MONETE 
  
 
   
    É 
   
    superiuo 
   
    ricordare 
   
    quanto 
   
    indispensabile 
   
    sia 
   
    conoscere 
   
    il 
   
    valore 
   
    delle 
   
    monete 
   
    colle 
   
    quali 
   
    nel 
   
    medio 
   
    evo 
   
    si 
   
    esercitava 
   
    il 
   
    com 
   
    mercio 
   
    nell' 
   
    Oriente; 
   
    per 
   
    cid 
   
    molti 
   
    se 
   
    ne 
   
    sono 
   
    occupati 
   
    con 
   
    più 
   
    o 
   
    meno 
   
    successo: 
   
    fra 
   
    i 
   
    quali 
   
    prima 
   
    che 
   
    ad 
   
    altri 
   
    dobbiamo 
   
    esser 
   
    grati 
   
    al 
   
    Pegolotti 
   
    Balducci, 
   
    agente 
   
    della 
   
    compagia 
   
    fiorentina 
   
    Pe 
   
    musci 
   
    del 
   
    secolo 
   
    XIV, 
   
    il 
   
    quale 
   
    nella 
   
    sua 
   
    Pratica 
   
    di 
   
    mercatura, 
   
    ci 
   
    forni 
   
    di 
   
    notizie 
   
    utilissime 
   
    sulle 
   
    monete, 
   
    pesi 
   
    e 
   
    misure 
   
    di 
   
    diver 
   
    si 
   
    paesi 
   
    e 
   
    piazzo 
   
    orientali 
   
    paragonandoli 
   
    con 
   
    quelli 
   
    delle 
   
    piazze 
   
    d'oc 
   
    cidente. 
   
    Fra 
   
    gli 
   
    altri 
   
    dati, 
   
    come 
   
    era 
   
    da 
   
    aspettare, 
   
    introdusse 
   
    nel 
   
    suo 
   
    quadro 
   
    comparativo 
   
    anche 
   
    i 
   
    pesi 
   
    e 
   
    la 
   
    moneta 
   
    armeda: 
   
    e 
   
    ne 
   
    citeremo 
   
    la 
   
    parte 
   
    pid 
   
    interessante 
   
    per 
   
    noi, 
   
    in 
   
    seguito 
   
    ai 
   
    cenni 
   
    che 
   
    troviamo 
   
    negli 
   
    archivi 
   
    Veneti 
   
    a 
   
    questo 
   
    riguardo 
   
    (324). 
  
 
   
    La 
   
    moneta 
   
    corrente 
   
    in 
   
    antico 
   
    nell'Armeno-Cilicia 
   
    era 
   
    il 
   
    Bisanzio 
   
    saracino-armeno, 
   
    detto 
   
    anche 
   
    Staurate, 
   
    per 
   
    il 
   
    segno 
   
    della 
   
    Croce 
   
    che 
   
    portava: 
   
    se 
   
    ne 
   
    vedrà 
   
    qui 
   
    apprasso 
   
    indicato 
   
    il 
   
    valore 
   
    e 
   
    la 
   
    comparazione. 
   
    In 
   
    seguito 
   
    la 
   
    moneta 
   
    più 
   
    comune 
   
    nella 
   
    piazza 
   
    fu 
   
    il 
   
    Deromo 
   
    d'argento 
   
    (Դրամ, 
   
    Dram, 
   
    nell'armeno), 
   
    e 
   
    questo 
   
    antico 
   
    e 
   
    nuovo: 
   
    il 
   
    primo 
   
    di 
   
    un 
   
    peso 
   
    maggiore, 
   
    era 
   
    quasi 
   
    abolito 
   
    nel 
   
    secolo 
   
    XIV. 
   
    Un 
   
    decreto 
   
    della 
   
    Repubblica 
   
    nel 
   
    1289 
   
    (18 
   
    agosto) 
   
    ragguaglia 
   
    cosi 
   
    il 
   
    Nuovo 
   
    deremo 
   
    armeno: 
   
    Un 
   
    Bisanzio 
   
    Saracino 
   
    - 
   
    10 
   
    deremi 
   
    nuovi 
   
    armeni 
   
    = 
   
    35 
   
    Soldi 
   
    veneti; 
   
    cið 
   
    viene 
   
    a 
   
    di 
   
    re 
   
    che 
   
    un 
   
    Deremo 
   
    nuoro 
   
    valeva 
   
    Soldi 
   
    veneti 
   
    3 
   
    % 
   
    (36). 
   
