L'Armeno-Veneto. Compendio storico e documenti

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LE RELAZIONI DELLA REPUBBLICA  DELLA CORTE DI SIS 

Abbiamo notata l'origine delle relazioni della Repubblica veneta col nuovo regno degli Armeni di Cilicia, cominciate sot to i governi d'Enrico Dandolo e di Leone il Magnifico, salutate e assodate col Privilegio di questo, il quale divenne poi il pro totipo di molti altri trattati che nel corso di un secolo e mezzo si rinnovarono ad ogni nuovo regno, e qualche volta si ripeteva no sotto uno stesso regnante, come abbiamo veduto sotto Hethum, successore di Leone negli anni 1245, 1261: e benchè non se ne abbia prova, si deve tener per certo che prima di questi due ne abbia emapato uno nell'ascendere al trono reale, nell'anno 1226, sotto la tutela del suo potente e avveduto padre Costanti no detto il Bailo e Principe de principi. Ricordammo anche il Privilegio di Leone II nell'anno della sua incoronazione (1271); e siccome nel 1288, penultimo anno del regno, ne emand uno per i Genovesi assegoando minutamente le tasso per ciascun genere di merci nell'entrata e nell'uscita dallo stato, è molto verosi mile che abbia fatto egualmente per i Veneziani, e forse ante riormente, quando cioè il Bailo veneto per ordine del suo go verno (10 agosto, 1287) dovea presentarsi per un affare (ignoto a noi) di certo Giovanni Captoli (31). Si sa pure che l'anno 1284 per consenso del Maggior Consiglio (12 agosto), il Bailo di 8. Giovanni d'Acri vendette al nostro Re una tarita al prezzo di 800 bisanzi, (24)

Sotto Leone II, l'anno stesso in cui emanava il suo Privi. legio a favore dei Veneziani (1271), il famosissimo loro viaggiatore Marco Polo si trovava nell'Armenia col padre e collo zio; e pare che, per temperare il lungo tedio, aspettando l'elezione del nuovo l'apa, si divertisse ool paragonare il va o vieni delle carovane di quel neonato porto armeno, Ayazzo, con quello del la sua incomparabile patria (Venezia); come anche i racconti del suo genitore, con quelli del Re Aethum e del fratello di quest'ul timo, Sempad il Contestabile, sulle condizioni e meraviglie di quei lontani paesi orientall, i quali fra pochi anni dovevano essere da lui visitati, e mirabilmente descriti. Si può dire che da quel porto d'Ayazzo, Marco prese il suo slancio, imbarcato sopra un bastimento armeno, e condotto a S. Giovanni d'Acri a prov vedersi della benedizione del nuovo Papa Gregorio [1], per il suo sempre memorabile viaggio: la cui descrizione, come ognuno sa, comincia appunto colla partenza da Ayazzo; e quantunque no tissima non si può resistere al desiderio di ripetere qui il preomio

«Per dar principio a Darrar delle provincie che M. Marco Polo ha viste nell'Asia, delle cose degne di notizia, che in quelle ha ritrovate, dico che sono due Armenie, una detta Minore e l'altra Maggiore. Del Reame dell'Armenia Minore è signore un Re che abita in una città detta Sebastoz [2]. Sopra il mare è una città detta La Giazza terra di gran traffico; al suo porto vengono molti mercanti da Venezia, da Genova  e da molte altre regioni, con molte mercanzie di diverse specie ; panni di seta e di lana e di altre preziose ricchezze ; ed  anco quelli che vogliono entrare più dentro nelle terre di Levante, vanno primieramente al detto porto di Giazza »

Morto Leone II ( 6 febb . 1289), gli successe il primogenito  fra i sette suoi figli viventi, Hethum II, il quale praticò una vita  singolare ; sovrano, soldato e monaco in pari tempo : possiamo dire  anche letterato e sempre in abilità. Avendo egli particolare divozione a S. Francesco d'Assisi ed al suo ordine, fino della tenera  età aveva concepito il disegno d'ascriversi, e lo compi prendendo nome di Fra Gioranni; ma non rinunziò affatto al regno perchè conosceva bene il carattere dei fratelli minori , bollenti di  sangue e smaniosi di gloria ; i quali aspirando alla successione potevano metterla in pericolo, siccome pur troppo ne diedero  prova in seguito. Hethum assunse ad interim il regno, ma non  volle mai incoronarsi ; secondo i tempi e gli eventi, ora saliva sul  trono, ora vi facevasalire uno dei fratelli, e da ultimo il nipote  (Leone III ) ; ora si ritrovava in un convento dei Frati Minori indossandone la grossa tonaca ; ed ora si slanciava, vestito dello  stesso abito monacale, contro i nemici della fede e del regno paterno, perseguitandoli fin’a Damasco ed al Cairo, ed inoltrandosi fin alla corte del Chan Tartaro, come altre volte fin' a Gerusalemme. In tal costume religioso-militare, bizzarro agli occhi  del secolo, si trova dipinto in vari monasteri e chiese dell'ordine Francescano. Abbiamo visto noi pure, e forse si vede qui (a  Venezia) a San Giobbe, un ritratto suo in una cella di quell'antico convento francescano, e per caso singolare l'unico che rimane fra il gran numero che ce n'era prima , perchè il custo  de del locale ( quando fu destinato per Orto botanico) sentendo  simpatia a quel Beato, non permise che fosse cancellato come il resto ; tenendo per tradizione che lo stesso fra Giovanni Hethum  avesse un tempo abitato in quella cella. In fatti si tiene che per la sua tragica morte (la quale sarà citata in seguito), per la sua fede e i suoi costumi, fosse il nostro Re considerato fra i Beati di quell' ordine ch'egli ammiro, venendo reciprocamente ammirato. Speriamo venia a questa digressione il cui scopo era di indaga re se anche il nostro Re frate avesse privilegiata la repubblica Veneta con un suo editto, citato espressamante conservato negli Archivi, ma che non dimeno pare indubitabile: perchè in un decreto del Maggior Consiglio (molto posteriormente al fatto) si ordina (21 aprile, 1310) il pagamento dei crediti del Bailo Pan crazio, fra i quali erano 300 deremi di spese, per ricevere il nuo vo privilegio del Ro (46). Ora abbiamo trovato nella serie dei Baili questo Pancrazio negli anni 1289-90, ossia appunto nel pri mo anno del governo di Hethum II; e siccome il Pancrazio era licenziato dal Bailato il 25 luglio 1290 (37), è da credere che dopo la morte di Leone II, ma innanzi al 1290, fosse rinnovato il privilegio ai Veneziani. La quale ipotesi viene ancora confer mata dal fatto che i Genovesi pure avevano ricevuto nuovo Pri vilegio o conferma nell'anno 1289 (come ci assicurano i loro istorici), per mano del loro ambasciatore Benetto Zaccaria, ben che non si trovi adesso la copia di questo privilegio di quello concesso ai Catalani l'anno 1293. L'anno terzo del regno di Hethum (1291, luglio), mandavasi a lui e al Re di Cipro un nuovo ambasciatore dalla repubblica (38); non se ne sa la causa, ma pud supporsi fra le altre il movimento dell'esercito Egiziano; il quale finalmente debello l'ultimo baluardo dei Crociati, S. Giovanni d'Acri, e minacciava i sopradetti due regni di Cipro e d'Armenia. Hethum, da politico circospetto, cedendo alcuni punti nell'estremità del suo paese e confinanti all' egiziano, salvo il resto; ed accomodando le cose interne, ne confert l'amministra zione al fratello suo secondogenito, Thoros, o si ritird fra i suoi Francescani nel 1293, l'anno stesso, in cui accadde la rotta del l'armata veneta nelle aoque d' Ayazzo e cagiond la perturbazione  delle fin allora pacifiche relazioni commerciali dei Veneziani nel l'Armeno-Cilicia. Per la qual cosa si discorreva spesso nei con sigli della repubblica e decretavasi (24 nov. 1294) che dopo i fatti sinistri e la battaglia navale in quel paese, i mercanti salvati potessero ritornare a Venezia con qualsiasi nave (47); e alcuni mesi dopo (25 aprile, 1295) si dava commissione a tre Savi eletti, di esaminare bene l'affare, sotto multa di 25 lire, secondo l'av viso del Doge e suoi consiglieri (50). Lo stesso si ordinava l'anno seguente (15 Feb. 1296), cioè di eleggere tre esaminatori dal numero dei 40 consiglieri (51)

Nei pochi anni del suo governo (1293-6) Thoros sostituito ad Hethum, intitolato Signore o Barone d' Armenia, pare aver accordato ai Veneziani di stabilirsi a Tarso e a Mamestia, come si può dedurre dal Privilegio del suo figlio Leone III (5)

L'anno 1296 Thoros accompagno il fratello religioso che re cavasi & Costantinopoli 8 salutare la sorella Rila sposats al figlio dell'imperatore, e cold Hethum procurd come amico comune, di cementar la pace fra Genovesi e Veneziani. Non è l'unica volta che i sovrani Armeni si prestassero quali mallevadori in favore dei Veneziani e presso una corte più alta, cioè quella di Roma; come fece nel 1310 un altro fratello di Hethuin (Ossin), suppli cando il Pontefice di levar l'interdetto pronunciato contro la re pubblica, e cið si manifesta dalla risposta (severa in riguardo ai Veneti) data dal Papa Clemente V. li 4 aprile, 1310 (366)

Frattanto mentre Hethum e Thoros si trattenevano a Costan. tinopoli, un altro loro fratello più baldo ed audace (Sombate), trovo maniera di cattivarsi non solamente l'esercito e i Baroni, ma anche il Clero, e di consenso del gran Chan di Tartaria, fu solennemente incoronato ro degli Armeni, e come sovrano di tutti nel ritorno dei suoi fratelli maggiori, intercettando loro la strada, li prese, e barbaramente tolse la luce degli occhi a Hethum (il quale la ricuperd poi miracolosamente), ed & Thoros più che la luce, la vita! 

