
   
    nel 
   
    secolo 
   
    VII, 
   
    invece 
   
    di 
   
    60 
   
    o 
   
    70 
   
    capitoli 
   
    (benchè 
   
    brevi) 
   
    ne' 
   
    quali 
   
    Tolomeo 
   
    descrive 
   
    l'Italia, 
   
    l'Armeno 
   
    in 
   
    un 
   
    solo 
   
    capitolo 
   
    se 
   
    ne 
   
    sbriga, 
   
    allegando 
   
    che 
   
    Italia 
   
    contiene 
   
    45 
   
    provincie, 
   
    e 
   
    inoltre 
   
    sei 
   
    altre 
   
    divisioni, 
   
    e 
   
    non 
   
    ram 
   
    menta 
   
    che-pochi 
   
    nomi: 
   
    ma 
   
    prima 
   
    di 
   
    tutti 
   
    cita 
   
    Venezia 
   
    e 
   
    ne 
   
    dà 
   
    il 
   
    carattere 
   
    con 
   
    la 
   
    rapidità 
   
    di 
   
    un 
   
    lampo 
   
    in 
   
    una 
   
    sola 
   
    riga, 
   
    che 
   
    suona 
   
    letteralmente 
   
    cosi: 
   
    «Italia, 
   
    nella 
   
    quale 
   
    (è) 
   
    l'abitata 
   
    nell'a 
   
    cqua, 
   
    provincia 
   
    di 
   
    Venedig.
   
    » 
  
 
   
    Potrebbessi 
   
    meglio 
   
    descrivere 
   
    con 
   
    tanta 
   
    brevità? 
   
    Pare 
   
    scritto 
   
    da 
   
    un 
   
    testimonio 
   
    oculare 
   
    o 
   
    dietro 
   
    suo 
   
    relazioni: 
   
    e 
   
    sembra 
   
    che 
   
    egli 
   
    meravigliasse 
   
    a 
   
    quel 
   
    singolare 
   
    aspetto 
   
    della 
   
    città, 
   
    sopra 
   
    tutte 
   
    lo 
   
    altre 
   
    d'Italia, 
   
    delle 
   
    quali 
   
    rammenta 
   
    soltanto 
   
    Roma 
   
    la 
   
    grande 
   
    o 
   
    Radonna 
   
    la 
   
    magnifica. 
   
    Quest' 
   
    ultima 
   
    citazione 
   
    conferma 
   
    l'ipotesi 
   
    che 
   
    quell'opera 
   
    geografica 
   
    armena 
   
    fosse 
   
    ritoccata 
   
    durante 
   
    il 
   
    governo 
   
    degli 
   
    Esarchi 
   
    di 
   
    Ravenda. 
   
    E 
   
    pon 
   
    meno 
   
    significante 
   
    è 
   
    il 
   
    detto 
   
    del 
   
    secondo 
   
    fra 
   
    i 
   
    nostri 
   
    geografi, 
   
    che 
   
    scrisse 
   
    sullo 
   
    scorcio 
   
    del 
   
    secolo 
   
    XIII 
   
    o 
   
    sul 
   
    principio 
   
    del 
   
    XIV, 
   
    il 
   
    quale 
   
    non 
   
    ricorda 
   
    d'Ita 
   
    lia 
   
    che 
   
    due 
   
    citià, 
   
    Roma 
   
    e 
   
    Milano, 
   
    ed 
   
    una 
   
    terza 
   
    la 
   
    Venezia, 
   
    e 
   
    con 
   
    un' 
   
    inaspettata 
   
    osservazione: 
   
    « 
   
    Ponedig, 
   
    dice 
   
    egli, 
   
    ove 
   
    il 
   
    chimico 
   
    (o 
   
    l'alchimista) 
   
    lavora 
   
    e 
   
    colorisce 
   
    l'argento 
   
    in 
   
    oro 
   
    ». 
   
    Quale 
   
    è 
   
    que 
   
    sta 
   
    antica 
   
    industria 
   
    dei 
   
    Veneti, 
   
    ammirata 
   
    dal 
   
    nostro 
   
    scrittore; 
   
    quella 
   
    dell'orefice 
   
    o 
   
    del 
   
    mosaicista? 
   
    Lascio 
   
    ai 
   
    critici 
   
    dell'arte 
   
    de 
   
    terminarlo. 
   
    Non 
   
    c'è 
   
    più 
   
    dubbio 
   
    per 
   
    altro 
   
    che 
   
    al 
   
    tempo 
   
    di 
   
    questo 
   
    geografo 
   
    compendioso, 
   
    Venezia 
   
    era 
   
    già 
   
    visitata 
   
    da 
   
    molti 
   
    o 
   
    mol 
   
    ti 
   
    Armeni 
   
    accorsi 
   
    qul 
   
    di 
   
    loro 
   
    capo 
   
    per 
   
    i 
   
    commerci, 
   
    e 
   
    non 
   
    più 
   
    come 
   
    sudditi 
   
    e 
   
    ministri 
   
    del 
   
    Bisantino, 
   
    come 
   
    nei 
   
    secoli 
   
    passati 
   
    (IX 
   
    e 
   
    X), 
   
    quando 
   
    Cesferano 
   
    veniva 
   
    (nell'anno 
   
    809-10) 
   
    a 
   
    difesa 
   
    dei 
   
    Veneti 
   
    contro 
   
    Pipino; 
   
    e 
   
    il 
   
    protospataro 
   
    Arsafio, 
   
    ambasciatore 
   
    dell'imperatore 
   
    Niceforo 
   
    alla 
   
    Corte 
   
    di 
   
    Carlo 
   
    Magno 
   
    nel 
   
    810-11, 
   
    (del 
   
    quale 
   
    il 
   
    nome 
   
    è 
   
    detto 
   
    più 
   
    correttamente 
   
    da 
   
    altri 
   
    Arsace, 
   
    e 
   
    guasto 
   
    invece 
   
    dal 
   
    Dandolo 
   
    in 
   
    Habersapius 
   
    o 
   
    Ebersapio), 
   
    arrivava 
   
    a 
   
    Venezia 
   
    per 
   
    giudicare 
   
    il 
   
    Doge 
   
    Obelario. 
  
 
   
    Se 
   
    mi 
   
    fossero 
   
    indulgenti 
   
    i 
   
    lettori, 
   
    potrei 
   
    ricordare 
   
    anche 
   
    la 
   
    cooperazione 
   
    degli 
   
    Imperatori 
   
    bisantini 
   
    d'origine 
   
    armena 
   
    coi 
   
    Ve 
   
    neziani; 
   
    come 
   
    sarebbe 
   
    l'invio, 
   
    nel 
   
    813, 
   
    di 
   
    Giustiniano 
   
    figlio 
   
    del 
   
    Do 
   
    ge 
   
    Partecipazio 
   
    a 
   
    Leone 
   
    cognominato 
   
    l'Armeno, 
   
    il 
   
    quale 
   
    prima 
   
    d'al. 
   
    tri 
   
    lo 
   
    nomind 
   
    Ipato, 
   
    facendogli 
   
    doni 
   
    che, 
   
    dopo 
   
    mille 
   
    anni, 
   
    si 
   
    vene 
   
    rano 
   
    ancora 
   
    a 
   
    Venezia: 
   
    cioè, 
   
    reliquie 
   
    de' 
   
    Santi, 
   
    sacre 
   
    schegge 
   
    del 
   
    legno 
   
    della 
   
    Croce 
   
    di 
   
    G. 
   
    C., 
   
    brani 
   
    delle 
   
    Vesti 
   
    di 
   
    Lui 
   
    e 
   
    della 
   
    Vergine 
   
    sua 
   
    Madre; 
   
    e, 
   
    più 
   
    sorprendente 
   
    all'occhio, 
   
    il 
   
    corpo 
   
    di 
   
    S. 
   
    Zaccaria; 
   
    nonchè 
   
    molto 
   
    oro 
   
    per 
   
    la 
   
    fabbrica 
   
    del 
   
    sontuoso 
   
    tem 
   
    pio 
   
    di 
   
    questo 
   
    santo 
   
    Profeta 
   
    e 
   
    dell'attiguo 
   
    monastero 
   
    delle 
   
    reli 
   
    giose; 
   
    fra 
   
    le 
   
    quali 
   
    si 
   
    consacrarono 
   
    anche 
   
    vergivi 
   
    Armene. 
   
    In 
   
    vestigando 
   
    l'attuale 
   
    Tesoro 
   
    di 
   
    S. 
   
    Marco, 
   
    forse 
   
    si 
   
    potranno 
   
    disco 
   
    prire 
   
    memorie, 
   
    vasi 
   
    o 
   
    reliquari 
   
    offerti 
   
    da 
   
    qualche 
   
    re 
   
    o 
   
    regina 
   
    di 
   
    sangue 
   
    armeno. 
  
 
   
    Abbiamo 
   
    proferito 
   
    il 
   
    nome 
   
    di 
   
    S. 
   
    Marco, 
   
    davanti 
   
    al 
   
    quale 
   
    deve 
   
    inchinarsi 
   
    ogni 
   
    Armeno-Veneto; 
   
    fra 
   
    tutti 
   
    gli 
   
    orientali, 
   
    080 
   
    dire 
   
    che 
   
    i 
   
    più 
   
    stretti 
   
    alleati 
   
    della 
   
    repubblica 
   
    dell'Evangelista, 
   
    fu 
   
    rono 
   
    gli 
   
    Armeni. 
   