    Un'al 
   
    tra 
   
    moneta 
   
    armena 
   
    che 
   
    rimpiazzò 
   
    il 
   
    deremo 
   
    e 
   
    che 
   
    era 
   
    quasi 
   
    la 
   
    sola 
   
    che 
   
    avesse 
   
    corso 
   
    nel 
   
    tempo 
   
    in 
   
    cui 
   
    scriveva 
   
    il 
   
    Balducci, 
   
    è 
   
    il 
   
    Tacolino 
   
    (Թագւորին, 
   
    Tacuorin) 
   
    che 
   
    significa 
   
    Reale. 
   
    In 
   
    un 
   
    documento 
   
    dell'anno 
   
    1307, 
   
    cento 
   
    Tacolini 
   
    si 
   
    pareggiano 
   
    a 
   
    77 
   
    Deremi. 
   
    Un 
   
    al 
   
    tro 
   
    decreto 
   
    del 
   
    senato 
   
    nel 
   
    1333, 
   
    13 
   
    magg., 
   
    ragguaglia 
   
    13 
   
    Taco 
   
    lini 
   
    & 
   
    12 
   
    grossi 
   
    veneziani. 
   
    Si 
   
    vegga 
   
    il 
   
    testo 
   
    (227), 
   
    perchè 
   
    vi 
   
    sono 
   
    preziose 
   
    indicazioni 
   
    di 
   
    monete 
   
    o 
   
    deremi 
   
    d'altri 
   
    paesi. 
   
    Se 
   
    poi 
   
    si 
   
    desiderasse 
   
    far 
   
    confronto 
   
    del 
   
    valore 
   
    intrinseco 
   
    di 
   
    quelle 
   
    monete 
   
    con 
   
    le 
   
    attuali 
   
    lire 
   
    italiane, 
   
    ossia 
   
    franchi, 
   
    secondo 
   
    varie 
   
    no 
   
    stre 
   
    ricerche, 
   
    troviamo 
   
    che 
   
    il 
   
    deremo 
   
    nuovo 
   
    in 
   
    origine 
   
    valeva 
   
    0,
   
    90 
   
    L: 
   
    e 
   
    diminuendosi 
   
    successivamente 
   
    0,
   
    85. 
   
    0,
   
    75, 
   
    fino 
   
    a 
   
    0,
   
    50.
   
    Pari 
   
    menti 
   
    il 
   
    Tacolino, 
   
    che 
   
    in 
   
    principio 
   
    valeva 
   
    (0,
   
    66 
   
    L.
   
    ), 
   
    s'abbassd 
   
    a 
   
    0,
   
    49, 
   
    presso 
   
    & 
   
    poco 
   
    a 
   
    una 
   
    lira 
   
    veneta 
   
    o 
   
    mezza 
   
    italiana. 
   
    Avevano 
   
    gli 
   
    Armeni 
   
    di 
   
    quell'età 
   
    anche 
   
    moneta 
   
    in 
   
    oro 
   
    e 
   
    in 
   
    bronzo, 
   
    ma 
   
    siccome 
   
    non 
   
    se 
   
    ne 
   
    parla 
   
    negli 
   
    atti 
   
    mercantili, 
   
    neppure 
   
    negli 
   
    Archivi 
   
    della 
   
    Repubblica, 
   
    lascio 
   
    di 
   
    citarle. 
   
    Lascio 
   
    pure 
   
    la 
   
    questione 
   
    sui 
   
    pesi 
   
    e 
   
    le 
   
    misure 
   
    perchè 
   
    notate 
   
    dal 
   
    Pegolotti 
   
    e 
   
    non 
   
    dai 
   
    nostri 
   
    documenti, 
   
    o 
   
    rarissime 
   
    volte; 
   
    per 
   
    es. 
   
    in 
   
    un 
   
    Decreto 
   
    dell'anno 
   
    1295, 
   
    in 
   
    cui 
   
    si 
   
    cita 
   
    il 
   
    cantaro 
   
    di 
   
    Negroponte 
   
    e 
   
    dell'Armenia 
   
    (48). 
  