Abbiamo veduto altrove (pag. 27) un contratto di questo Re Sembate con un mercante veneto, Michele Lo Tataro (275), per mezzo del suo ambasciatore & Venezia negli anni 1297-8

Intanto Hethum sano di occhi e di mente, cacciato l'usur patore dal trono prese le redini del governo ed alleatosi coi Tar tari cinse ancora una volta la spada per combattere gli Egiziani, perseguitandoli, fin à un loro fortissimo castello, e spinse la spada dentro la porta ferrata, lasciando trofeo memorabile. Iu diverso modo nel ritorno venuto & Gerusalemme, vi depose lo scettro in offerta al sepoloro del Redentore

Arrivato poi al suo paese e messo tutto in ordine, alzd al trono il tenero fanciullo Leone III figlio dell'infelice Thoros, desti nandogli per isposa la giovine Agnes iglia della propria sorella  Zablun e di Amalrico principe di Tiro, fratello del Re di Cipro. Dopo tutto ciò rientrava Hethum (1301) nel suo tranquillo ritiro claustrale

In questo anno (1301) la repubblica aveva non so che que stione col Barone Ossin, probabilmente fratello di Hethum, per la quale ordinava (1 ottob. ) al Bailo Siniolo di contentarlo scrivendogli cortesamente (256). Più importante fu la raccomandazione fatta l'an no seguente (1 settem. 1302) a Teofilo Mocenigo, che nell' andar in Armenia pregasse il Re od il Rettore d'Ayazzo di don intro durre novità nel trattamento coi mercatanti (257)

Ma una novità più grande e mal'augurata fecero gli stessi Veneziani con l' assalto e la presa della fortezza di terra d'Ayazzo, come si è detto più sopra, donde nacque non poco malumore e controversia fra i due popoli alleati, finchè l'anno 1307 (20 marzo) il giovine Re Leone III emand un nuovo editto di previlegi per i Veneziani (8)

Frattanto soffriva anche la repubblica e si facevano spesso consulti per mandar ambasciate a spianare la difficoltà (111: 113), e per le spese del viaggio far imprestito di due soldi per cento  (60). Eletto ambasciatore (2 agosto, 1306) Giacomo Quirini vi ri punziava a cadeva sotto pena di multa di 20 soldi de grossi, e veniva poi graziato (61). Ordinavasi (29 marzo 1307) nuovo im prestito di 5 soldi %, se non fosse suficiente il 2% della tas sa doi mercanti nell'Armonia (63), ove fu mandato in ambasciata Dolfino Dolin, mentre vigeva ancora a Venezia la questione per trovar modo di soluzione dell'intrigo; e perciò venivano (18 marzo, 1307) eletti 5 sindaci (62). Era raccomandato all'ambasciato re di far risarcire il dando sofferto dai Veneziani, di scemare il oredito di 20, 000 deremi di Marino Signolo, e di 40, 500 der. di Valterone de la Splasa (114), di domandar l'esecuzione della tas sa del 4% e di ristabilire l'ordine antico (115). Fintantochè durava la dissensione fu impedito il navigare verso Armenia (117)

Riusci all' ambasciatore Dolfia dopo aver indennizato i dan neggiati di Ayazzo, d'impetrare il nuovo privileggio dal giovi ne Re, scritto in francese, e sul tenore di quello dato dal suo avolo l'anno 1271, ristringendo un poco la libertà di Veneziani, ordinando che s'avessero a far conoscere nella partenza dal paese, o obbligando il loro Comune & soddisfare l'armeno o lo stranie ro offeso da un veneziano: il Bailo, a garantire quelli de' suoi che venissero imprestar moneta o di farli inscrivere dal capita. oo d'Ayazzo, e dove si trovassero in altre città, il capitano del luogo dovesse mandarli al Bailo ed al capitano d'Ayazzo (8)

Nella raccolta detta Pacia Forrarese si trova altru privilegio già pubblicato e creduto del tempo di oui parliamo; 6880 man. ou di data, di nome, e del fine, ed è dettato in un italiano rozzo o difficile a capire. Per socertarsi dell' età, sarebbe utile conoscere quello di Tommaso Bondumier, ivi citato; che era venuto mes. saggio & dimandare varie grazie. Pare a me quasi certo che tale privilegio debba essere di data anteriore al 1307, perchè molti anni prima era cessato il bailato d'Aori citato in quella scrittura anonima; (dunque deve essere anteriore all'anno 1291) è però emanato da Leone II (1270–89) o perchè vi si tratta la domanda di una chiesa in Ayazzo e del promesso del Re di conce. derla quando venga a stabilirsi il Bailo; cosi pure si parla del tra smutamento d'abitazione da Sis ad Ayazzo. In oltre vi si diman da che il vicario d'Antiochia o l'arcivescovo di Mamestia curas sero i bisogni spirituali dei Veneziani in Ayazzo. Tutto ciò, mo stra che in quel tempo non vi era in questa città chiesa 88 cerdoto veneto, come ve n'erano a Sis e a Mamestia; e siccome nel Privilegio del 1271 Leone II dice concedere una chiesa in Ayazzo, si deve conchiudere che questo privilegio senza data di cui discorriamo, e in cui il donatore cita il padre suo senza no minarlo, deve essere anteriore a quello del 1271: e giusto nello spazio di tempo che corse dal 28 ottobre 1270 al 6 maggio 1271, cioè in quei pochi mesi del governo di Leone prima che fos se incoronato e nominato effettivamente Re

Una delle domande più importanti del messaggio era l'e senzione di tansa (come era in Ayazzo) in cinque altre città, Sis, Mamestia, Adana, Tarso e Coprestian che io credo Copitara, e che fu concessa; ma quando si dimando che la stessa esenzio De fosse estesa anche pei casali, il sovrano feoe distinzione, es sendone alcuni soggetti al Re, il quale poteva comandar , al tri invece appartenenti ai Baroni e Cavalieri, nei quali non po teva il Re esercitare il suo potere liberamente. Lasciamo a chi avrd la fortuna di leggere e di capire l'altre domande e risposte contenute in questo potabile documento (5)

Appena ristabilita la buona armonia fra l'Armenia e la re pubblica, questa ordind regali per il Re ed il Barone Ossin suo zio, e se le spese non si procurassero altrimenti, sieno tolte dalla tassa 1/2 % (130). Ma ecco che quasi nello stesso punto arrivò la notizia del tragico fine del giovine Re armeno o del suo venerabile zio e reggente Hethum, insidiosamente truci dati (17 nov. 1307) dal crudele Tartaro Bilagù luogotenente  del Chan in quelle parti; ma venne egli pure ammazzato per ordine del Chan ad istanza degli ultimi due fratelli gemelli di Hethum, Ossin e Alinac; i quali come la loro nascita voleva, e più ancora, si amavano svisceratamente, e si offrivano viceudevolmente la co rona reale; ma essendo stato Ossin il primo & venir alla luce, consenti & cingersi la coropa solennemente, ritornato che fu Alidac dal suo viaggio alla corte del Tartaro (1308). Fu solle cita la Repubblica ad eleggere invece di Dolfino Dolfin altro ambasciatore, Poscarini Giovanni (5 settembre, 1308), tassando 2 soldi per cento per le spese, valutata a 19 lire di grossi quelle dell'ambasciatore, e 11 L. de grossi per regalo al Re, oltre quelli destinati per Alinac ed altri Baroni (64). Il Foscarini si trovava allora a Corone; gli fu scritto (22 settemb. 1308) da parte del Doge consigliatolo a prepararsi all'ambasciata, procurando l'occorrente con imprestito da chi che sia, così veneto che straniero, che sarebbe soddisfatto a Venezia, dopo due mesi della loro presenza

Nello stesso giorno scrisse il Doge (Pietro Gradenigo) al Re Ossin, raccomandandogli l'ambasciatore; e altrettanto scrisse ad Alinac (261), e con poca differenza a Bethum signor di Coricos, il poto storico, il Marco Polo Armeno e religioso Remonstrateuse, a un altro Hothum signore del castello Neghir (creduto Nogro o Negrino da Latini), il quale viene intitolato Capitano del regno d'Ar media. L'ambasciata fu ritardata per la malattia e la morte del Foscarini, a cui fu sostituito, dopo lungo corso di tempo, (mag gio, 1310) Gregorio Dolfin (46); e perchè i regali destinati erano rimasti a Corone, fu scritto (12 mag. 1310) al castellano di quel luogo di consegnarli al Duovo ambasciatore, e di tenere in riserva gli effetti del defunto Foscarini (265)

Scrisse il Doge al Re Ossin (14 maggio, 1310) raccomandando il nuovo ambasciatore, ed in pari tempo Bailo (267); al quale era raccomandato di diro & viva voce qualche cosa in particolare

Scrisse ancora, come la prima volta, ad altri dignitari; tra i quali al Contestabile Hethum, non solamente la credenziale per l'amba sciatore, ma ringraziamenti per l'affetto che portava questi a Venezia, come lo attestavano il nobile Nicolò Morosini ed altri. Parimenti si rivolse all'altro Hethum, signore di Negbir (264). E per togliere ogni ostacolo alla pace desiderata, raccomando contemporaneamente al Bailo di Negroponte, obbligasse Grioad chino Sanudo, il quale con due galee avea depredato Armeni e Cipriotti, e perciò molti Veneziani erano stati incarcerati, a venire a Venezia e dar conto al Doge del suo fatto, altrimenti sarebbe processato (266). Forse per questo o per altro, venivano a Venezia da parte del nostro Re il milite Gerardo e Nicold Morosini in ambasciata (14 mag. 1310), e ricevevano le risposta del Doge da comunicare poi a vooe al Re (267): e perchè, come si è detto più sopra, (pag. 45) questi si era prestato come interoessore al Papa in favore dei Veneziani, determind il Senato (7 aprile, 1310) che le dimande del Re esaminate dal Consiglio dei Dieci, fossero con fermate come se decretato dal Maggior Consiglio (65). E per portare al Re ciò che gli ora destinato, si commise all' ambsoia tore armasse una tarita di 20 o 22 marinai e non più (66); ma quegli avendo già noleggiata una galea di 30 o 35 uomini, si lascid ai Consoli dei Marinai di permettergli quest'ultima im. barcazione (70). Fu ancora concesso all'ambasciatore di perce pire dalla tassa del 1/2% quel tanto che bastasse per il ristauro dei magazzini e di altri looali del comune de' suoi nazionali nel l'Armenia e darne conto (268). Non è da dubitare che la prima dimanda dell' ambasciatore al Re fosse la conferma dei Privilegi dei suoi antenati. Come di tanti altri, non c'è memoria d'alcan editto di Ossin; ma che abbia concluso il desiderato Privilegio, lo assicura il proprio figlio (Leone IV) in quello dell'anno 1321 : « Nous veant l' honorable Privilege que notre père le Roy Osim « avoit ordoné et otroié a l'honorable et puisent comun de « Venise »