    Scrivendo 
   
    questi 
   
    l'anno 
   
    1547, 
   
    lettera 
   
    raccoman 
   
    dativa 
   
    per 
   
    loro 
   
    Patriarca, 
   
    cominciano 
   
    coi 
   
    saluti 
   
    di 
   
    S. 
   
    Gregorio 
   
    Nis 
   
    minatore, 
   
    loro 
   
    apostolo, 
   
    a 
   
    San 
   
    Marco, 
   
    patrono 
   
    di 
   
    Venezia, 
   
    e 
   
    poi 
   
    tornano 
   
    a 
   
    salutare 
   
    i 
   
    suoi 
   
    protetti. 
  
 
   
    Nella 
   
    nuova 
   
    Armenia, 
   
    ossia 
   
    nell' 
   
    Armeno-Cilicia, 
   
    ove 
   
    fu 
   
    la 
   
    forza 
   
    di 
   
    solidarietà 
   
    armena-veneta, 
   
    come 
   
    si 
   
    vedrà 
   
    in 
   
    appresso, 
   
    benissimo 
   
    si 
   
    conosceva 
   
    S. 
   
    Marco, 
   
    essendovi 
   
    a 
   
    lui 
   
    dedicata 
   
    una 
   
    chiesa 
   
    da 
   
    Veneti 
   
    mercatanti. 
   
    Dopo 
   
    S. 
   
    Pietro 
   
    di 
   
    Roma, 
   
    e 
   
    forse 
   
    pid 
   
    di 
   
    quello, 
   
    era 
   
    nel 
   
    corso 
   
    di 
   
    vari 
   
    secoli 
   
    rivisitato 
   
    dagli 
   
    Arme 
   
    di 
   
    S. 
   
    Marco 
   
    di 
   
    Venezia. 
  
 
   
    Le 
   
    colonne 
   
    monumentali 
   
    che 
   
    adornano 
   
    la 
   
    facciata 
   
    di 
   
    quel 
   
    la 
   
    impareggiabile 
   
    Basilica, 
   
    portano 
   
    incisi 
   
    a 
   
    centinaia 
   
    i 
   
    nomi 
   
    di 
   
    pellegrini 
   
    Armeni; 
   
    massime 
   
    dal 
   
    cinquecento 
   
    al 
   
    settecento; 
   
    e 
   
    ale 
   
    cuni 
   
    di 
   
    essi, 
   
    ignari 
   
    delle 
   
    leggi 
   
    della 
   
    favella 
   
    italiana, 
   
    scrivono 
   
    ingenuamente: 
   
    «N. 
   
    N. 
   
    soroo 
   
    di 
   
    Santa 
   
    Marco!» 
  
 
   
    Ma 
   
    non 
   
    è 
   
    ancora 
   
    tempo 
   
    di 
   
    occuparci 
   
    di 
   
    questi 
   
    ultimi 
   
    arri 
   
    vati 
   
    a 
   
    farsi 
   
    ricordare 
   
    alle 
   
    basi 
   
    di 
   
    San 
   
    Marco, 
   
    se 
   
    è 
   
    permesso 
   
    cosi 
   
    dire. 
   
    Alziamo 
   
    lo 
   
    sguardo 
   
    su 
   
    iu 
   
    alto, 
   
    alla 
   
    fronte 
   
    di 
   
    quella 
   
    stupenda 
   
    faociata: 
   
    e 
   
    quando, 
   
    fra 
   
    tante 
   
    sacre 
   
    memorie 
   
    dell'arte, 
   
    ci 
   
    colpirà 
   
    d' 
   
    ammirazione 
   
    uno 
   
    strano 
   
    monumento, 
   
    anteriore 
   
    all'età 
   
    oristiana 
   
    e 
   
    meraviglia 
   
    dell'arte 
   
    greca, 
   
    la 
   
    quadriga 
   
    dei 
   
    Cavalli 
   
    di 
   
    bronzo 
   
    dorato, 
   
    ricordiamoci 
   
    ancora 
   
    della 
   
    tradizione, 
   
    ripetuta 
   
    da 
   
    molti 
   
    scrittori 
   
    di 
   
    cose 
   
    venete 
   
    e 
   
    romane, 
   
    la 
   
    quale 
   
    li 
   
    dice 
   
    opera 
   
    di 
   
    un 
   
    Lysippo 
   
    o 
   
    di 
   
    un 
   
    suo 
   
    collega, 
   
    dalla 
   
    Grecia 
   
    trasportati 
   
    nell'Armenia 
   
    e 
   
    di 
   
    là 
   
    condotti 
   
    a 
   
    Roma, 
   
    da 
   
    un 
   
    monarca 
   
    Armeno, 
   
    in 
   
    re 
   
    galo 
   
    all' 
   
    Imperatore 
   
    romano; 
   
    questi 
   
    ordinariamente 
   
    è 
   
    ritenuto 
   
    Nerone, 
   
    l'altro 
   
    Teridate 
   
    Parto-armeno. 
   
    Ma 
   
    io 
   
    preferirei 
   
    credere 
   
    un 
   
    altro 
   
    Teridate 
   
    bravo, 
   
    e 
   
    santo, 
   
    che, 
   
    convertito 
   
    al 
   
    cristianesimo 
   
    con 
   
    tutta 
   
    la 
   
    sua 
   
    nazione, 
   
    molti 
   
    anni 
   
    avanti 
   
    cbe 
   
    Costantino 
   
    concedes 
   
    se 
   
    la 
   
    libertà 
   
    alla 
   
    Chiesa, 
   
    venne 
   
    poi 
   
    a 
   
    Roma 
   
    per 
   
    congratularsi 
   
    con 
   
    questo 
   
    e 
   
    ristriogere 
   
    l'alleanza 
   
    che 
   
    durava 
   
    fra 
   
    i 
   
    due 
   
    govervi 
   
    da 
   
    un 
   
    pezzo. 
   
    La 
   
    tradizione 
   
    armeda 
   
    dice 
   
    che 
   
    Teridate 
   
    porto 
   
    da 
   
    Roma 
   
    diversi 
   
    ricchi 
   
    doni 
   
    ricevuti 
   
    da 
   
    Costantino, 
   
    senza 
   
    dubbio 
   
    in 
   
    contracambio 
   
    di 
   
    quelli 
   
    che 
   
    egli 
   
    stesso 
   
    aveva 
   
    recati 
   
    a 
   
    lui; 
   
    e 
   
    che 
   
    fra 
   
    quelli 
   
    fosse 
   
    anche 
   
    la 
   
    singolare 
   
    quadriga, 
   
    nou 
   
    è 
   
    impro 
   
    babile. 
   
    Sappiamo 
   
    già 
   
    dalle 
   
    storie 
   
    nazionali 
   
    fino 
   
    dai 
   
    secoli 
   
    IV 
   
    e 
   
    V 
   
    che 
   
    il 
   
    padre 
   
    di 
   
    Tigrane, 
   
    tanto 
   
    famoso 
   
    nella 
   
    storia 
   
    romana, 
   
    predo 
   
    dalla 
   
    Grecia 
   
    e 
   
    dalla 
   
    stessa 
   
    Atene 
   
    diversi 
   
    capolavori 
   
    d'arte 
   
    dei 
   
    fioriti 
   
    tempi 
   
    di 
   
    quell'insigne 
   
    paese 
   
    e 
   
    li 
   
    trasse 
   
    nel 
   
    suo. 
   
    Una 
   
    di 
   
    queste 
   
    ineravigliose 
   
    sculture 
   
    in 
   
    bronzo, 
   
    non 
   
    è 
   
    guari, 
   
    si 
   
    scopri 
   
    nell'Armenia; 
   
    una 
   
    testa 
   
    di 
   
    Diana, 
   
    o 
   
    d'un 
   
    altra 
   
    deira, 
   
    di 
   
    gran. 
   
    dezza 
   
    doppia 
   
    del 
   
    naturale, 
   
    a 
   
    peso 
   
    d'oro 
   
    comprata 
   
    e 
   
    collocata 
   
    accuratamente 
   
    nel 
   
    Museo 
   
    Britapnico. 
   
    Ora, 
   
    vedendo 
   
    quei 
   
    Cavalli 
   
    la 
   
    nell'aria, 
   
    non 
   
    può 
   
    l'Armeno-Veneto 
   
    non 
   
    pensare 
   
    con 
   
    meraviglia 
   
    alla 
   
    mano 
   
    ingegnosa 
   
    che 
   
    gli 
   
    scolpi, 
   
    al 
   
    braccio 
   
    forte 
   
    che 
   
    li 
   
    rapi, 
   
    all'uomo 
   
    generoso 
   
    che 
   
    gli 
   
    offri, 
   
    e 
   
    a 
   
    quello 
   
    più 
   
    scaltro 
   
    che 
   
    dal 
   
    Bo 
   
    sforo 
   
    li 
   
    trasporto 
   
    a 
   
    questi 
   
    lidi, 
   
    come 
   
    insigne 
   
    trofeo 
   
    delle 
   
    sue 
   
    prodezze. 
  