 
   
    Per 
   
    darci 
   
    un'idea 
   
    delle 
   
    peripezie 
   
    commerciali 
   
    dei 
   
    Venezia 
   
    ni 
   
    nella 
   
    piazza 
   
    d'Ayazzo 
   
    in 
   
    diversi 
   
    tempi 
   
    e 
   
    iu 
   
    diverse 
   
    circostanze, 
   
    gettano 
   
    non 
   
    poca 
   
    luce 
   
    due 
   
    Documenti 
   
    degli 
   
    Archivi 
   
    veneti, 
   
    l'u 
   
    no 
   
    scritto 
   
    in 
   
    Ayazzo 
   
    nel 
   
    1312 
   
    da 
   
    Gregorio 
   
    Dolfino, 
   
    Bailo, 
   
    al 
   
    Doge 
   
    Marino 
   
    Zorzi, 
   
    l'altro 
   
    nel 
   
    1330, 
   
    da 
   
    Pietro 
   
    Bragadin, 
   
    Bailo 
   
    anche 
   
    lui. 
  
 
   
    Il 
   
    primo 
   
    avvisa 
   
    il 
   
    Doge 
   
    che 
   
    nello 
   
    spazio 
   
    di 
   
    un 
   
    anno 
   
    e 
   
    mez 
   
    zo 
   
    o 
   
    due 
   
    anni 
   
    del 
   
    suo 
   
    bailato, 
   
    della 
   
    tassa 
   
    del 
   
    1/2% 
   
    gli 
   
    era 
   
    per 
   
    venuta 
   
    la 
   
    somma 
   
    di 
   
    60 
   
    Lire 
   
    di 
   
    grossi: 
   
    calcolando 
   
    una 
   
    di 
   
    que 
   
    ste 
   
    lire 
   
    a 
   
    120 
   
    lire 
   
    italiane 
   
    sommerebbero 
   
    7200 
   
    lire 
   
    di 
   
    tasse 
   
    e 
   
    1,
   
    400.
   
    000 
   
    di 
   
    capitale, 
   
    le 
   
    quali 
   
    a 
   
    tempi 
   
    nostri 
   
    costerebbero 
   
    circa 
   
    3 
   
    milioni 
   
    di 
   
    lire. 
   
    Da 
   
    questo 
   
    piccolo 
   
    indizio 
   
    si 
   
    può 
   
    argomentare 
   
    a 
   
    quanti 
   
    milioni 
   
    montasse 
   
    il 
   
    commercio 
   
    veneto 
   
    in 
   
    Ayazzo 
   
    e 
   
    quanti 
   
    mi 
   
    gliardi 
   
    si 
   
    contassero 
   
    su 
   
    detta 
   
    piazza, 
   
    sommando 
   
    non 
   
    solamente 
   
    il 
   
    traffioo 
   
    dei 
   
    Veneziavi, 
   
    ma 
   
    anche 
   
    quello 
   
    dei 
   
    Genovesi, 
   
    Pisani, 
   
    Fiorentini, 
   
    Provenzali 
   
    e 
   
    di 
   
    tanti 
   
    altri 
   
    popoli 
   
    occidentali 
   
    ed 
   
    orien 
   
    tali, 
   
    Greci, 
   
    Turchi, 
   
    Egiziani, 
   
    Siri, 
   
    i 
   
    quali 
   
    tutti 
   
    apportavano 
   
    per 
   
    terra 
   
    e 
   
    per 
   
    mare 
   
    le 
   
    merci 
   
    più 
   
    svariate 
   
    e 
   
    preziose 
   
    dalle 
   
    estremità 
   
    d'oriente 
   
    e 
   
    d'Africa, 
   
    e 
   
    accumulavado, 
   
    o 
   
    per 
   
    vendere 
   
    sul 
   
    luogo 
   
    o 
   
    per 
   
    transito, 
   
    in 
   
    quell' 
   
    emporio 
   
    cosi 
   
    ricco, 
   
    cosi 
   
    animato, 
   
    cosi 
   
    bril 
   
    lante 
   
    allora, 
   
    come 
   
    un 
   
    tempo 
   
    quello 
   
    della 
   
    ricing 
   
    Tiro, 
   
    e 
   
    che 
   
    poi 
   
    come 
   
    questa 
   
    e 
   
    forse 
   
    peggio 
   
    ancora 
   
    fu 
   
    sommerso 
   
    nelle 
   
    sue 
   
    onde 
   
    solcate 
   
    da 
   
    tante 
   
    flotte 
   
    numerose. 
  