Credo cosa grata ai lettori conoscere i titoli, coi quali si dirigevano le lettere al Re e ai principi armeni, registrati per porma dei libri dei Patti (274), e obe servino questi ad indicare la frequente corrispondenza della repubblica sotto i regni di Ossin e del figlio Leone IV, la quale viene confermata dal gran numero di ambasciate: perciocobè poco dopo la partenza di Gr. Dolin, nello stesso anno 1310 (24 sett. e 10 ottob. ) si decretava di ven dere i doni ricevuti dal Re, drappi di seta e drappi d'oro, e al valore del prezzo ricavato preparare contracambio di regali; ma bon riuscendo a questo scopo, li fanno apprezzare a 20 lire di grossi e per tanti si ordina far il cambio (71. 72). All'ambasciatore che si preparava a partire, si permette (10 luglio 1310) di estrarre 560 remi grandi e piccoli per armare due galee e una nave (74)

Si lioonza al Bailo Dolfio (11 lugl. 1311), permettendogli di ritornare con la galea di Bembo Dardi (che doveva caricare merci in Armenia e in Cipro), con obbligo di condurre senza mercede il nuovo ambasciatore, che fu Nicolò Morosini (73), ri cordato nel decreto del 10 nov. 1311, (76). Di nuovo nel prin cipio del 1314 s'inviava l'altro ambasciatore con presenti al Re, facendo imprestito per mezzo degli Ufficiali del mare, ai quali si doveva poi restituire colla tassa di 1/2 % (82). Pochi mesi dopo (21 luglio 1314) si raccomandano nuovi regali al Re per il valore di 22 lire di grossi (85); e ancora maggiori, altri duo anni dopo (6, 9 settem. 1316), quando il Re Ossin, rimasto vedovo sposava Giovanna o Irono figlia di Filippo principe di Taranto, e perciò il valore dei regali si alzò a 30 L. di grossi, permetten dosi al Doge ed ai suoi Consiglieri d'imprestare da chi gli sembrasse meglio (95. 96), e anobe con interesse che servirebbe per il saldo d'imprestiti anteriori (97). Nei titoli d'alouni te sti perduti (d'Arohivi) si fa cenno d'altra ambasciata dell'anno 1317 o 1318, ma la si trattende per allora (143). Si ricorda anche una  lettera dogale mandata al Re per mezzo del Bailo di Negroponte (Fran. Dandolo), il quale ne da conto al Doge, (26 giugno 1318), parlando anche della cattura fatta dai Genovesi della galea del Grimani (280)

Il Re Ossin, questo amico dei Veneziani, mort l'anno 1320 (20 luglio), lasciando erede il figlio avuto dalla prima moglie, giovine di 12 anni, Leone IV, sotto la tutela dei due sopracitati Hethum e del maresciallo Baldoino

Ad esempio del padre coltivo Leone IV l'amicizia della Repubblica oltre venti anni, almeno per quanto dipendeva da lui, perchè il suo regno, piuttosto il tempo, fu molto burrascoso e avventuroso. La sua tenera età, l'ambizione del principe e conte Ossin signore di Coricos, figlio di Aitone (Hethum) lo storico, che si fece reggento invece dei due tutori, nocquero al paese a oui yenne dato il colpo di grazia dalle frequenti incursioni degli eserciti egiziani, colla perdita fatale dell'importantissimo em porio d'Ayazzo. All'anunzio della morte del Re Ossin, la Repub blica trattenne (8 settem. 1320) il nuovo Bailo Gior. Caroso, che era per partire per il suo posto (103), ed invece incarico (1821) l'ambasciatore già nominato (139) che fu Michele Giustiniano, di impetrare dalla Corte di Sis, l'abolizione di alcuni abusi nel procedere coi mercanti Veneziani

È un rimarchevole documento l'istruzione data a questo ambasciatore, conservata in copia negli archivi; con essa veniva in primo luogo dimandata la conferma degli antichi Privilegi; ciò che fu accordato dal nuovo Re, il primo maggio 1321, con scrittura in lingua francese. In secondo luogo si domandava li bera vendita per l'oro e l'argento portato dai Veneziani in Ar menia: il re concede per l'oro, ma vuole che la metà dell' ar gento si consegni alla sua zecca, onde procacciarsi il soldo pagabile al soldano d'Egitto. Si lagnava dell'altorazione delle bilancie (di peso): il Re risponde non esservi alterazione alcuna  se non è colpa dei bilanoieri. Diverse altre dimande da parte della repubblica vengono esaudite dal Re, come per es. il permesso di incatenare le navi ai cerchi di ferro della fortezza marittima di Ayazzo, di scaricare la merce agli scali di detto luogo, essendo insuficiente lo stretto spazio del porto; di stabilire un nuovo magazzino presso il Cimitoro; consolare colla regia protezione l'ar cidiacono di Tarso Nicolo. Tutti questi capi, da prima segnati col piccolo sigillo del Re, furono dati all'ambasciatore, e poi estesi e ratificati coll' aureo sigillo, consegnati al Bailo Caroso, portati da lui a Venezia, e per ordine del Doge messi nelle Proouratie coll' originale armeno (11)

Nel partire (principio del 1322) per il suo posto dell'Armenia, il Caroso portava copia della scrittura data all'ambasciatore Giustiniani (104), come lo faceva il Bailo Blasio Malipiero l'anno 1328. È molto probabile che questi editi reali fossero sotto scritti dai tutori di lui, i già nominati Hethum il senatore, He thum il senescalco e Hethum il ciambellano, come si prova dalle loro signature in quello donato ai Mompelierini l'anno 1321 [3]

Benchè non si trovi aotato, devono però esser stati magai foi i doni inviati dalla Repubblica al nuovo Re, cosi per la sua incoronazione che per le nozze, che non tardarono, secondo il costume di quel tempo nelle corti reali, massime per le mire ambiziose del Conte di Coricos, Ossin, il quale persuase il gio vine sovrano di prender in moglie Alica ossia Elisa, sua figlia e di lasciargli prendere la di lui matrigna, la regina Giovanna. Con questo matrimonio egli divenne veramente patrigno del Re, e perciò lo si chiama sempre il Bailo, superiore a tutti gli altri Baroni; e abusando della minorità di Leone, si fece come asso luto governatore del regno, ed anche usurpatore, ingrossando con la potenza i suoi domini e le terre, non solamente a danno  dei vassalli, ma dello stesso re, appropriandosi oastelli e tenute dei signori diseredidati, che per le leggi feodali dovevano ritor pare al sovrano. La potenza fa strada alla prepotenza. Ossin, non si sa la causa e la maniera, fece imprigionare ed ammazzare Zablun la zia del Re, unica superstite dei 16 figli e figlie di Leone II, quella orgogliosa e magnifica principessa di Tiro, che fu moglie d'Amalrico famoso reggente di Cipro, col quale e dopo la morte del quale, fece tanto strepito e fu causa di tanti imbarazzi tra le due corti d'Armenia e di Cipro, e nell' aula del pontefice roo mano. Intanto Leone IV, divenuto maggiore, risentito dei fatti del patrigno, e probabilmente istigato da qualche mal contento, ordinò di ammazzarlo in unione al fratello di lui (1329), come colpevoli di lesa maestà. Gl' interni trambusti pur troppo s'ac compagnavano a quelli di fuori, e vacillava il regno dei Rupe. piani per le ripetute scorrerie degli Egiziani; contro i quali il Papa sollecitava inutilmente i sovrani occidentali in favore del Re e del paese armeno

A questo scopo si dedicò particolarmente e con molto zelo un celebre Veneto, il Vecchio Sanudo Torcello, l'amico e quasi cooperatore di Hethum, padre del sopracitato disgraziato Ossin. Tutti e due (Hethum e Sanudo) miravano alla stessa impresa, aju tare l'Armenia e Cipro e debellare l'Egiziano: a questo fine quegli scrisse I Fiori della storia Orientale ossia l' Istoria dei Tartari, questi il Secretum fidelium Crucis, stampato nella Raccolta inti tolata Gesta Dei por Francos: in calce dell'opera del Sanudo si trovano sue lettere dirette a diverse corti e persone illustri, fra le quali una scritta circa il 1326 al nostro Re; da essa impariamo che aveva questi scritto al Sanudo e mandato al Papa in ambasciata il Vescovo di Caffa Pera Taddeo: e che Sanudo, non lettere e colla sua presenza, esortava il Papa, i Re di Francia e d'Inghilterra, il Conte di Hannover, ed altri principi, ad ajutare gli Armeni, e mandava al nostro Re un certo Ugo frate  Domeniouno, per farlo consapevole del suo agire (367). Chi vo lesse chiarirsi dei fatti in Oriente di quel tempo, troverà rioca materia dell'opere e nelle lettere del Sapudo