 
   
    Se, 
   
    per 
   
    queste, 
   
    può 
   
    sempre 
   
    vantarsi 
   
    il 
   
    Veneziano 
   
    del 
   
    suo 
   
    im 
   
    mortale 
   
    Enrico 
   
    Dandolo, 
   
    sappia 
   
    il 
   
    lettore 
   
    benigno, 
   
    che 
   
    il 
   
    valente 
   
    e 
   
    savio 
   
    Doge 
   
    non 
   
    è 
   
    meno 
   
    caro 
   
    all'Armeno: 
   
    e 
   
    le 
   
    due 
   
    genti 
   
    devono 
   
    tenerlo 
   
    in 
   
    grandissimo 
   
    conto 
   
    per 
   
    i 
   
    reciproci 
   
    legami 
   
    che 
   
    appunto 
   
    per 
   
    opera 
   
    di 
   
    lui 
   
    principiarono 
   
    realmente 
   
    e 
   
    saldamente, 
   
    e 
   
    durarono 
   
    quasi 
   
    due 
   
    secoli; 
   
    sappiasi 
   
    pure, 
   
    che 
   
    se 
   
    il 
   
    Dandolo 
   
    fu 
   
    per 
   
    cosi 
   
    dire 
   
    la 
   
    testa 
   
    di 
   
    ponte 
   
    delle 
   
    relazioni 
   
    venete-armene, 
   
    da 
   
    questa 
   
    parte 
   
    occidentale, 
   
    dall'altra, 
   
    in 
   
    Oriente, 
   
    v'era 
   
    il 
   
    primo 
   
    Re 
   
    dell' 
   
    Armeno-Cilicia, 
   
    un 
   
    altro 
   
    principe 
   
    insigne: 
   
    Enrico 
   
    e 
   
    Leone 
   
    il 
   
    Magnifico 
   
    potevano 
   
    farsi 
   
    onore 
   
    l'uno 
   
    all'altro, 
   
    e 
   
    gareggiare 
   
    an 
   
    che 
   
    per 
   
    il 
   
    primato. 
   
    Imperciochè 
   
    se 
   
    Enrico 
   
    aggiunse 
   
    al 
   
    suo 
   
    do 
   
    gato 
   
    più 
   
    che 
   
    una 
   
    terza 
   
    parte 
   
    dell'impero 
   
    bisantino, 
   
    Leone 
   
    cred 
   
    un 
   
    intiero 
   
    regno 
   
    per 
   
    sè 
   
    e 
   
    per 
   
    i 
   
    suoi 
   
    successori, 
   
    in 
   
    una 
   
    situazione 
   
    molto 
   
    grave 
   
    e 
   
    quando 
   
    lo 
   
    circondavano 
   
    implacabili 
   
    nemici. 
  
 
   
    Ora 
   
    che 
   
    entriamo 
   
    nel 
   
    periodo 
   
    sicuro 
   
    delle 
   
    relazioni 
   
    armeno 
   
    venete, 
   
    è 
   
    necessario 
   
    sapere 
   
    qualche 
   
    cosa 
   
    dello 
   
    stato 
   
    di 
   
    questo 
   
    popolo 
   
    armeno 
   
    e 
   
    del 
   
    suo 
   
    paese, 
   
    ove 
   
    accorrevano 
   
    annualmente 
   
    in 
   
    folla 
   
    i 
   
    mercanti 
   
    Veneti, 
   
    e 
   
    galee 
   
    armate 
   
    e 
   
    cariche 
   
    di 
   
    merci 
   
    pro 
   
    ziose 
   
    solcavano 
   
    le 
   
    acque 
   
    che 
   
    battono 
   
    le 
   
    sponde 
   
    dell'Adriatico 
   
    e 
   
    quelle 
   
    della 
   
    Cilicia. 
   
    Saremo 
   
    brevi. 
  
 
   
    Dopo 
   
    lunga 
   
    serie 
   
    di 
   
    vicende, 
   
    il 
   
    vecchio 
   
    popolo 
   
    armeno, 
   
    sfuggito 
   
    alle 
   
    torme 
   
    de' 
   
    puovi 
   
    Sciti 
   
    (Selgiucchi), 
   
    si 
   
    staccò 
   
    dalla 
   
    ado 
   
    rata 
   
    patria; 
   
    una 
   
    parte 
   
    emigro 
   
    nel 
   
    centro 
   
    dell'Asia 
   
    Minore, 
   
    e 
   
    di 
   
    là 
   
    per 
   
    altri 
   
    disastri 
   
    ripard 
   
    verso 
   
    mezzodi 
   
    nelle 
   
    aspre 
   
    montagne 
   
    del 
   
    Tauro, 
   
    e 
   
    si 
   
    cred 
   
    uo 
   
    abbozzo 
   
    di 
   
    governo, 
   
    che 
   
    poco 
   
    a 
   
    poco 
   
    prese 
   
    forma 
   
    regolare. 
   
    Il 
   
    suo 
   
    capo 
   
    per 
   
    lungo 
   
    tempo 
   
    veniva 
   
    chia 
   
    mato 
   
    Signore 
   
    della 
   
    Montagna, 
   
    o 
   
    semplicemente 
   
    il 
   
    Montanaro. 
   
    E 
   
    rano 
   
    tempi 
   
    gravi 
   
    di 
   
    nuove 
   
    e 
   
    strane 
   
    vicende: 
   
    suonò 
   
    la 
   
    tromba 
   
    delle 
   
    Crociate: 
   
    l'Europa 
   
    verso 
   
    le 
   
    sue 
   
    schiere 
   
    crocisegnate 
   
    sull'A 
   
    sia: 
   
    quei 
   
    semisacri 
   
    militi, 
   
    coi 
   
    loro 
   
    eroici 
   
    condottieri 
   
    immortalati 
   
    dal 
   
    Tasso, 
   
    cercando 
   
    passi 
   
    sicuri 
   
    attraverso 
   
    terre 
   
    e 
   
    genti 
   
    più 
   
    ne 
   
    miche 
   
    che 
   
    barbare, 
   
    s'abbatterono 
   
    ai 
   
    confini 
   
    dei 
   
    nostri 
   
    montanari 
   
    Armeni; 
   
    i 
   
    quali 
   
    memori 
   
    di 
   
    una 
   
    nazionale 
   
    profezia 
   
    che 
   
    annun 
   
    ziava 
   
    la 
   
    venuta 
   
    d'una 
   
    gente 
   
    brada 
   
    o 
   
    franca 
   
    in 
   
    loro 
   
    soccorso, 
   
    s'afrettarono 
   
    essi 
   
    stessi 
   
    a 
   
    soccorrere 
   
    i 
   
    ben 
   
    venuti 
   
    eroi 
   
    d'occidente 
   
    e, 
   
    pid 
   
    che 
   
    d'armi, 
   
    li 
   
    servirono 
   
    di 
   
    vettovaglie; 
   
    e, 
   
    quel 
   
    che 
   
    era 
   
    più 
   
    argente, 
   
    aprirono 
   
    loro 
   
    i 
   
    passi 
   
    secreti 
   
    delle 
   
    montagne 
   
    e 
   
    gli 
   
    ac 
   
    compagnarono 
   
    fino 
   
    ad 
   
    Antiochia. 
   
    Il 
   
    resto 
   
    diranno 
   
    gli 
   
    storici 
   
    delle 
   
    Crociate; 
   
    ci 
   
    basti 
   
    il 
   
    ricordare 
   
    che, 
   
    in 
   
    segno 
   
    di 
   
    gratitudine, 
   
    quei 
   
    principi 
   
    occidentali 
   
    onorarono 
   
    i 
   
    nostri 
   
    Armeni 
   
    con 
   
    titoli 
   
    di 
   
    Baroni 
   
    e 
   
    di 
   
    Conti, 
   
    trovandoli 
   
    fra 
   
    tutti 
   
    i 
   
    popoli 
   
    d'oriente 
   
    i 
   
    più 
   
    capaci 
   
    delle 
   
    idee 
   
    occidentali, 
   
    ed 
   
    egualmente 
   
    animati 
   
    per 
   
    quello 
   
    scopo 
   
    che 
   
    gli 
   
    aveva 
   
    fatti 
   
    muovere 
   
    dalle 
   
    loro 
   
    sedi 
   
    agiate, 
   
    gettandoli 
   
    fra 
   
    tante 
   
    affanni 
   
    e 
   
    tanti 
   
    pericoli. 
  
 
   
    L'alleanza 
   
    con 
   
    gli 
   
    Armeni 
   
    fu 
   
    quasi 
   
    a 
   
    un 
   
    tratto, 
   
    e 
   
    per 
   
    im 
   
    pulso 
   
    dell'istinto: 
   
    non 
   
    era 
   
    dunque 
   
    da 
   
    meravigliarsi 
   
    se 
   
    questi 
   
    non 
   
    solo 
   
    fossero 
   
    condottieri 
   
    dei 
   
    Condottieri 
   
    dell'esercito 
   
    europeo, 
   
    ma 
   
    anche 
   
    commilitoni 
   
    nell'avanguardia 
   
    che 
   
    attacco 
   
    e 
   
    tolke 
   
    Antiochia. 
  