 
   
    Il 
   
    Dolfin, 
   
    scrivendo 
   
    al 
   
    Doge, 
   
    parla 
   
    della 
   
    difficoltà 
   
    di 
   
    perce 
   
    pire 
   
    la 
   
    tassa 
   
    del 
   
    1/2 
   
    %, 
   
    e 
   
    gli 
   
    sembra 
   
    più 
   
    proficuo 
   
    esigerla 
   
    a 
   
    Vene 
   
    zia; 
   
    perchè 
   
    qul 
   
    (Ayazzo) 
   
    da 
   
    due 
   
    galee 
   
    (di 
   
    Ruzzini 
   
    e 
   
    Costantini) 
   
    che 
   
    avevano 
   
    recato 
   
    merci 
   
    oltre 
   
    a 
   
    1400 
   
    sacchi, 
   
    non 
   
    aveva 
   
    perce 
   
    pito 
   
    che 
   
    sole 
   
    lire 
   
    10, 
   
    o 
   
    ll, 
   
    di 
   
    grossi, 
   
    e 
   
    minutamente 
   
    riporta 
   
    i 
   
    nomi 
   
    degli 
   
    esportatori 
   
    (in 
   
    numero 
   
    di 
   
    27), 
   
    il 
   
    valore 
   
    delle 
   
    merci, 
   
    la 
   
    somma 
   
    d'una 
   
    parte 
   
    maggiore) 
   
    di 
   
    quelle 
   
    in 
   
    deremi 
   
    347,
   
    795, 
   
    dai 
   
    quali 
   
    aveva 
   
    cavato 
   
    soltanto 
   
    1656 
   
    deremi, 
   
    meno 
   
    che 
   
    il 
   
    1/2% 
   
    (279). 
  
 
   
    Il 
   
    rapporto 
   
    del 
   
    Bragadin 
   
    nel 
   
    1330 
   
    e 
   
    nell'anno 
   
    seguente 
   
    è 
   
    di 
   
    un'altro 
   
    tenore 
   
    e 
   
    più 
   
    triste: 
   
    egli 
   
    si 
   
    lagna 
   
    delle 
   
    oppressioni 
   
    che 
   
    pativano 
   
    i 
   
    suoi 
   
    nazionali 
   
    dagli 
   
    Armeni 
   
    con 
   
    defraudo, 
   
    im 
   
    prigionamento 
   
    e 
   
    assassinio, 
   
    senza 
   
    giudizio 
   
    e 
   
    giustizia, 
   
    Si 
   
    lamenta 
   
    anche 
   
    della 
   
    corruzione 
   
    dell' 
   
    argento, 
   
    il 
   
    quale 
   
    perdeva 
   
    circa 
   
    il 
   
    6 
   
    %, 
   
    del 
   
    disordine 
   
    nel 
   
    visitare 
   
    le 
   
    navi 
   
    al 
   
    loro 
   
    arrivo 
   
    a 
   
    par 
   
    tenza, 
   
    della 
   
    tassa 
   
    arbitraria 
   
    del 
   
    6 
   
    0 
   
    4 
   
    % 
   
    all' 
   
    infuori 
   
    della 
   
    città 
   
    e 
   
    1 
   
    % 
   
    dentro 
   
    la 
   
    città, 
   
    e 
   
    di 
   
    altre 
   
    simili 
   
    gravezze 
   
    (13). 
   
    Senza 
   
    dubbio 
   
    non 
   
    poteva 
   
    la 
   
    Repubblica 
   
    restar 
   
    in 
   
    silenzio 
   
    a 
   
    tali 
   
    e 
   
    tan 
   
    te 
   
    lesioni 
   
    dell'interesse, 
   
    e 
   
    degli 
   
    interessati 
   
    suoi: 
   
    se 
   
    ne 
   
    lagno 
   
    il 
   
    Doge 
   
    al 
   
    Re 
   
    (Leone 
   
    IV); 
   
    e 
   
    ricevette 
   
    un 
   
    nuovo 
   
    Privilegio 
   
    (1333) 
   
    il 
   
    quale 
   
    si 
   
    vedrà 
   
    nelle 
   
    · 
   
    serie 
   
    delle 
   
    relazioni 
   
    diplomatiche 
   
    delle 
   
    due 
   
    Corti 
   
    colla 
   
    lettera 
   
    del 
   
    nostro 
   
    Ro 
   
    al 
   
    Doge 
   
    (14). 
  