Ma per noi è tempo oramai di ritornare alle relazioni più dirette della Repubblica vepeta coll'Armenia, colla quale aveva allora (1326-7) una questione che pare molto importante (161), per cui furono eletti cinque savi (169). Frequentavano nello stesso tompo ambasciatori armeni alla corte papale, e sovente passavano per Venezia: e venuto qui nell'anno 1327 Jacopo Dragomano con certo Raimondo, questi si fermo a Venezia, mentre l'altro coi compagoi si parti per Roma. L'anno seguente, partendo il nuovo Bailo per l'Armenia, gli vende raccomandato dalla Repub blica di passare per Cipro e parlare col Re di alouni affari pen denti (176): vennero poi (1329) scelti Savi per esaminare i fatti avvenuti in quel paese e nell'Armenia (192): in pari tempo fu mandato ambasciatore in quest' ultima, accordandogli per le spese la tassa di grossi 2 %; e fu seguito, sembra, da un altro am basciatore, per cui si ripeteva il decreto del mandato (196) e i termini da comunicare al Re (199). si trovava a vicenda nel medesimo tempo (1330) in Venezia l'ambasciatore armeno, per il quale fu ordinato (19 e 21 luglio) regalare dalle entrate del Comune per 4 lire di grossi; e mentre da una parte si ri potevano ordini di armare galee per l'Armenia, d'altra parte s' inouloasa di esaminare i fatti avvenuti laggiù, in termine di otto giorni (207). Arrivando nell'intervallo nuovo ambasciatore dell'Armeno (1331), si ordinava ai sevi d'intendersi con lui per indurre il Re a levare il gravame delle tasse introdotto sotto il governo suo e di suo padre (212. 213), e per lui stesso (l'ambasciatore) far regalo del valore di lire 3 di grossi (310). La gravezza delle tasse era cagiopata dalle guerre cogli Egiziani, i quali battuti dagli Armeni (1330) presso Ayazzo, la presero nel l'anno seguente (1331) con grave danno tanto degli Armeni che  del Chan in quelle parti; ma venne egli pure ammazzato per ordine  del Chan ad istanza degli ultimi due fratelli gemelli di Hethum Ossin e Alinac; i quali come la loro nascita voleva, e più ancora si amavano svisceratamente, e si offrivano vicendevolmente la corona reale ; ma essendo stato Ossin il primo a venir alla luce consenti a cingersi la corona solennemente, ritornato che fu  Alinac dal suo viaggio alla corte del Tartaro ( 1308). Fu solle  cita la Repubblica ad eleggere invece di Dolfino Dolfin altro  ambasciatore , Foscarini Giovanni ( 5 settembre, 1308), tassando 2  soldi per cento per le spese, valutata a 19 lire di grossi quelle  dell'ambasciatore, e 11 L. de grossi per regalo al Re, oltre quelli  destinati per Alinac ed altri Baroni ( 64 ). Il Foscarini si trovava allora a Corone ; gli fu scritto ( 22 settemb. 1308) da parte  del Doge consigliatolo a prepararsi all'ambasciata, procurando  l'occorrente con imprestito da chi che sia, cosi veneto che straniero, a che sarebbe soddisfatto a Venezia, dopo due mesi della  loro presenza

Nello stesso giorno scrisse il Doge ( Pietro Gradenigo) al Re  Ossin , raccomandandogli l'ambasciatore ; e altrettanto scrisse ad  Alinac ( 261 ) , e con poca differenza a Hethum signor di Coricos, il  noto storico, il Marco Polo Armeno e religioso Remonstratense, a un  altro Hethum signore del castello Neghir ( creduto Negro o Negrino  da Latini ), il quale viene intitolato Capitano del regno d'Armenia. L'ambasciata fu ritardata per la malattia e la morte del  Foscarini, a cui fu sostituito, dopo lungo corso di tempo, (maggio, 1310) Gregorio Dolfin (46) ; e perchè i regali destinati erano  rimasti a Corone, fu scritto ( 12 mag. 1310) al castellano di quel  luogo di consegnarli al nuovo ambasciatore, e di tenere in riserva  gli effetti del defunto Foscarini ( 265)

Scrisse il Doge al Re Ossin ( 14 maggio, 1310 ) raccomandando  il nuovo ambasciatore, ed in pari tempo Bailo ( 267) ; al quale  era raccomandato di dire a viva voce qualche cosa in particolare. dei Veneziani. Perciò questi venivano di nuovo a consulta (20 lu glio, 1332) nel termine di otto giorni (234), per spedire senza indugio ambasciatori a sollecitare la rivisione dei trattati: ordina vasi quindi agli Ufficiali del Sale di procurare le spese del viaggio per farli partire col primo imbarco (222). Frattanto arrivando dal l'Armenia notizie allarmanti, si obbligava il Doge (28 dicem. 1332) col suo Consiglio ad eleggere tre savi (sotto multa di 10 soldi), per determinare fino alla metà di gennaio prossimo quello che si dovrebbe fare e presentare per scrittura. L'ambasciatore eletto fu Giacomo Tropisanato, per cui scriveva il Doge F. Dandolo al Duca di Creta, preparasse l' imbarco per l'Armenia: ove arrivato questi e scandagliato tutto, annunziava la diffiooltà dell'impresa per l'estrema irritazione degli Armeni, a cagione di quel Bizali che aveva fatto fuggire dalle carceri il Contarini

Riflettendo da sua parte il Senato su queste difficoltà, deter mind (17 giugno 1333) che il Doge col consiglio dei 60 eleggesse per ambasciatore uno dei mercanti che volesse svernare nell'Armenia, e parlasse direttamente col Re, dimandandogli l'esatto man tenimento del suo proprio editto, presentandogli anobe i capi delle lagranze dei Veneziani, le quali scritte aveva portato il Trevisan; che se le avesse rinnegate il Re, gli mostrasse le lettere del Bailo. Le principali dimande erano, di alzare il prezzo dell'ar gento che essi portavano, per la rarità di quel metallo laggid; di ricevere il ducato d'oro per 24 Tacolini; e per la detta rarità d'argento permettere anche il corso dell'oro nella piazza. E se per la strettezza dei tempi esigesse il Re la tassa del 1/2% lo si farebbe in grazia di lui non per obbligo; - di domandar esenzione del dazio nei casali, almeno in quelli che apparten gono al Re; di non permettere l'esame delle valigie, o almeno contentarsi del giuramento dei mercanti al Bailo: di pagare & Cristoforo Nayzo il prezzo del legname, siccome aveva già accon sentito l'ambasciatore del Re & Venezia. Se a tutto ciò non volesse soddisfare il Re, l'ambasciatore della Repubblica gli dovrrebbe  anunziare la partenza dei Veneziani dal suo Stato, e lo stesso  inculcare a questi al termine del prossimo mese di aprile ; e se  alcuno dei mercanti non ne partisse, sarebbe multato per 500  lire ; per 50 chi non è mercante ; sarà libero a stare chi abbia abitato da tre anni in su ; nessuno dovrà ricevere le robe e  le manifatture dei multati, sotto pena del 50 %; lo stesso si farà  per chiunque dopo il detto termine (mese di aprile) condurrà  merci d'Armenia. Quelli poi che, dopo il mese di dicembre del  l'anno corrente partiranno per l'Armenia, dovranno prima fer  marsi a Cipro e informandosi, ove non trovino appianate le  questioni, tornino indietro ; altrimenti cadranno sotto la stessa  pena. Ognuno dei Rettori è obbligato di informarsi di questo dal  Bailo di Cipro, e far quello che si dovrà

Questa grave ambasciata fu affidata a Pietro Bragadin (nel  margine si scrive Jacomelus Cornaro ), ordinando agli ufficiali di  Sal e di Mare di procurar il bisogno dalla tassa del 5 %, come fu  fatto altra volta per il Trevisanato. L'ambasciatore dovrà partire  colle galee della muda d'Armenia (234). I savi, esaminate tutte  queste proposizioni, giudicarono prudente il temporeggiare, per  sentir l'effetto delle lettere già mandate al Re, il quale d'al  tronde sempre si era mostrato amico della Repubblica ; ed essere  meglio aspettar il ritorno del Bailo colle galee, e 15 giorni dopo  l'arrivo chiamarlo al consiglio, e informandosi delle disposizioni  del Re determinare ciò che si dovesse fare (226)

Come si sperava, si acquetò il turbine, e la pace si rassodò  col nuovo Privilegio del Re (10 novembre, 1333) , consegnato a  Jacopo Trevisanato, il quale si vede laggiù esser ritornato

Oltre la conferma dei precedenti articoli , si concedono da  parte del Re esenzione di tassa per le manifatture dei zambellotti  e dei panni; esenzione di un Tacolino per settimana pagato dai  venditori di vino, e di uno o due deremi nuovi per regele, che si pagavano dentro e fuori di città; libertà d'introdurre e di estrarre dal porto di Tarro, pellame, pellicce, e legna; Agenzione del mi. suramento dei panni; tolto l'obbligo ai Veneti di comperar salo e frumento; rispettarli e non molestarli: - in caso di ladrocinio, l'incolpato veneto si giudicherà alla corte del Re; - ed il debitore resterà ip prigione fino al pagamento. Tale è il tenore dell' ul timo Privilegio che siaci noto, dato dai Re dell'Armeno-Cilicia in favore dei Veneziani. Il quale ricevuto con piena soddisfazione mentre il Trevisanato lo portava alla dominante, fu sequestrato da' Genovesi, come si è detto altrove (318). Ma il trattato arrivo in salvo e servi per pochi anni a vantaggio del commercio veneto, prima della presa e distruzione di Ayazzo (1337), per parte degli im placabili Egiziani. Cosi per un breve tratto di tempo risorse ancora quel porto magnifico, per ricadere per sempre sotto le sue rovine e scomparire entro alle onde insanguinate. Ma prima che arrivasse quello catastrofe, s'affrettò la Repubblica & raffermare da sua parte le buone intelligenze col Re, sottomettendosi anche alla con dizione meno lucrosa e ordinando sotto pena ai suoi cittadini, por mezzo del Bailo (13 agosto 1332), che chiunque portasse argenti in Armenia dovesse consegnarne la metà alla zecca reale (238)

Intanto s'abbuiava l'orizzonte politico nel paese dei Rupeniani: il Soldano d'Egitto lo circondava da mezzodi, quel di Aleppo da levante, il Caramano da settentrione. Re Leone mandava e riman dava ambasciatori al Papa e alle corti occidentali. Incitati dal Pontefice, parvero un giorno alleati i Re di Francia, di Navarra, d'Aragona, di Boemia per soccorrere i nostri Armeni; ma sic come avvenne e prima e dopo, nessuno si mosse, eccetto alcuni che mandarono qualche ajuto peouniario, mentre gl' invasori por tavano via le ricchezze del paese; e benchè esacerbati gli Armeni, facessero strage degli Egiziani trovati in Ayazzo (1336), non per tanto furono obbligati l'anno appresso ad abbandonare quella superba piazza alla prepotenza straniera