 
   
    Più 
   
    difficile 
   
    che 
   
    la 
   
    presa 
   
    di 
   
    questa 
   
    città 
   
    e 
   
    di 
   
    Gerusalemme 
   
    stessa, 
   
    fu 
   
    quella 
   
    di 
   
    Tiro, 
   
    perchè 
   
    da 
   
    terra 
   
    e 
   
    da 
   
    mare 
   
    fortificata 
   
    e 
   
    ben 
   
    difesa; 
   
    sotto 
   
    quelle 
   
    mura 
   
    si 
   
    spiegava 
   
    anche 
   
    la 
   
    bandiera 
   
    di 
   
    San 
   
    Marco; 
   
    e 
   
    fra 
   
    tutte 
   
    quante, 
   
    fu 
   
    la 
   
    più 
   
    nota 
   
    e 
   
    cercata 
   
    dal 
   
    l'armena. 
   
    E 
   
    certo 
   
    nel 
   
    grande 
   
    miscuglio 
   
    degli 
   
    assediatori 
   
    perano 
   
    anche 
   
    Armeni: 
   
    anzi 
   
    la 
   
    caduta 
   
    di 
   
    quella 
   
    fortissima 
   
    piazza, 
   
    se 
   
    dalla 
   
    parte 
   
    del 
   
    mare 
   
    fu 
   
    facilitata 
   
    per 
   
    l'armata 
   
    veneta, 
   
    da 
   
    terra 
   
    fu 
   
    in 
   
    qualche 
   
    modo 
   
    agevolata 
   
    da 
   
    industria 
   
    armena. 
   
    Infatti, 
   
    non 
   
    essen 
   
    do 
   
    abbastanza 
   
    potenti 
   
    le 
   
    macchine 
   
    ad 
   
    abbattere 
   
    quei 
   
    formidabili 
   
    torrioni 
   
    e 
   
    le 
   
    muraglie, 
   
    un 
   
    prote 
   
    armeno 
   
    di 
   
    nome 
   
    Avedik 
   
    (che 
   
    si 
   
    traduce 
   
    Nunziato), 
   
    ne 
   
    fabbrico 
   
    di 
   
    più 
   
    imponenti; 
   
    ai 
   
    colpi 
   
    delle 
   
    quali 
   
    cedettero 
   
    non 
   
    poca 
   
    parte 
   
    dei 
   
    difensori 
   
    e 
   
    delle 
   
    difese, 
   
    e 
   
    finalmente 
   
    soccombettero. 
   
    Se 
   
    una 
   
    tradizione 
   
    o 
   
    una 
   
    favola 
   
    con 
   
    duceva 
   
    gli 
   
    antenati 
   
    dei 
   
    Veneti 
   
    e 
   
    degli 
   
    Armeni 
   
    sotto 
   
    le 
   
    mura 
   
    di 
   
    Troia, 
   
    qui 
   
    davanti 
   
    a 
   
    Tiro, 
   
    gli 
   
    congiunge 
   
    la 
   
    storia 
   
    e 
   
    li 
   
    fa 
   
    cono 
   
    scere 
   
    uni 
   
    agli 
   
    altri 
   
    per 
   
    la 
   
    prima 
   
    volta 
   
    indubitatameute. 
  
 
   
    Questo 
   
    fatto, 
   
    come 
   
    si 
   
    sa, 
   
    avvenne 
   
    alla 
   
    fine 
   
    del 
   
    primo 
   
    quarto 
   
    del 
   
    secolo 
   
    XII: 
   
    nel 
   
    corso 
   
    dei 
   
    due 
   
    seguenti, 
   
    andava 
   
    crescendo 
   
    la 
   
    possanza 
   
    e 
   
    allargandosi 
   
    il 
   
    territorio 
   
    de' 
   
    nostri 
   
    Armeni 
   
    montanari, 
   
    si 
   
    formava 
   
    un 
   
    governo 
   
    regolare 
   
    designato 
   
    col 
   
    nome 
   
    del 
   
    primo 
   
    loro 
   
    sovrano 
   
    (Rupeno) 
   
    Rupeniano, 
   
    nome 
   
    che 
   
    tante 
   
    volte 
   
    s'incontra 
   
    nel 
   
    le 
   
    lettere 
   
    corse 
   
    tra 
   
    loro 
   
    e 
   
    i 
   
    Dugi 
   
    di 
   
    Venezia, 
   
    fino 
   
    alla 
   
    metà 
   
    del 
   
    secolo 
   
    XIV, 
   
    sotto 
   
    sedici 
   
    sovrani; 
   
    de' 
   
    quali 
   
    gli 
   
    otto 
   
    primi 
   
    s' 
   
    appellavano 
   
    Baroni, 
   
    gli 
   
    altri, 
   
    fra 
   
    i 
   
    quali 
   
    alcuni 
   
    d'altro 
   
    legnag 
   
    gio, 
   
    furono 
   
    Re. 
   
    Leone 
   
    il 
   
    Magnifico, 
   
    contemporaneo 
   
    del 
   
    grande 
   
    Enrico 
   
    Dandolo 
   
    e 
   
    suo 
   
    alleato, 
   
    (il 
   
    quale 
   
    nel 
   
    principio 
   
    della 
   
    sua 
   
    baronia 
   
    veniva 
   
    ancora 
   
    appellato 
   
    il 
   
    Montanaro 
   
    nelle 
   
    lettere 
   
    del 
   
    Papa), 
   
    con 
   
    mirabile 
   
    perseveranza 
   
    e 
   
    accortezza, 
   
    non 
   
    meno 
   
    che 
   
    col 
   
    la 
   
    bravura 
   
    sui 
   
    campi 
   
    di 
   
    battaglia, 
   
    primamente 
   
    estese 
   
    il 
   
    suo 
   
    do 
   
    minio 
   
    su 
   
    tutta 
   
    la 
   
    Cilicia, 
   
    su 
   
    parte 
   
    dell'Isauria 
   
    e 
   
    della 
   
    Pamfylia, 
   
    e 
   
    su 
   
    qualche 
   
    altra 
   
    regione 
   
    d' 
   
    Asia 
   
    Minore 
   
    e 
   
    di 
   
    Siria, 
   
    poi 
   
    otten 
   
    ne, 
   
    con 
   
    onore, 
   
    e 
   
    dall'Imperatore 
   
    d'Oriente 
   
    o 
   
    da 
   
    quello 
   
    d' 
   
    Ooci 
   
    dente 
   
    (Enrico 
   
    VI), 
   
    e 
   
    dal 
   
    Califfo 
   
    di 
   
    Bagdad 
   
    la 
   
    corona 
   
    reale, 
   
    non 
   
    chè 
   
    dal 
   
    sommo 
   
    Pontefice 
   
    (Innocenzo 
   
    III) 
   
    lo 
   
    stendardo 
   
    di 
   
    S. 
   
    Pie 
   
    tro, 
   
    che 
   
    valeva 
   
    per 
   
    lui 
   
    più 
   
    che 
   
    di 
   
    un' 
   
    altra 
   
    corona. 
  
 
   
    Questi 
   
    fu 
   
    il 
   
    fondatore 
   
    del 
   
    regno 
   
    dei 
   
    Rupeniani, 
   
    i 
   
    quali 
   
    inve 
   
    ce 
   
    di 
   
    montanari 
   
    vennero 
   
    subito 
   
    dichiarati, 
   
    nelle 
   
    lettere 
   
    dei 
   
    Ponte 
   
    fici 
   
    e 
   
    di 
   
    altri, 
   
    Illustrissimi 
   
    e 
   
    Potenti, 
   
    e 
   
    nelle 
   
    venete, 
   
    con 
   
    titolo 
   
    trop 
   
    po 
   
    saperbo, 
   
    Altitonanti
    
     [4]. 
   
    Re 
   
    Leone, 
   
    coronato 
   
    con 
   
    grandissima 
   
    solennità 
   
    per 
   
    le 
   
    mani 
   
    del 
   
    suo 
   
    Patriarca 
   
    e 
   
    del 
   
    Legato 
   
    del 
   
    Papa, 
   
    già 
   
    gran 
   
    cancelliere 
   
    dell' 
   
    Imperatore 
   
    d'Allemagna, 
   
    fu 
   
    ammirato 
   
    dai 
   
    capi 
   
    degli 
   
    stati 
   
    e 
   
    orientali 
   
    e 
   
    occidentali 
   
    che 
   
    attornjavano 
   
    il 
   
    suo 
   
    paese; 
   
    il 
   
    quale 
   
    confinava 
   
    coi 
   
    regoi 
   
    e 
   
    i 
   
    principati 
   
    de' 
   
    Crocia 
   
    ti 
   
    e, 
   
    per 
   
    mezzo 
   
    della 
   
    navigazione, 
   
    comunicava 
   
    con 
   
    altre 
   
    terre 
   
    lontane. 
  
 
   
    La 
   
    felice 
   
    posizione 
   
    della 
   
    Cilicia, 
   
    quasi 
   
    nell'angolo 
   
    che 
   
    con 
   
    giunge 
   
    le 
   
    tre 
   
    parti 
   
    della 
   
    terra 
   
    zillora 
   
    conosciuta, 
   
    quel 
   
    sito 
   
    siouro 
   
    del 
   
    seno 
   
    Egeaico 
   
    (d' 
   
    Aiazzo) 
   
    che 
   
    si 
   
    chiamava 
   
    Golfo 
   
    Armono, 
   
    quei 
   
    porti 
   
    della 
   
    costiera 
   
    celebri 
   
    ab 
   
    antico, 
   
    massime 
   
    quello 
   
    di 
   
    Tarso, 
   
    il 
   
    quale 
   
    poi 
   
    con 
   
    tutti 
   
    gli 
   
    altri 
   
    fu 
   
    ecclissato 
   
    dal 
   
    nuovo 
   
    ed 
   
    incom 
   
    parabile 
   
    porto 
   
    di 
   
    Aiazzo 
   
    o 
   
    Laiazzo,
    
     [5] 
   
    le 
   
    scoperte 
   
    delle 
   
    strade 
   
    commerciali 
   
    dell' 
   
    Asia 
   
    Interiore, 
   
    attiravano 
   
    le 
   
    navi 
   
    di 
   
    tutti 
   
    i 
   
    pae 
   
    si, 
   
    e 
   
    innanzi 
   
    a 
   
    tutti, 
   
    delle 
   
    Repubbliche 
   
    e 
   
    de' 
   
    Comuni 
   
    italiani, 
   
    ver 
   
    so 
   
    quelle 
   
    spiaggie 
   
    divenute 
   
    armene, 
   
    ed 
   
    in 
   
    seguito 
   
    quasi 
   
    totalmen 
   
    te 
   
    verso 
   
    Aiazzo; 
   
    non 
   
    solamente 
   
    porto 
   
    principale 
   
    fra 
   
    tutti 
   
    quel 
   
    li 
   
    dell' 
   
    Armeno-Cilicia, 
   
    della 
   
    Siria 
   
    e 
   
    dell'Asia 
   
    minore, 
   
    e 
   
    quasi 
   
    di 
   
    tutta 
   
    l' 
   
    Asia 
   
    anteriore, 
   
    ma 
   
    gran 
   
    centro 
   
    ancora 
   
    e 
   
    capo 
   
    e 
   
    deposito 
   
    delle 
   
    caravane 
   
    di 
   
    terra. 
  
 
   
    Fintanto 
   
    che 
   
    i 
   
    nostri 
   
    Baroni 
   
    disputavano 
   
    per 
   
    questo 
   
    tratto 
   
    di 
   
    terra 
   
    coi 
   
    loro 
   
    vicini 
   
    invidiosi, 
   
    i 
   
    Soldani 
   
    d' 
   
    Iconio 
   
    e 
   
    d'Aleppo, 
   
    coi 
   
    Greci 
   
    bisantini, 
   
    coi 
   
    Principi 
   
    antiochiani 
   
    e 
   
    con 
   
    altri, 
   
    lo 
   
    stato 
   
    del 
   
    paese 
   
    era 
   
    incerto 
   
    e 
   
    quindi 
   
    cautamente 
   
    visitato. 
   
    Appena 
   
    la 
   
    coro 
   
    na 
   
    raggiò 
   
    sulla 
   
    fronte 
   
    altera 
   
    di 
   
    Leone, 
   
    col 
   
    primo 
   
    saluto 
   
    venne 
   
    pregato 
   
    di 
   
    concessioni 
   
    e 
   
    di 
   
    trattati 
   
    commerciali. 
   
    Naturalmente 
   
    gli 
   
    Italiani, 
   
    allora 
   
    padroni 
   
    del 
   
    mare, 
   
    doveano 
   
    andare 
   
    innanzi 
   
    agli 
   
    altri 
   
    in 
   
    questa 
   
    prerogativa. 
   
    Il 
   
    primo 
   
    trattato 
   
    o 
   
    Privilegio 
   
    di 
   
    commercio 
   
    che 
   
    si 
   
    conosca 
   
    di 
   
    Leone, 
   
    è 
   
    quello 
   
    concesso 
   
    ai 
   
    Geno 
   
    vesi, 
   
    nel 
   
    mese 
   
    di 
   
    marzo 
   
    dell'anno 
   
    primo 
   
    del 
   
    secolo 
   
    XIII, 
   
    seguìto 
   
    pochi 
   
    mesi 
   
    dopo 
   
    da 
   
    un 
   
    altro 
   
    simile 
   
    dato 
   
    a' 
   
    Veneziani. 
   
    Ed 
   
    ormai 
   
    è 
   
    tempo 
   
    che 
   
    ci 
   
    occupiamo 
   
    di 
   
    questi 
   
    soltanto. 
  
 
   
    Che 
   
    prima 
   
    del 
   
    regno 
   
    di 
   
    Leone 
   
    e 
   
    di 
   
    Dandolo 
   
    i 
   
    Veneziani 
   
    approdassero 
   
    al 
   
    paese 
   
    de' 
   
    Rupeniani, 
   
    formando 
   
    relazioni, 
   
    è 
   
    più 
   
    cbe 
   
    probabile: 
   
    infatti 
   
    già 
   
    dal 
   
    tempo 
   
    della 
   
    baronia 
   
    di 
   
    Rupino 
   
    II. 
   
    fratello 
   
    e 
   
    antecessore 
   
    di 
   
    Leone 
   
    (1175-1187), 
   
    la 
   
    Corte 
   
    di 
   
    Roma 
   
    cor 
   
    rispondeva 
   
    coi 
   
    nostri 
   
    Sovrani 
   
    e 
   
    Patriarchi, 
   
    segno 
   
    che 
   
    il 
   
    loro 
   
    governo 
   
    formale 
   
    era 
   
    conosciuto 
   
    anche 
   
    da 
   
    altri 
   
    europei; 
   
    e, 
   
    in 
   
    se 
   
    condo 
   
    luogo, 
   
    si 
   
    sa 
   
    che 
   
    i 
   
    Veneziani 
   
    avevano 
   
    già 
   
    stabilite 
   
    relazioni 
   
    coi 
   
    Principi 
   
    d'Antiochia 
   
    e 
   
    col 
   
    Soldano 
   
    d'Iconio: 
   
    e, 
   
    quel 
   
    che 
   
    è 
   
    più 
   
    essenziale, 
   
    si 
   
    tiene 
   
    come 
   
    certo 
   
    che 
   
    il 
   
    primo 
   
    degli 
   
    Ziani 
   
    (Seba 
   
    stiano) 
   
    avanti 
   
    che 
   
    fosse 
   
    eletto 
   
    doge 
   
    (1171-79) 
   
    abbia 
   
    visitato 
   
    i 
   
    no 
   
    stri 
   
    porti 
   
    armeni, 
   
    forse 
   
    inentre 
   
    andava 
   
    in 
   
    ambasciata 
   
    alla 
   
    Corte 
   
    bi 
   
    santina. 
   
    D'altronde 
   
    il 
   
    Navagero 
   
    anticipa, 
   
    se 
   
    non 
   
    erro, 
   
    questi 
   
    fatti, 
   
    scrivendo: 
   
    « 
   
    La 
   
    Bignoria 
   
    di 
   
    Venezia, 
   
    acciocchè 
   
    i 
   
    suoi 
   
    cittadini 
   
    po 
   
    tessero 
   
    mercantare 
   
    per 
   
    tutto, 
   
    mandò 
   
    uel 
   
    1196 
   
    Messer 
   
    Giacomo 
   
    Ba 
   
    doer 
   
    ambasciatore 
   
    al 
   
    re 
   
    di 
   
    Trebisonda.... 
   
    un 
   
    Bailo 
   
    in 
   
    Trebisonda 
   
    e 
   
    cosi 
   
    nell' 
   
    Armenia, 
   
    e 
   
    alla 
   
    Tana 
   
    un 
   
    Console 
   
    ». 
   
    À 
   
    me 
   
    pare, 
   
    mol 
   
    to 
   
    più 
   
    tardi 
   
    compariscono 
   
    i 
   
    primi 
   
    Baili 
   
    d'Armenia; 
   
    e 
   
    a 
   
    questi 
   
    del 
   
    principio 
   
    il 
   
    Bailo 
   
    di 
   
    S. 
   
    Giovanni 
   
    d'Acri, 
   
    ossia 
   
    Accone, 
   
    paga 
   
    va 
   
    il 
   
    salario. 
   
    Ad 
   
    ogni 
   
    modo 
   
    è 
   
    certo 
   
    che 
   
    il 
   
    primo 
   
    ambasciatore 
   
    che 
   
    si 
   
    sappia 
   
    mandato 
   
    alla 
   
    Corte 
   
    di 
   
    Sis, 
   
    cioè 
   
    alla 
   
    capitale 
   
    del 
   
    l'armeno-Cilicia, 
   
    da 
   
    Dandolo 
   
    a 
   
    Leone, 
   
    fu 
   
    Gircomo 
   
    figlio 
   
    di 
   
    Giov. 
   