Fra gli ammazzati dal furore degli Armoni o'erano diversi Egisiani creditori di Veneti, i parenti dei quali, e il governo stesso importunarono la Repubblica. S'affretto questa a scrivere (3 sott. 1337) al suo Bailo di Cipro: (segno che quello d'Armenia erusi ritirato dopo la perdita d'Ayazzo), di avvisare tutti i debi tori, notassero tutto quello che dovevano ai Saraceni, mandando & Venezia l'effettivo in depositi dell' ufficio de' Frumenti, in alla verificazione dei conti e al pagamento (243). Si scrisse al detto Bailo (24 agosto) di consultarsi col Capitano nel suo arrivo a Cipro, se sia conveniente andar o no in Armenia; se si potrebbe stare in 22 giorni, se' no stasse a Cipro 15 o 18 giorni (241)

A simile condizione di pagamento furono legati i Veneziani pochi apoi appresso (1341), secondo una lettera del Re Leone IV; altima lettera che mostri relazione dei Re Armeni con Venezia, rimasta negli archivi. Per sicurezza del suo paese, crudelmente dampeggiato, Leone aveva allontanato di tutti i Saraceni, fra i quali si trovavano ancora creditori dei Veneziani, e l'ambascia tore del Soldano chiedeva con minacce il pagamento. Il Re per andar losto pago lui stesso i debiti dei Veneti, si muni delle quietanze dovuto, e licenzió i oreditori e l'ambasciatore impor tubo; dopo cid mando il conto al doge Bart. Gradenigo, pregando del rimborso immediato, per non dover costringere il resto della colonia veneta nėl suo paese, a soddisfare per i loro nazionali. Nella lista mandata al Doge è notata minutamente la quantità del cotone venduto dagli Egiziani al peso usato nella piazza d'Ayazzo, secondo che era scritto nei quaderni della sua dogana, e che sommava al prezzo di 24, 107 Tacolini; ma i Saraceni De dimandavano 2890 di più, e cosi fu forza di contentarsi 000 27, 000 Tacolini. E siccome tre dei debitori (Marco Ardigon, Pietro Massai, Pietro Salomon), avevano valori in Armenia, so ne presero 11, 000 Tacolini; cosicchè rimanevano & due altri 16, 000 (15). Per la notizia delle merci e dei prezzi di quel tempo  e di quel luogo, forse non sarà inutile ai curiosi, di percorrere quel documento, ultimo del genere, nelle relazioni Armeno-Veneto (134) marzo). Tre anni prima di questo fatto si trova un'altra memoria di Leone (29 giugno 1338), da cui si chiarisce, che o per lettera o per mezzo d'ambasciate, egli chiese e ottenne dalla Repubblica un veochio leguo di 20 banche, al prezzo stimato dagli Ufficiali dell'Arsenale

Nell'età ancora fresca di 33 o 34 anni, mori Leone il 28 ago sto 1342, e come si crede, non per morte naturale; vittima della 8u8 cordiale e costante amicizia ai Latini e principalmente alla Corte Ponteficia. Con lui si estinsero le nobili e reali famiglie Rupeniana e Hetbumiana, la quale ultima dal primo suo capo stipite Hethum, fin all'ultimo rampollo Hethum figlio di Leone IV, morto bambino, nel corso di 300 anni aveva dato 12 generazioni; e fu forza cercare un successore a Leone nella linea femminile della famiglia reale: e questo fu un suo cugino, figlio della zia pa terna (la pricipessa Zablun), e nominato Ghi o Guidone, per cụi la corona armena passava alla famiglia Lusiniana; la quale non fu felice nell' Armenia, perciocchè Guidone e suo fratello Boe mondo furono ammazzati dopo due anni (1341), e la corona passo al cognato di quest'ultimo, Costantino II figlio del bravo mare sciallo Baldoino. Egli regno 20 anni, ma il suo regno fu squal lido o di giorno in giorno scemato di potere, di ricchezze e di territorio. Abbiamo veduto (pag. 27) un ambasciatore di que sto Costantino a Venezia l' anno 1347, diretto al Papa con regali (323)

L'anno appresso, mando questo Re altri ambasciatori al Papa ed al Doge, chiedendogli ajuto per ricuperare Ayazzo: anche il Pontefice (Clemente IV) scrisse al Doge per questo fine (25 set tembre 1347), che doveva interessarlo più che nessun altro, perché si trattava del risorgimento della regina del mare armeno. Ma prima che si moregse Venezia, riusci agli Armeni, per un supremo  sforzo, coll' ajuto dei Cavalieri, ripigliare il loro opulente porto il quale destinato a perire, emergendo un ultima volta colla fronte  dorata all'aria libera , scomparve poco dopo per sempre. Nessuno da  indi in poi ricercò la chiave della ricchezza dell'Armeno - Cilicia e del non minore interesse di tanti commercianti, fra i quali  primmeggiavi tu, orgogliosa regina dell'Adriatico ; pensasti mai a  porgere mano pietosa alla tua minore sorella in quel suo supremo  momento, ovvero per freddo calcolo di politica e d'interesse egoista, rivolgesti la faccia altrove ? Su questo punto meglio è il  silenzio, e giova anche la nostra ignoranza ! .. 

Intanto d'anno in anno s'avvicinava la fine delle secolari  relazioni del regno armeno con le potenze europee : malgrado tutto  il suo sforzo e le ripetute ambasciate e lettere a queste, l'infelice Costantino II ogni anno vedeva un brano del suo territorio o  una citta o un porto sfuggirgli di mano e passare in quelle  degli Egiziani, Aleppini e Caramani . Molto sensibile era la per  dita delle città marittime, perchè si troncava la comunicazione  cogli occidentali; e già da Ayazzo fin a Tarso tutto era occupato dallo straniero ; restava solo nelle mani del Re il fortissimo  castello e il porto di Coricos, il quale con miglior decisione o  disperazione si diede ( nel 1361 ) a Pietro I Re di Cipro: non rimaneva a Costantino che la parte montuosa di Cilicia, e i suoi  castelli, con quello inespugnabile della capitale di Sis, bella e  forte, frutto dell'ingegno di Leone I. In tale stato di cose Costantino chiuse gli occhi, l'anno 1363, già privo d'ambo i figliuoli  Ossin e Leone

Era d'uopo di nuovo ricorrere alla famiglia Lusiniana-armena: e siccome il più vicino erede del compianto Guidone era  suo nipote (figlio di Juan) Boemondo, chiamato Bemunt dagli  Armeni, non tardò questi a presentarsi come pretendente alla  corona armena ; e per facilitarsene il possesso , pensò ricorrere al  Papa. Era ancora giovane, in età d'anni 23 ; dirigendosi per Roma arrivò a Venezia, dovendo forse rinnovare l'antica alleanza dei Rupeniani; ma la volontà suprema destinava altrimenti; la bua speranza e la vita finirono qui a Venezia; il come e dove fosse sopolto, si desidera ancora di ricavarlo da qualche archivio o da qualche annalista

Dopo un biennio di incertezze e di gare, riusel pel 1365 a un altro Costantino, III, figlio di Hethum il Ciambellano, (uno dei Baili di Leone IV), strappare la corona, mentre il Papa Ur bano V la proponeva al fratello del defunto Bemunt, Loone. Di qui discordia fra i principi armeni, sempre fatale ma ancora più nello stato in cui si trovava allora l'Armenia. In questo tempo turbinoso ed oscuro apparve inaspettatamente la figura veneronda d'una donna; una donna in lutto; vedova, e una volta regina. Era Maria moglie di Costantino II, figlia di Ossin il Bailo e di Giovanna sooonda moglie del Re Ossin, figlia del principe di Taranto. Que sta donna di gran cuore tento l'ultima corrispondenza coll' an tica alleata dei Rupeniani, con la Repubblica veneta

Chi era il suo ambasciatore e come scrivesse o facesse par. lare non lo sappiamo appunto: ma per fortuna gli archivi del Senato conservano la lettera (del 11 ottobre, 1368) in risposta; nella quale la Repubblica per bocoa del suo Doge protesta l'an tica amicizia e il buon volere, compassionando l'augusta donna, promettendo di far il possibile, quo commodo possumus, a pro di lei o del suo popolo; annunziandole che appunto per questo il doge si era inteso col confratello, doge di Genova, di armare una flotta per attaccar l' Egiziano, se egli rompesso i trattati di pace; frattanto si dava ordine al capitano generale di ristringere l'alleanza coi Genovesi, e comprendere nell'accordo coll' Egiziano gli stessi Armeni. Adobe il Doge genovese aveva insistito su questo articolo in favore degli Armeni, e percid il veneto rin graziave il genovese. Essendo per altro, in causa della guerra degli occidentali fra loro, impossibile il passaggio ordinato dal  Papa, doveasi aspettare il tempo favorevole, ed allora s'unirebbe  Venezia cogli alleati , per adempiere ciò che il dovere e la volontà di Dio comandavano ( 245 )

Che fosse vera questa alleanza fra le due Repubbliche litiganti in ogni seno di mare, lo assicurano lunghe scritture con  servate in parte nei Commemoriali del veneto archivio, ove si  leggono lettere del Papa a queste Repubbliche, a Giovanni così  detto principe d'Antiochia, ai Maestri dei Cavalieri ; e si mani  festa il piano del suo sbarco sopra Alessandria, fissato per l'anno 1370 : ma vi si parla soltanto in favore di Cipro ! Non è dunque  da dubitare che tutto ciò era determinato prima che la vedova  Regina d'Armenia ordinasse la missione dei suoi ambasciatori