    Badoer, 
   
    a 
   
    cui 
   
    il 
   
    nostro 
   
    Re 
   
    consegnò 
   
    nel 
   
    mese 
   
    di 
   
    dicembre 
   
    del 
   
    l'anno 
   
    1201 
   
    il 
   
    primo 
   
    Privilegio, 
   
    ossia 
   
    trattato 
   
    di 
   
    commercio, 
   
    in 
   
    doppio 
   
    esemplare, 
   
    armeno 
   
    e 
   
    latino, 
   
    quello 
   
    perduto, 
   
    questo 
   
    con 
   
    servato 
   
    (non 
   
    nell' 
   
    originale 
   
    bollato 
   
    coll' 
   
    aureo 
   
    sigillo 
   
    reale, 
   
    ma 
   
    in 
   
    copia 
   
    antica), 
   
    nell'archivio 
   
    di 
   
    Venezia; 
   
    e, 
   
    benchè 
   
    pubblicato 
   
    in 
   
    varie 
   
    collezioni 
   
    speciali, 
   
    lo 
   
    diamo 
   
    anche 
   
    noi 
   
    innanzi 
   
    ad 
   
    ogni 
   
    altro 
   
    Documento 
   
    armeno-veneto.
    
     [6] 
  
 
   
    Qui 
   
    citeremo 
   
    in 
   
    succinto 
   
    i 
   
    capi 
   
    del 
   
    trattato, 
   
    che 
   
    servi 
   
    di 
   
    mo 
   
    dello 
   
    a 
   
    tutti 
   
    i 
   
    seguenti 
   
    privilegi 
   
    dati 
   
    dai 
   
    nostri 
   
    Re 
   
    a' 
   
    Veneziani, 
   
    In 
   
    primo 
   
    luogo 
   
    Leone 
   
    concede 
   
    al 
   
    Doge 
   
    e 
   
    a 
   
    qualunque 
   
    Veneziano 
   
    libera 
   
    entrata, 
   
    uscita 
   
    e 
   
    circolazione 
   
    nell'intiero 
   
    suo 
   
    paese, 
   
    con 
   
    tutti 
   
    i 
   
    loro 
   
    averi; 
   
    2. 
   
    Ma 
   
    ad 
   
    ogni 
   
    modo 
   
    i 
   
    Veneti 
   
    che 
   
    abitano 
   
    oltre 
   
    mare 
   
    (cioè 
   
    in 
   
    Oriente), 
   
    dovrebbero 
   
    pagare 
   
    il 
   
    diritto 
   
    (doganale) 
   
    come 
   
    qualunque 
   
    altro 
   
    cristiano 
   
    nel 
   
    passare 
   
    la 
   
    Portella
    
     [7], 
   
    ove 
   
    era 
   
    no 
   
    stabilite 
   
    le 
   
    dogane 
   
    principali 
   
    del 
   
    governo, 
   
    verso 
   
    i 
   
    confini 
   
    d'Antiochia. 
   
    3. 
   
    Oro 
   
    ed 
   
    argento 
   
    importato 
   
    per 
   
    essere 
   
    coniato 
   
    in 
   
    'moneta, 
   
    sia 
   
    sottoposto 
   
    alla 
   
    tassa, 
   
    come 
   
    si 
   
    faceva 
   
    anche 
   
    in 
   
    Acri. 
   
    In 
   
    seguito 
   
    di 
   
    tempo 
   
    fù 
   
    determinato 
   
    che 
   
    la 
   
    metà 
   
    dell' 
   
    argento 
   
    da 
   
    convertire 
   
    in 
   
    moneta 
   
    dovesse 
   
    mettersi 
   
    nella 
   
    zecca 
   
    del 
   
    Re: 
   
    e 
   
    benchè 
   
    la 
   
    con 
   
    dizione 
   
    fosse 
   
    grave, 
   
    pure 
   
    diversi 
   
    decreti 
   
    del 
   
    Senato 
   
    o 
   
    del 
   
    Maggior 
   
    Consiglio 
   
    veneto 
   
    ne 
   
    raccomandaronu 
   
    la 
   
    puntuale 
   
    esecuzione. 
   
    4. 
   
    Le 
   
    persone 
   
    e 
   
    le 
   
    abitazioni 
   
    de' 
   
    Veneziani 
   
    saranno 
   
    guarantite 
   
    incolumi. 
   
    5. 
   
    Cosi 
   
    pure 
   
    nel 
   
    caso 
   
    de' 
   
    paufragi: 
   
    ma 
   
    se 
   
    nel 
   
    legno 
   
    affondato 
   
    si 
   
    trovassero 
   
    robe 
   
    di 
   
    non 
   
    Veneziani, 
   
    dovranno 
   
    essere 
   
    confiscate. 
   
    6. 
   
    I 
   
    danni 
   
    sofferti 
   
    da 
   
    Veneti 
   
    nel 
   
    loro 
   
    passaggio 
   
    dal 
   
    l'Armenia 
   
    altrove, 
   
    saranno 
   
    risarciti 
   
    dal 
   
    Re. 
   
    7. 
   
    Saranno 
   
    rispettati 
   
    i 
   
    testamenti 
   
    de' 
   
    Veneziani; 
   
    e, 
   
    in 
   
    caso 
   
    di 
   
    morte 
   
    ab 
   
    intestato, 
   
    le 
   
    robe 
   
    del 
   
    morto 
   
    si 
   
    dieno 
   
    a' 
   
    concittadini 
   
    di 
   
    lui: 
   
    se 
   
    questi 
   
    non 
   
    vi 
   
    sono, 
   
    sa 
   
    ranno 
   
    deposte 
   
    presso 
   
    il 
   
    Cancelliere 
   
    del 
   
    Re, 
   
    il 
   
    quale 
   
    ordinariamente 
   
    era 
   
    l'Arcivescovo 
   
    di 
   
    Sis. 
   
    Si 
   
    vede 
   
    da 
   
    questo 
   
    capitolo 
   
    che 
   
    non 
   
    vi 
   
    era 
   
    ancora 
   
    Bailo 
   
    stabile 
   
    sotto 
   
    il 
   
    regno 
   
    di 
   
    Leone. 
   
    8. 
   
    Le 
   
    cause 
   
    de' 
   
    Vene 
   
    ziani 
   
    si 
   
    trattino 
   
    da 
   
    loro 
   
    connazionali; 
   
    e 
   
    se 
   
    non 
   
    potessero 
   
    essi, 
   
    le 
   
    definisca 
   
    il 
   
    suddetto 
   
    Cancelliere 
   
    del 
   
    Re 
   
    a 
   
    Sis. 
   
    9. 
   
    Perd 
   
    i 
   
    casi 
   
    di 
   
    omi 
   
    cidio 
   
    devono 
   
    esaminarsi 
   
    delle 
   
    assise 
   
    del 
   
    Re. 
   
    10. 
   
    Cosi 
   
    pure 
   
    le 
   
    oan 
   
    se 
   
    d'un 
   
    Veneto 
   
    con 
   
    uno 
   
    straniero. 
   
    11. 
   
    Il 
   
    Re 
   
    concede 
   
    ai 
   
    Venezia 
   
    ni 
   
    abitazione, 
   
    chiesa, 
   
    sacerdote 
   
    e 
   
    fondaco 
   
    nella 
   
    città 
   
    di 
   
    Mamestia 
   
    o 
   
    Messis 
   
    (l'antica 
   
    Mopsuestia). 
   
    12. 
   
    È 
   
    loro 
   
    permesso 
   
    di 
   
    abitare 
   
    dove 
   
    vogliono 
   
    in 
   
    tutto 
   
    il 
   
    regno. 
   
    Ciò 
   
    mostra 
   
    che 
   
    il 
   
    Re 
   
    loro 
   
    re 
   
    galava 
   
    il 
   
    terreno 
   
    per 
   
    le 
   
    case 
   
    e 
   
    per 
   
    la 
   
    chiesa 
   
    a 
   
    Mamestia, 
   
    ma 
   
    che 
   
    in 
   
    altri 
   
    luoghi 
   
    i 
   
    Veneziani 
   
    dovevano 
   
    procurarsela 
   
    da 
   
    se 
  
 
   
    La 
   
    città 
   
    di 
   
    Mamestia 
   
    è 
   
    situata 
   
    sopra 
   
    il 
   
    fiume 
   
    Giaban 
   
    o 
   
    Gi 
   
    hun 
   
    (l'antico 
   
    Pyramis), 
   
    il 
   
    quale 
   
    era 
   
    allora 
   
    navigabile 
   
    a 
   
    legni 
   
    mediocri, 
   
    che 
   
    potevano 
   
    scambiare 
   
    le 
   
    loro 
   
    merci 
   
    con 
   
    quelle 
   
    arri 
   
    vate 
   
    per 
   
    terra 
   
    insieme 
   
    alle 
   
    caravane 
   
    asiatiche. 
   
    Quindici 
   
    anni 
   
    dopo, 
   
    Leone 
   
    rinnovando 
   
    il 
   
    privilegio 
   
    dato 
   
    ai 
   
    Genovesi, 
   
    concedeva 
   
    loro 
   
    abitazione 
   
    in 
   
    due 
   
    o 
   
    tre 
   
    altre 
   
    città. 
   
    Riguardo 
   
    ai 
   
    Veneziani 
   
    non 
   
    si 
   
    tro 
   
    va 
   
    altro, 
   
    e 
   
    bisogna 
   
    trascorrere 
   
    45 
   
    anni 
   
    per 
   
    incontrare 
   
    un 
   
    altro 
   
    Pri 
   
    vilegio 
   
    dato 
   
    nel 
   
    1245 
   
    da 
   
    Aitone 
   
    I. 
   