Le storie delle Crociate c' insegnano, come fossero andate in  aria tante simili belle promesse, tante alleanze, e questi preparativi, per causa delle incessanti guerre dei Francesi cogli Inglesi e per la trascuranza o l'impotenza degli stati secondari; i quali  tutti assieme ebbero soltanto il bel coraggio di abbandonare alla  sua fortuna o alla rovina quell' unico popolo orientale, che si  fosse alleato ai Crociati, baluardo della Cristianità contro i suoi  nemici; e per dir il vero , si mostro poco cavalleresco chi fu  sollecitato a venir in ajuto dell'ultima coraggiosa Regina Armena. La quale, non abbattuta dalla lentezza e dalle vaghe promesse degli occidentali, spediva ancora dopo pochi anni ( 1371)  a Napoli l'Arcivescovo di Tarso ed il Cavaliere Emmanuele, d'origine armena, naturalizzato genovese, per sollecitare i parenti  della sua madre ( la regina Giovanna), ad un ultima impresa essendo lo stato armeno sull'orlo del precipizio. Perocchè l ' ultimo re Costantino, che regnd fra gli anni 1363-72, da molti era  reputato non legittimo ma usurpatore; e però ebbe fine di tiranno con morte forzata . Prima che si presentasse nuovo pretendente  alla corona, fu essa Maria regina istituita reggente ; e allora  poco prima, il Papa Gregorio XI scrisse ( 22 gennaio 1272) al di lei parente Filippo principe Tarantino, di unire Maria in ma trimonio con Ottone, duca di Brunsvic, incoronando questo a Re d'Armenia. Ma vi era un pretendente non illegitimo, Leone , fratello dell'immaturamente defunto Bemunt, il quale da dieci adni aspettava l'eredità del fratello e dello zio; e fu invitato da uno dei due partiti degli Armeni, divisi in due cainpi fra loro per visto religiose e politiche. I partigiani degli occidentali, ossia Latini, erano capitanati dalla stessa reggente Maria, che ben vo lentieri accolse il Lusiniano (Leone), ultimo fra tutti che cinsero corona in nome dei Re d’Armenia, da oltre 2000 anni in allora

Leone portava seco la moglie Margherita di casa di Sassonia : furono incoronati insieme con gran pompa reale all' armena. Fu breve pur troppo il suo regno (1374-5): il quale egli seppe degna mente difendere nel suo ultimo baluardo, la Fortezza di Sis la capi tale, eroicamente guerreggiando con pochi fedeli contro gli Egiziani ed Aleppini, finchè trovò savio arrendersi, quando era impossibile il resistere. Tradito, ferito, abbandonato, salvo da pochi, seppe da magnanimo sovrano trattare col nemico e sopportar le cateno e lunga prigionia in Egitto. Cattivatosi poi il cuore dell'orgoglioso Sultano, trovò grazia per vivere nel Cairo liberamente, interes sare con lettere i sovrani ocoidentali e il sommo Pontefice, ed in particolare il re di Castiglia; e finalmente liberarsi dalla schia vitu (1381). Potè allora imbarcarsi sollecitamente, e nel viaggio approdo all' isola di Rodi, ove saluto la cugina Isabella figlia del Re Guidone, e sbarco quindi qui a Venezia, come se dovesse consegnare al capo della Repubblica gli antichi trattati di lei coi Rupeniani sovrapi dell'Armeno-Cilicia; o piuttosto procuraro nuova alleanza per ricuperar il regno perduto. Speranza fallita, ma non mai svanita nel cuore di Leone, fin all'ultimo respiro (29 nov. 1393). Raccomandiamo agli archivisti e agli appalisti d'informarci come fosse egli ricevuto dal Doge e dal comune di Venezia, e come se ne partisse per andar a trovare il Papa od  il Re che si erano interessati per la sua liberazione, e dai quali venne accolto veramente come un regnante, onorato e arricchito più che non fu sul suo trono vacillante

E che avvenne della Regina Armena? Due erano le regine, e tutte due catturate con Leone e condotte al Cairo: Marghe rita, moglie di costui non potendo sopportare le conseguenze della schiavitù, in paese cosi lontano e differente del suo nativo e dell'adottivo, non tardd a soccombere, e fu sepolta in una chiesetta armena, visitata pochi anni dopo da due viaggiatori italiani, da cui abbiamo tolta questa notizia [4]. Quanto all'altra Regina, la magnanima, l'eroica Maria, la quale fu cosi pronta a rinunziare alla corona in favore di Leone, e che lo segul pure nella cattività, piuttosto volentieri che forzata, fu presto lasciata alla libertà; la quale ella impiegd in un modo degnissimo. Invece di rimpatriare come Leone, ed essere accolta forse con maggiori pompe, onori ed ovazioni, preferi la strada dei pellegrini: andd e si fermò a Gerusalemme: vesti abito di religiosa, e col modesto velo ooprendo tutta la gloria e la vanità umana, vicino al Sepolcro del Redentore, veglid, dormi, e si risveglid nella luce perenne (1377)

Intanto Leone traversava e ritraversava le Alpi e la Manica, scongiurando tutte le Corti per ajutarlo a ricuperare la corona perduta; inchè lasso senza quella inchind il capo fra tanti altri coronati e scoronati, nei sotterranei di Saint Denis di Parigi, li 29 novembre, 1393: da quell'ora suonano giusto 500 anni! 

Fin agli ultimi anni del regno armeno in Cilicia, la Re pubblica veneta continuava ad emanare decreti per l'andata e ritorno delle sue galee in quei porti, ogni di più abbandonati: come si nota nel 1363 il 22 novembre (244), il primo luglio 1373, il 25 maggio e 8 dicembre 1374 (247. 249), cioè pochi mesi prima della cattività di Leone V; donde si vede che col regno armeno cesso, o quasi, anche la navigazione meroantile veneta su quella linea; benchè il nuovo governatore egiziano dell'antica capitale (Sis), invitasse anche non pochi anni dopo (1415) i Veneziani a continuare il loro commercio del paese che era ancora abitato dagli armeni soggiogati. È noto come, giusto un secolo dopo la caduta della monarchia armena, i Veneziani alleati coi principi Caramani e col famoso Uzun Hassan Re di Persia contro l' Ottomano, s'impadronissero d'una parte del l'Armeno-Cilicia marina, per pochissimo tempo; e se allora, o prima o dopo, ebbero nuove relazioni cogli Armeni non più in dipendenti, non è chiaro, e non ce ne occuperemo, perchè questo passa i limiti del tempo che ci siamo fissati. Sarebbe peraltro, cre diamo, di non poco interesse ai Veneziani anche oggi di visitare, con occhio di archeologo e di patriota, quelle spiaggie un tempo si fiorite, si ricche, si animate, ora cosi abbandonate e dimen ticate; sarebbe dico anche onorevole ricercare sul suolo dell' an tico alleato le proprie reliquie nazionali, i sepolcri di tanti vene ziani ivi sotterati, le rovine del 8. Marco d'Ayazzo, le traccie delle loro case, della loggia comunale, del fondaco, e chissà di quali altre memorie e monumenti inaspettati. Quante famiglie veuete, ancora non estinte, troverebbero in quei tumuli e in quelle rovine secolari, i nomi dei loro antenati soolpiti su qual che frammento di lapide ! 

Ma lasciando ormai a chi possa investigare queste traccie venete sul suolo armeno, ricerchiamo invece quello degli Armeni in questa dominante adriatica. Abbiamo ricordato tante volte le ambasciate della Corte di Sis a Venezia, e la venuta delle persone principesche; ma di stabile dimora degli Armedi a Venezia non si è parlato, e non se ne trova precisa memoria, benche sia indubitabile il fatto, essendo che nei secoli XIII-IV gli Armeni hanno lasciato in venti o trenta città italiane traccie della loro dimora, e sarebbe cosa incredibile non fosse allo stesso modo in Venezia: anzi fra tutte le altre città occidentali, dopo Roma e in parte più anche di Roma, Venezia era e frequentata dai nostri nazionali, come anche da altri popoli orientali. Sebbene le relazioni Armeno-venete comincino col secolo XIII, come ab biamo veduto, la conoscenza reciproca e gli scambi si possono stabilire nel secolo precedente, quando « Sebastiano Ziani, che fu poi doge, dimoro assai tempo in Armenia e lasciò una casa in contrada di S. Giuliano per gli Armoni che venissero a Venezia. E cid fece per la buona compagnia avuta in quelle parti». Sono parole dell' annalista Muamo, riferite dal Filiasi VI, II, 265

Forse più correttamente dice il Sandri (fra tanti altri che lo ripetono): «Conta in aspetto di commercio veneziano, e conto nel secoli decorsi, la nazione degli Armeni, che merito accogli mento, abitazione e protezione in Venezia. Antichissima è la corrispondenza loro con li Veneziani, e quindi il loro alloggio Bella Capitale. Sin dall' anno 1253, por testamento riconfermato dell'anno susseguente, M. Ziani, nipote del Doge Sebastiano, famiglia che per li Veneti cronisti si aterma splendidiassima in ricchezza, reso ben affetto a quella Nazione dalla lunga sua dimora, per oggetto mercantile, nell'Armenia... legò alla Procuratia veneta di Citra una casa»

I nostri nazionali che in diverse circostanze ebbero questioni  col governo della Repubblica, ricordano sempre questa largizione dello Ziani, anzi ne anticipano l'anno scrivendo 1235 a 25 maggio: (e se è vero questo, come se fosse sin da quell'anno testato e poi confermato nel 1253, sarebbe il più antico stabilimento armeno ricordato nelle memorie in Italia; perohè quello di Roma è del 1239). Nell'ultimo testamento del 5 giugạo 1253, dice Marco: «Domum in quo manent Armenii (dunque vi erano già dimoranti Armeni), volumus ut in perpetuo ipsi in ea stare debeant, et quandocumque fuerit opportunum eamdem conciare, de nostris bonis debeat conciare.... Costituimus nostros Commissarios una cum reliquis superviventibus, Dominos Procuratores operis Ecclesiae 8. Maroi. Marco Ziani fu scorto, o seguitore a questa beneficenza: perchè tutti quelli che lo riportano, aggiungono pure che, Opoco prima o dappoi (di Marco, secondo Sandi, ma secondo un più antico Manoscritto), un devoto docchio Armeno lasciasse con suo testamento certa somma di denaro prima ancora di M. Ziani, acciocchè fosse comperata una casa e fabbricata una Chiesetta nella calle delle Lanterne, per comodo ed utilità dei suoi nazionali provenienti da quelle lontane parti della Persia ». Da quest'ultima parola si crederebbe che il vecchio patriota non fosse dell'Armeno-Cilicia bensi dell'Armenia Maggiore

Saremmo felici se si scoprisse oggi il testamento del buon vecchio, come pare ben conosciuto dai suoi nazionali dopo tre secoli, quando avendo questi un processo o inchiesta, dicevano (l'anno 1498) al governo: « Il testamento fatto dal vecchio Armeno al tempo del primo doge Ziani (dunque fin dal 1171-9)in forza di cui essi Procuratori aveano co' denari del defunto comperata una casa e fabbrioata una chiesetta nella Calle delle Lanterne a comodo degli Armeni che venissero ad abitar in Venezia» (Galliccioli, II 276). Come poi s'accordi che tanto il vecchio quanto lo Ziani indicassero per il riconoro degli Armeni  lo stesso sito nella Calle delle Lanterne o dei Ferali, non vogliamo discutere; probabilmente il vecchio Armeno lasciò la somma, mentre una casa dei Ziani era abitata dagli Armeni, ai quali poi questi lasciò in dono la stessa casa'e anche un fondo per i ristauri occorrenti, ma il mantenimento si amministrava col lascito dell'altro

Varie volte, nei ricorsi e nei processi degli Armeni davanti il Senato, fu questione della chiosa o chiesetta armena, come e quando fosse stabilita, e non fu possibile verificarlo, perchè non vepne la chiesa indicata precisamente, come la Casa armena; eppure per noi era più essenziale il saperlo, per la ragione che la chiesa presuppono gli aderenti di un rito qualunque, non vice versa. D'altra parte non si è mai visto che colonie armene, an. che piccole, si fermassero in una città senza procurarsi un ospizio e una chiesa o cappella, siccome ci attestano tante città italiane acoepnate più sopra; in alcune delle quali, p. es. Roma, Ancona, Firenze, Rimini, c'erano chiese amministrate dai propri sacerdoti in dalla prima metà del secolo XIII, e tuttora si trovano codici armeni scritti in quegli ospizi. Era dunque assai probabile che non mancasse un eguale centro di comunità nazionale armena anche a Venezia

Non per tanto può destaro meraviglia il silenzio de' docu monti e degli storici Veneziani su quest' argomento, mentre quelli degli altri paesi in Italia rammentano il tempo della ve nuta dei preti e frati armeni Basiliani, e la fondazione e il nome delle loro chiese

Per dirlo in poche parole, bisogna ammettere o che nella casa degli Armeni a S. Giuliano ci fosse una cappella, come voleva il vecchio testatore e amministrata da sacerdote armeno, o che in un altro sestiere di Venezia fosse una chiesa o un con vento armepo. Non è molto probabile l'antichità della cappella nella casa della Calle dei Ferali; ma se anche c'ern, doveva  essere piccolissima, perchè tre o quattro volte rinnovata e am. pliata negli anni 1496, 1510–20, 1689, si vede tanto angusta l'at tuale chiesa di Santa Croce, che pur è bellissima. Bisognerebbe dunque per forza cercare altrove o un santuario o una como nità religiosa armena, per stare a livello delle comunità conso relle nelle altre città italiane: e per cid, compulsare almanoo gli archivi par averne lume. Ed ecco una piccola scintilla che può servire di guida ai cercatori. Certo Zannino di Scala, col suo testa mento registrato da Ognibene parroco di S. Giovanni di Rialto a 26 giugno 1348, fra molte altre lascite fa anche una ai Frali Armeni di S. Giovanni Battista, di D. 5 per so viver, (come al trettanto ai poveri di S. Lazzaro, per loro camicie e gonelle). Ecco dunque una comunità religiosa armena a Venezia, nella prima metà del secolo XIV. Non so se si conosce bene la chiesa di 8. Giovanni di Rialto, di cui il parroco era Notaio in quel tempo: si può credere che in quella stessa contrada fosse stato l'abitacolo di quei Frati Armeni: e se non è nota adesso la chiesa parrocchiale, qual meraviglia se sieno rimasti in oscurità quoi poveri Frati Armeni chi sa da dove e come ricoverati ! 

Un secolo dopo questo accenno, la prima volta nell'anno 1434 si trova nelle memorie armene un ricordo della chiesetta armena nella Calle delle Lanterne officiata da sacerdote armeno

Il primo pensiero del pellegrino armeno, ovunque lo trasse la fortuna, fu sempre la chiesa e l'ufficio di rito nazionale; per ultimo dovea essere e fu il luogo del suo riposo finale. Chiesa e Cimitero vanno del pari, particolarmente nelle colonie, sieno vicine l'una all' altra o sieno distanti. Dopo l'ultima fondamen tale fabbrica di S. Croce (1689) molti Armeni sono ivi sepolti ed ancora se ne leggono gli epitafj: ma nei secoli anteriori al XVII non era possibile tumulare dove manca lo spazio; era veces sità di procurarsi altrove l'ultima dimora. Le necrologie delle chiese venete notano in varie di esse, Armeni sepolti nei secoli  XVI-XVIII; ma quei registri non salgono più in : per buona Borto abbiamo memorie antiche le quali ci assicurano che fin dai primordi della frequenza degli Armeni a Venezia, loro fu conceduto cimitero proprio nell'Isola di S. Giorgio Maggiore

In un processo intimato contro i PP. Benedettini, religiosi di quell'Isola, nel 1675, gli Armeni sostenevano il loro gius di. sepellimento in quel luogo, ottenuto fin da 400 anni: la qual data oi conduce all'epoca del loro possesso della casa zianiana. Un altro documento (di cui fra poco si parlerà a lungo), lo attesta indubitatamente nell'anno 1341. E le lapidi dei defunti non si saranno per cost dire viventi testimoni per risolvere la questione : Abimel bisogna cercarle per la maggior parte sotto l'attuale fondamento del superbo campanile di quella magnifica chiesa, intorno al quale nel cortile attiguo erano collocati quegli ci melli donde veniva chiamato Cortile degli Armeni: un giorno (1598) la più grande campana mentre lo s'innalzava alla cas sella della torre, stanca si lasciò cadere: un altro giorno (27, feb braio, 1774) lo stesso campanile; e molte di quelle lapidi sepol crali andarono in pezzi, e poi nella rifabbrica della torre, per dolorosa trascuranza, furono usate per le sue fondamenta, molto pid abbasso di quelle povere reliquie da esse coperte. [5] Poche di quelle lapidi rimanevano ancora sullo scorcio del secolo passato colle inscrizioni armene dei secoli XVI e XVII, copiate per buona  sorte dai vecchi Padri Mochitaristi, e cost salvate da fivale ro vina; perciocchè nell' ulteriore ristauro del selciato di quel luogo, anche quelle lapidi una volta salvate, in una maniera o nell'altra scomparvero per sempre

Fintanto che si mostra la tomba non è scevra di consolazione, ma quando essa stessa viene sepolta, che cosa si sente sia per tanto pace alle anime di quei sepolti e sepellitori; e ritorniamo alla ricerca dei viventi, o piutosto di quegli Armeni che vivevano a Venezia nell'età che studiamo

Frequenti erano, come abbiamo veduto, le missioni d'amba sciatori a Venezia, ma non sono registrati i nomi che di pochi; come quell'Emmanuele mandato dal Re Sembate circa gli anni 1297–8, (v. pag. 27). - Abbiamo pure veduto come la Repubblica li trattasse con regali di valore 2, 3, 4 lire de grossi, e per loro mezzo mandasse doni più cospicui a loro. sovrani. Nel principio del secolo XIV permetteva il Senato (23 settembre 1302) a certi mercatanti di venire da la Liza colle venete imbarcazioni, e fra questi si trovavano Giorgio ed altri Armeni

Nel 1331 si trovava pure certo Aytone processato per non so qual causa, a cui però si dava venia (220). Era in quel turno (1332) che il noto dragomando e condottiere Adac si trovava pure & Venezia (v. pag. 32). Nella seconda metà di quel secolo incon trammo due fratelli reali Armeno-Lusignani, uno in cerca di corona, morto a Venezia, l'altro dopo aver perduta la corona traversar Venezia. Dopo questi non c'è più caso di avere simili ospiti o passeggieri; ma invece gli stabili naturalizzati, come furono un certo Antonio figlio di Basilio capitano di mare, che nel 1395-8 testava alla sua moglie Martha la sua dote di 3 lire de grossi (358); e un Giovanni Armeno di Cafa di Crimea, il quale di costituiva (6 giugno 1395) suo coinmissario in Vene zia la propria consorte Margherita

Nell'anno della venuta di Leone V a Venezia (1382), vi si  trovava un frate armono, Domenicano nativo d' Erzerum, di nome Avedic (Nunziato) cambiato poi con quello di Agostino; egli copiava le Prefazioni dei libri sacri, aggiungendovi riflessioni religiose in prosa o in versi ed è il primo libro armeno mano scritto che conosciamo compilato a Venezia e lo possediamo: ma quello che c' interessa per il nostro scopo è l'aver egli fatto ricordo (nel 29 febb. del suddetto anno bisestile) della Chiesa di Venezia Վընեժոյ եկեղեցին), e il nome della città scrive un po' alla francese Venéje. Quale chiesa intende il pio Frate? Chi ne cercasse fra le tanti latine, senza dubbio dovrebbe a S. Marco; ma S. Marco era cosi noto e celebre nella memoria degli Armeni che nessuno non lo ricordava senza ripeterne il nome; resta dunque il supporre o che la chiesa di Vendje sia quella stessa dei Frati armeni di S. Giov. Batta del 1348, e tanto più pro babilmente quanto che l'autore era un Domenicano; ed appunto appena un mezzo secolo prima era istituito nell'Armenia Mag giore un ordine di Armeni Domenicani, intitolati Unitori, i quali non solamente avevano diversi conventi in quelle contrade ma 000 a Caffa, e visitavado sovente i conventi domenicani d'Italia: - oppure Agostino accennava alla chiesuola degli Armeni della Calle delle Lanterne, la quale si chiamo pure Calle degli Armeni, e l'abbiamo ricordato più sopra (pag. 68); sappiamo pure che solo un mezzo secolo dopo l'opera di questo Frate, si conosceva ed era ufizziata la chiesa armena