    (Hethum), 
   
    a 
   
    richiesta 
   
    del 
   
    doge 
   
    Giacomo 
   
    Tiepolo, 
   
    per 
   
    mezzo 
   
    del 
   
    suo 
   
    ambasciatore 
   
    Pietro 
   
    Dandolo 
   
    (2). 
  
 
   
    Credo 
   
    utile 
   
    notare 
   
    che 
   
    questo 
   
    Hethum 
   
    non 
   
    era 
   
    propriamen 
   
    te 
   
    dalla 
   
    famiglia 
   
    Rupeniana, 
   
    ma 
   
    di 
   
    quella 
   
    Hothumiana, 
   
    la 
   
    più 
   
    bobile 
   
    dopo 
   
    la 
   
    prima, 
   
    e 
   
    fù 
   
    sposato 
   
    & 
   
    Zabel, 
   
    ossia 
   
    a 
   
    Isabella 
   
    uni 
   
    ca 
   
    figlia 
   
    ed 
   
    erede 
   
    del 
   
    Magnifico 
   
    Leone: 
   
    i 
   
    suoi 
   
    successori 
   
    regna 
   
    ancora 
   
    un 
   
    secolo, 
   
    dopo 
   
    la 
   
    data 
   
    del 
   
    Privilegio 
   
    citato, 
   
    sem 
   
    pre 
   
    conservando 
   
    il 
   
    titolo 
   
    di 
   
    Rupeniani, 
   
    benchè 
   
    tali 
   
    fossero 
   
    sol 
   
    tanto 
   
    dal 
   
    lato 
   
    materno. 
  
 
   
    Questo 
   
    Privilegio 
   
    di 
   
    Hethum, 
   
    donato 
   
    non 
   
    solo 
   
    a 
   
    nome 
   
    suo, 
   
    ma 
   
    anche 
   
    della 
   
    consorte 
   
    regina 
   
    Zabel, 
   
    in 
   
    fatto 
   
    di 
   
    condizioni 
   
    quasi 
   
    Qulla 
   
    contiene 
   
    di 
   
    nuovo; 
   
    eocetto 
   
    che 
   
    sottomette 
   
    al 
   
    giudi 
   
    zio 
   
    del 
   
    suo 
   
    gran 
   
    Cancelliere 
   
    (l' 
   
    Arcivescovo 
   
    di 
   
    Bis) 
   
    le 
   
    liti 
   
    indecise 
   
    tra 
   
    Veneziani; 
   
    e 
   
    che 
   
    la 
   
    consegna 
   
    delle 
   
    robe 
   
    dei 
   
    defunti 
   
    ab 
   
    intesta 
   
    to 
   
    usige 
   
    scrittura 
   
    segnata 
   
    dal 
   
    Bailo 
   
    di 
   
    Acri 
   
    e 
   
    dal 
   
    Doge 
   
    stesso. 
   
    Ma 
   
    un 
   
    altro 
   
    Privilegio 
   
    emanato 
   
    pure 
   
    da 
   
    Hethum 
   
    del 
   
    1261, 
   
    (mese 
   
    di 
   
    govembre) 
   
    e 
   
    che 
   
    credo 
   
    finora 
   
    inedito
    
     [8], 
   
    dimandato 
   
    dal 
   
    Doge 
   
    Ranieri 
   
    Zeno, 
   
    per 
   
    mezzo 
   
    dell'ambasciatore 
   
    Giovanni 
   
    Ze 
   
    no, 
   
    scritto 
   
    per 
   
    mano 
   
    del 
   
    cancelliere 
   
    arcivescovo 
   
    Toros 
   
    (Teodoro) 
   
    e 
   
    rogato 
   
    per 
   
    mano 
   
    di 
   
    Giovanni 
   
    prete, 
   
    notaio 
   
    veneto 
   
    in 
   
    Acri, 
   
    oltre 
   
    la 
   
    conferma 
   
    degli 
   
    articoli 
   
    già 
   
    conosciuti, 
   
    aggiunge 
   
    la 
   
    conces 
   
    sione 
   
    d'abitazione 
   
    e 
   
    di 
   
    fondaco 
   
    a 
   
    Sis 
   
    la 
   
    capitale; 
   
    e, 
   
    quel 
   
    che 
   
    è 
   
    di 
   
    sommo 
   
    interesse, 
   
    anche 
   
    nell'Ayazzo. 
   
    « 
   
    Et 
   
    apud 
   
    Jatiasi 
   
    da 
   
    bimus 
   
    eis 
   
    locum 
   
    ad 
   
    faciendum 
   
    domum 
   
    ». 
   
    Ed 
   
    ecco 
   
    quasi 
   
    la 
   
    più 
   
    antica 
   
    citazione 
   
    del 
   
    nome 
   
    di 
   
    quest 
   
    importantissimo 
   
    luogo 
   
    che 
   
    fin 
   
    ora 
   
    siasi 
   
    trovato, 
   
    si 
   
    nelle 
   
    scritture 
   
    nazionali 
   
    che 
   
    nelle 
   
    straniere; 
   
    e 
   
    siccome 
   
    non 
   
    ce 
   
    n'era 
   
    nessun 
   
    indizio 
   
    nel 
   
    primo 
   
    privilegio 
   
    di 
   
    Hethum, 
   
    la 
   
    ragione 
   
    vuole 
   
    che 
   
    s'ammetta 
   
    questo 
   
    celebre 
   
    porto 
   
    d'Ayazzo 
   
    essere 
   
    stato 
   
    aperto 
   
    nell'intervallo 
   
    dal 
   
    1245 
   
    e 
   
    1261. 
   
    Il 
   
    notaio 
   
    succitato 
   
    avea 
   
    veduto, 
   
    in 
   
    uno 
   
    colla 
   
    traduzione 
   
    latina 
   
    del 
   
    cancelliere 
   
    Toros, 
   
    l'originale 
   
    armeno 
   
    col 
   
    sigillo 
   
    aureo; 
   
    ora 
   
    non 
   
    esiste 
   
    che 
   
    una 
   
    copia 
   
    latina 
   
    (3). 
  
 
   
    L'apertura 
   
    del 
   
    porto 
   
    d'Ayazzo 
   
    al 
   
    commercio 
   
    internazionale, 
   
    direi 
   
    anzi 
   
    universale, 
   
    osigeva 
   
    lo 
   
    stabilimento 
   
    dei 
   
    rappresentanti 
   
    dei 
   
    governi 
   
    e 
   
    comunità 
   
    mercantili, 
   
    sotto 
   
    qualsiasi 
   
    appellazione; 
   
    o 
   
    Bailo 
   
    come 
   
    era 
   
    quello 
   
    dei 
   
    Veneziani, 
   
    o 
   
    Console 
   
    secondo 
   
    l'uso 
   
    dei 
   
    Genovesi 
   
    e 
   
    Pisani. 
   
    Nell'ultimo 
   
    privilegio 
   
    che 
   
    ci 
   
    mostro 
   
    Ayazzo, 
   
    non 
   
    si 
   
    preseuta 
   
    ancora 
   
    il 
   
    Bailo 
   
    Veneto; 
   
    ma 
   
    nel 
   
    susseguente, 
   
    donato 
   
    dal 
   
    figlio 
   
    e 
   
    successore 
   
    di 
   
    Hethum, 
   
    Loone 
   
    II, 
   
    nell'anno 
   
    primo 
   
    della 
   
    sua 
   
    incoronazione 
   
    (1271), 
   
    a 
   
    richiesta 
   
    del 
   
    Doge 
   
    Tiepolo 
   
    Lorenzo 
   
    per 
   
    mezzo 
   
    dell'ambasciatore 
   
    Pancrazio 
   
    Malipiero, 
   
    (tradotto 
   
    in 
   
    francese 
   
    da 
   
    un 
   
    Jeoffroy 
   
    interprete 
   
    del 
   
    Re, 
   
    si 
   
    trova 
   
    citato 
   
    la 
   
    prima 
   
    volta 
   
    il 
   
    Bailo 
   
    Veneto 
   
    d' 
   
    Armenia 
   
    (4). 
   
    Negli 
   
    archivi 
   
    veneti, 
   
    ossia 
   
    nei 
   
    decreti 
   
    del 
   
    Consiglio 
   
    e 
   
    del 
   
    Senato 
   
    lo 
   
    trovo 
   
    tre 
   
    anni 
   
    posteriormente, 
   
    cioè 
   
    nell'anno 
   
    1274, 
   
    il 
   
    14 
   
    d'agosto 
   
    (16), 
   
    e 
   
    pare 
   
    effettivamente 
   
    la 
   
    prima 
   
    citazione 
   
    in 
   
    quei 
   
    preziosi 
   
    documenti, 
   
    perchè 
   
    l'epigrafe 
   
    porta : 
   
    « 
   
    Incipiunt 
   
    consilia 
   
    Bajulo 
   
    Armeniae 
   
    per 
   
    tinentia. 
   
    » 
   
    Mi 
   
    pare 
   
    che 
   
    a 
   
    questo 
   
    primo 
   
    decreto 
   
    (ad 
   
    oggetto 
   
    di 
   
    compra 
   
    di 
   
    bambagi) 
   
    acceppi 
   
    il 
   
    Foscarini 
   
    nella 
   
    sua 
   
    Letteratura 
   
    Venesiana 
   
    (ed. 
   
    1854 
   
    pag. 
   
    52) 
   
    parlando 
   
    dei 
   
    Consoli 
   
    e 
   
    Baili 
   
    di 
   
    Costantinopoli, 
   
    Soria, 
   
    Tunisi 
   
    e 
   
    Armenia: 
   
    «Un 
   
    decreto 
   
    del 
   
    secolo 
   
    medesimo 
   
    (del 
   
    mille 
   
    dugento) 
   
    ce 
   
    li 
   
    rappresenta 
   
    in 
   
    quest'ultimo 
   
    luogo 
   
    assistiti 
   
    da 
   
    una 
   
    eletta 
   
    ragunanza 
   
    d'uomini 
   
    nazionali, 
   
    o 
   
    col 
   
    voto 
   
    di 
   
    essi 
   
    risolvere 
   
    le 
   
    quistioni 
   
    più 
   
    gravi. 
   
    » 
  
 
  
  
   
  
    
   
      
       [1]           
     
      Omero, 
     
      Iliade, 
     
      II, 
     
      85. 
     
      V, 
     
      577.
    
   
   
  
    
   
      
       [2]           
     
      Strabone, 
     
      XIII, 
     
      607. 
     
      - 
     
      Livio 
     
      I, 
     
      I. 
     
      - 
     
      Corn. 
     
      Nepo. 
     
      - 
     
      Il 
     
      Filiasi 
     
      (1, 
     
      82) 
     
      pare 
     
      credosso 
     
      che 
     
      Erodoto 
     
      (I, 
     
      196) 
     
      abbia 
     
      detto 
     
      essere 
     
      i 
     
      Voneti 
     
      colonia 
     
      do' 
     
      Medi, 
     
      ma 
     
      il 
     
      padre 
     
      degli 
     
      storici 
     
      parla 
     
      dei 
     
      Sigoni, 
     
      e 
     
      non 
     
      dei 
     
      Veneti.
    
   
   
  
    
   
      
       [3]           
     
      Che 
     
      amassero 
     
      i 
     
      Veneti 
     
      la 
     
      cavalcatura 
     
      malgrado 
     
      la 
     
      posizione 
     
      marito 
     
      tima 
     
      della 
     
      capitale, 
     
      è 
     
      attestato 
     
      dai 
     
      loro 
     
      storici, 
     
      coll'aggiunta 
     
      del 
     
      singolaro 
     
      loro 
     
      gasto 
     
      di 
     
      coprire 
     
      i 
     
      cavalli 
     
      in 
     
      colore 
     
      d'arancio.
    
   
   
  
    
   
      
       [4]           
     
      I 
     
      Ro 
     
      armeni 
     
      della 
     
      Cilicia, 
     
      nelle 
     
      loro 
     
      lettere 
     
      s'intitolavano 
     
      N. 
     
      N. 
     
      del 
     
      Malta 
     
      e 
     
      potente 
     
      stirpe 
     
      dei 
     
      Rupeniani; 
     
      pare 
     
      che 
     
      la 
     
      Cancelleria 
     
      Veneta 
     
      o 
     
      male 
     
      intendendo 
     
      o 
     
      per 
     
      adulazione, 
     
      abbia 
     
      tuonato 
     
      cosi.
    
   
   
  
    
   
      
       [5]           
     
      Il 
     
      principale 
     
      a 
     
      celebratissimo 
     
      porto 
     
      dell'Armeno-Cilicia, 
     
      anticamente 
     
      chiamato 
     
      Aegae 
     
      o 
     
      Aegea 
     
      per 
     
      chi 
     
      aveva 
     
      il 
     
      nome 
     
      di 
     
      Seno 
     
      Egeaceo, 
     
      ora 
     
      cono 
     
      sciuto 
     
      sotto 
     
      il 
     
      nome 
     
      di 
     
      Golfo 
     
      d'Alessandretta, 
     
      o 
     
      nel 
     
      Medio 
     
      evo 
     
      Golfo 
     
      o 
     
      Mare 
     
      Armeno.
    
                
     
      Gli 
     
      Armeni 
     
      restaurando 
     
      il 
     
      porto 
     
      vi 
     
      formarono 
     
      una 
     
      città 
     
      cospicua 
     
      e 
     
      fio 
     
      rentissima 
     
      per 
     
      il 
     
      commercio, 
     
      e 
     
      la 
     
      chiamavano 
     
      Ayas, 
     
      Այաս, 
     
      d'onde 
     
      l'italiano 
     
      Ayazzo 
     
      o 
     
      Ayaccio 
     
      al 
     
      quale 
     
      fu 
     
      aggiunto 
     
      l'articolo 
     
      e 
     
      prevalse 
     
      il 
     
      nome 
     
      Layaz 
     
      zo: 
     
      si 
     
      scrive 
     
      anche 
     
      La 
     
      Giazza, 
     
      La 
     
      Jazza. 
     
      Chi 
     
      volesse 
     
      avere 
     
      un'ampia 
     
      idea 
     
      di 
     
      questo 
     
      emporio 
     
      di 
     
      prima 
     
      classe, 
     
      consulti 
     
      l'opera 
     
      magistrale 
     
      del 
     
      Heyd 
     
      sulla 
     
      Storia 
     
      del 
     
      Commercio 
     
      di 
     
      Levante 
     
      nel 
     
      medio 
     
      evo 
     
      (traduzione 
     
      francese, 
     
      Vol. 
     
      II. 
     
      p. 
     
      74-92). 
     
      Più 
     
      estesamente 
     
      se 
     
      n'è 
     
      parlato 
     
      nella 
     
      descrizione 
     
      ge 
     
      nerale 
     
      dell'Armeno-Cilicia 
     
      (Sissuan, 
     
      in 
     
      armeno, 
     
      p. 
     
      356-395), 
     
      ove 
     
      si 
     
      notano 
     
      alcune 
     
      citazioni 
     
      sul 
     
      Layazzo 
     
      nella 
     
      olassica 
     
      letteratura 
     
      italiana; 
     
      per 
     
      esempio 
     
      quella 
     
      di 
     
      Boccaccio 
     
      (Giorno 
     
      VI, 
     
      Raccon. 
     
      VII. 
     
      G. 
     
      IX 
     
      Rac. 
     
      X); 
     
      il 
     
      quale 
     
      vi 
     
      veva 
     
      appunto 
     
      nel 
     
      tempo 
     
      più 
     
      fiorito 
     
      di 
     
      Ayazzo. 
    
                
     
      - 
     
      L'Ariosto 
     
      che 
     
      scriveva 
     
      quasi 
     
      un 
     
      secolo 
     
      e 
     
      mezzo 
     
      dopo 
     
      la 
     
      catastro 
     
      fo 
     
      d'Ayazzo, 
     
      ricorda 
     
      con 
     
      felice 
     
      memoria 
     
      ancora 
     
      ambidue 
     
      i 
     
      castelli 
     
      d'Ayazzo 
     
      (Orl. 
     
      Fur. 
     
      XLX, 
     
      54). 
    
                
     
      «Nel 
     
      Golfo 
     
      di 
     
      Layazzo 
     
      in 
     
      ver 
     
      di 
     
      Soria, 
    
                
     
      Sopra 
     
      una 
     
      gran 
     
      città 
     
      si 
     
      trovò 
     
      sorto;
    
                
     
      Egi 
     
      vicino 
     
      al 
     
      lito, 
     
      che 
     
      sopria 
    
                
     
      L'uno 
     
      e 
     
      l'altro 
     
      castel 
     
      che 
     
      porta 
     
      il 
     
      Porto».
    
   
   
  
    
   
      
       [6]           
     
      Questi 
     
      comori 
     
      chiamano 
     
      i 
     
      Documenti 
     
      (Parte 
     
      II).
    
   
   
  
    
   
      
       [7]           
     
      Cosi 
     
      detta 
     
      por 
     
      una 
     
      antica 
     
      porta 
     
      di 
     
      marmo 
     
      nella 
     
      stretta 
     
      delle 
     
      montagne, 
     
      vicino 
     
      all'attpale 
     
      Alessandretta, 
     
      le 
     
      famose 
     
      Pile 
     
      della 
     
      Cilicia 
     
      e 
     
      della 
     
      Siria, 
     
      posta 
     
      in 
     
      mezzo 
     
      di 
     
      questi 
     
      due 
     
      paesi, 
     
      per 
     
      la 
     
      quale 
     
      doveva 
     
      passare 
     
      necessa 
     
      riamento 
     
      chi 
     
      se 
     
      ne 
     
      andava 
     
      o 
     
      ritornava.
    
   
   
  
    
   
      
       [8]           
     
      Questo 
     
      documento 
     
      si 
     
      trovava 
     
      fra 
     
      quelli 
     
      trasportati 
     
      da 
     
      Venezia 
     
      a 
     
      Vienna, 
     
      e 
     
      di 
     
      là 
     
      ritornati 
     
      al 
     
      loro 
     
      posto 
     
      primiero 
     
      (negli 
     
      Archivi 
     
      di 
     
      Venezia), 
     
      do 
     
      po 
     
      la 
     
      formazione 
     
      del 
     
      nuovo 
     
      Regno 
     
      d'Italia.