Pochi anni prima del ricordo dei Frati armeni di Venezia, cioè nell'anno 1341, alli 2 ottobre, per mano del notajo Jacopo Marchesini prete di S. Giuliano faceva registrare il suo testamento, un'Armona (e questa è la prima volta che si vede una donna di quella nazione) - abitante nell'Ospizio armeno nella calle sopra detta, di nome Maria; la quale chiama se stessa Maria Armina [6]  - Massaria Domus Armeniorum. Ella non pare essere una serra, come s'intende oggi a Venezia l'appellazione massora, ma Ben condo il senso di Massaja, ossia l' aja o la goocrnante della casa armena. Finora è l'unico documento in questo genere, cioè di Testamonti armeni scoperti negli archivi veneti, ove devesi sperare di trovarne altri più antichi, che dei posteriori ne abbiamo un centinaio, tutti dei secoli XVI-XVIII (369)

Preziosissimo e curiosissimo è il testamento di Maria Armena per diversi capi: non ci palesa essa il suo paese natale ne i suoi genitori parenti alcuno: pare abbastanza benestante, al disopra dello stato di una semplice serva: e i diversi lasciti che fa sommano circa 100 ducati (d'oro), oltre certi oggetti. Il più notevole e prezioso ricordo del testamento è l'esistenza e i nomi di una decina di abitanti della casa armena di ambi due i sessi, e di Prati; ma può essere che secondo una pia costa manza di quei tempi tutti gli abitanti di un ospizio si chiamas sero fra loro fratelli. Ora la nostra testatrice, costituisce oltre Giacomo de Monte prete di S. Giuliano, commissari Pra Michele Armeno, e la Domina Bartolomea Armina, lasciando a questa per memoria un fiorino e una veste nera, a quello 2 fiorini (d'oro): a Giacomo sudetto 4 ducati e il regno, ossia la caparra, che teneva: ed «al Notaro 1 fiorino. Ricorda due altri Frati armeni senza indicare se abitassero o no nella stessa casa, all' uno di nome Vielme lascia 4 D., all'altro Ezechiele, 2 D. Fra le altre persone del suo sesso cita Zabel (Isabella), Rome in gran uso sotto il dominio dei Rupeniani nell'Armeno-Cilica, e le lascia il suo mantello e la tunica alba, e sopra più un D. Calli abitatrice  della casa stessa, a oui lascia i suoi panni e 16 soldi di piccoli: - Francisca Armina, la quale abitava a S. Biagio, riceverd un fio rino. Giova notare questo sito ove forse si trovava altro ricovero armeno. - Come buona cristiana, prima di tutto Maria la decima: «In primis omnium rectam dimitto decimam»: lascia due D. ai sacerdoti di S. Giuliano, per dir messe; cosi pure due D. a quelli di S. Marco; - alle monache di S. Zaccaria 1 D. Si ricordi che quel monastero fu fondato coll' elargizione d'un Imperatore armeno e che nei ultimi secoli vi si trovavano vergini armene, può oredersi che sene trovasse alcuna anche al tempo della te statrice. Per il restauro della casa armena lascia 8 fiorini

Rivolgendo gli occhi più lontano vede Maria altri ospizi na sionali nelle città consorelle, e da brava patriota lascia a quelli di Bologna, di Perugia, di Siena, di Genova a ciascuno 2 D. o fiorini: a quello di Civita Vecchia (Urbe Veteri) 1 D. - Notevole e cospicuo fra i beneficiati viene a galla l'Arcivescovo Armeno, a cui regala i D. 30 imprestati dal monsignore, ed anche il pegno; e soprapid 10 fiorini: peccato che non ne cita il nome, ma è assai notevole la semplice appellazione di Arcivescovo degli Armeni, quasi che questi avessero a Venezia o in qualunque parte d'Italia un loro proprio vescovo; sappiamo d'altronde che in fatti vi era a quei tempi un Vescooo d'Ilalia armeno di nome Tommaso, il qualo una volta mandava da Venezia al suo Patriarca (Costan. tino) certe porgamene, e poi moriva e veniva sepolto a Perugia (l'anno 1385). Essendovi un intervallo di 44 anni fra le dato mortuarie del vescovo Tommaso e di Maria, è probabile che fosse un altro vescovo a cui lasciava non solamente i suoi debiti e una somma, ma si noti bene, anche tre Padoni; e de aveva altri Maria, perchè lascia uno al prete Giacomo, uno a D. Francisco Custode di S. Marco, e un altro in pro della sua anima: dietro questi saperbi uocelli venivano senza dubbio più comuni dallo bassa corto della buona massera, la quale ordina di farne un'ecatombe un agape nel giorno della sua morte: e «De omnibus meis galinis fiat una charitas». Un altra carità ancora di 10 D. per la sua anima, seconco l'ordinazione dei suoi commissari: similmente ordina di fare del residuo dei suoi effetti; e cið mostra che non avendo altro propinquo, faceva erede l'anima sua. - Era per altro conveniente destinare qualche cosa anche per il suo corpo esanime; ed ecco che ordina e afferma ciò che poco prima cer cavamo, cioè che c'era un cimitero armeno a S. Giorgio fra i suoi nazionali voleva Maria riposare per sempre, lasciando a quei religiosi Benedettini 2 D. per messe, e un gran Doppiere per ac cender. candele davanti al Santissimo: «Pro illuminazione Corporis Cristi»: ne ordinava un altro simile per la chiesa di S. Giuliano

Queste ultime disposizioni della nostra testatrice dimostrano indirettamente che, benchè ci fossero preti e vescovi Armeni a Venezia, non si celebrava allora messa nell'ospizio armeno, o che vuol dir lo stesso, non vi era stabilita cappella regolare: e se quei due Frati armeni beneficiati (Vielmo e Ezechiele), erano sacerdoti come è molto probabile, doveano celebrare in qualun que altra chiesa. E ancora da notare che non solamente non si parla nel testamento di S. Croce degli Armeni (ricordata nei secoli posteriori) ma neanche di quei frati Armeni di S. Giov. Battista; o perchè non erano ancora stabiliti a Venezia, o perchè quei due nominati (Vielmo e Ezechiele) erano appunto di quelli di 8. Giov. Batta; altrimenti non poteva dimenticarli l'ingevus Maria armina massera della casa degli Armeni; alla cui buon’anima ed a quelle che seco lei dormono nelle placide ombre dell'isola benedettina sia sempre pace! Egualmente a quelle anime dei loro antichi corrispondenti; che per i capriciosi destini del mondo, emigrati dalle patrie onde di questa vezzosa Venezia lasciarono i loro avanzi terreni all'ombra (pur troppo sparita) di un al tro 8. Marco, sulle spiaggie ormai deserte, abbandonate insel vatichite dell'alleata Armeno-Cilicia, sia Pace! 



[1]           Sentiamo lo stesso Polo. « Il prefato Legato eletto Papa, o so misse nome Gregorio Decimo; qual considerando che al presente che l' era fatto n papa, poteva amplamente soddisfar alle dimando del Gran Chan, spaced immediate sue lettere al Re d'Armonia, dandoli nuova della sua elettion, , et pregandolo che se li duoi ambassadori che andavano al Gran Chan  non fossero partiti, si facesse ritornare a lui. Queste lettere le trovarono  ancora in Armenia: li quali con grandissima allegrezza volsoro tornare m in Acri; et per il detto Re li fu data una galea et un ambassador, che n si allegrasso con il nuovo Pontefice: alla presenza del quale ginnti, the  rono di quello ricevuti con grandi honori".

[2]           La capitale del Re Armeno era e fu sempre conosciuto col nome di Sis o rare volte Sissuan.

[3]           Veggui nel Cartulaire, pag. 136.

[4]           Frescobaldi Nicold e Gucci Giorgio, nei loro Viaggi in Terra Santa Ultimamente furono fatto al Cairo indagini e scavi nell'antica chiesa ove supponovasi esser sepolta questo Regina Armona; ma non si trovo traccia. È da credere che Loone V tornato alla liberté, abbia fatto traspor tare i resti della compagna de' suoi amori e dolori, o a Gerusalemme o in Occidente, benchè non ne parlino ne i cronistri che ci hanno tramandate tanto notizie intorno a lui, la Cronica d' Armenia del Dardel rocento monte scoperta, che ha scritto lungamento del regno, della schiavitù e della liborazione di Loone, ma che non parla ponto della morte della Regina.

[5]           L'erudito D. Rossi citando l'accidente, ta questa riflessione : “Per antico Privilegio i mercanti Armoni dimoranti in Venezia avevano il loro cimitero d' intorno al Campanile di 8. Giorgio. Veggonsi ancora alcune lapidi con iscrizioni in quel linguaggio formate: ma molte altre furono c& nato. posto appanto nella fondamenta del nuovo companile. Potrebbe sac codere che scuoprendosi nei secoli futari, facessero impazzire qualche antiquario n. Cicogna, Inscriz. Venez. IV. 216

             Questo celebre autore delle Insorizioni cita da an'opera manoscritta di D. Marco Valle (De Monasterio di S. Giorgio) la caduta della campana : " Anno 1698 cocidit campana maxima super marmoria lapides ubi Arme dioram sopultura".

[6]           Lo molto scritture di quel tempo, e pid recenti ancora, si vede il nome Armono scritto Armino, o qualche volta Brmeno, Ermenia. Ma è più notevole (diciamo di passaggio) in Venezia l'uso del nome Armenia come nome proprio o battesimalo posto allo bambine: nei Registri di Battesimi e di matrimoni delle chiese, dalla metà del secolo XVI alla metà del XVI, se ne trovarono oltre a quaranta esempi, senza confonderli col nome Arminia o Erminia.

             Non potrà anche questo servire per indizio d'amicizia e di simpatia fra i Veneziani e i loro ospiti commercianti?