 
   
    Prima 
   
    di 
   
    passare 
   
    ad 
   
    altro 
   
    argomento 
   
    citeremo 
   
    alcuni 
   
    fatti 
   
    pure 
   
    relativi 
   
    al 
   
    commercio 
   
    armeno-veneto, 
   
    ma 
   
    fuori 
   
    dell'Arme 
   
    no-Cilicia; 
   
    altri 
   
    riguardanti 
   
    l'Armenia 
   
    Maggiore 
   
    propriamente 
   
    detta; 
   
    la 
   
    quale, 
   
    in 
   
    questi 
   
    ultimi 
   
    tempi 
   
    di 
   
    cui 
   
    discorriamo,
   
    veniva 
   
    spesso 
   
    traversata 
   
    da 
   
    un 
   
    condottiere 
   
    di 
   
    carovane, 
   
    un 
   
    Armeno 
   
    di 
   
    come 
   
    soac, 
   
    detto 
   
    il 
   
    Calamaci, 
   
    che 
   
    significherebbe 
   
    in 
   
    turco 
   
    o 
   
    tar 
   
    taro, 
   
    dragomanno 
   
    ovvero 
   
    punzio; 
   
    il 
   
    quale 
   
    guidava 
   
    i 
   
    convogli 
   
    mercantili 
   
    sulla 
   
    ben 
   
    frequentata 
   
    via 
   
    di 
   
    Trebisonda 
   
    – 
   
    Tauris 
   
    e 
   
    viceversa; 
   
    e 
   
    serviva 
   
    particolarmente 
   
    per 
   
    gl'interessi 
   
    dei 
   
    Venezia 
   
    ni. 
   
    Venuto 
   
    in 
   
    persona 
   
    a 
   
    Venezia, 
   
    chiese 
   
    (16 
   
    giugno, 
   
    1333) 
   
    per 
   
    il 
   
    lungo 
   
    suo 
   
    servizio 
   
    di 
   
    essere 
   
    rimuperato 
   
    di 
   
    un 
   
    aspro 
   
    per 
   
    ogni 
   
    somma 
   
    di 
   
    mulo; 
   
    ma 
   
    non 
   
    fu 
   
    ascoltato 
   
    (239). 
   
    Nello 
   
    stesso 
   
    tempo 
   
    si 
   
    trovava 
   
    a 
   
    Venezia 
   
    un 
   
    persiano 
   
    di 
   
    noma 
   
    Aci 
   
    Soleman 
   
    Taibi, 
   
    il 
   
    quale 
   
    servendosi 
   
    del 
   
    nostro 
   
    Avao 
   
    per 
   
    dragomanno, 
   
    consenti 
   
    di 
   
    cedere 
   
    3 
   
    aspri 
   
    per 
   
    carica 
   
    della 
   
    somma 
   
    di 
   
    4000 
   
    bisanzi 
   
    che 
   
    ri 
   
    coperava 
   
    per 
   
    i 
   
    danni 
   
    patiti 
   
    a 
   
    Erzerum, 
   
    e 
   
    che 
   
    gli 
   
    toccavano 
   
    per 
   
    la 
   
    paga 
   
    stabilita 
   
    di 
   
    4 
   
    bisabzi 
   
    per 
   
    ogni 
   
    carico 
   
    (286). 
   
    Questa 
   
    de 
   
    terminazione 
   
    fu 
   
    dettata 
   
    dallo 
   
    stesso 
   
    Soleman 
   
    in 
   
    persiano 
   
    o 
   
    tra 
   
    dotta 
   
    da 
   
    Avac 
   
    in 
   
    italiano, 
   
    poi 
   
    firmata 
   
    da 
   
    due 
   
    Turchi 
   
    o 
   
    Persiani. 
  
 
   
    Fra 
   
    le 
   
    varie 
   
    diramazioni 
   
    del 
   
    commercio 
   
    reneto 
   
    in 
   
    oriente, 
   
    non 
   
    è 
   
    ignota 
   
    quella 
   
    di 
   
    Crimea, 
   
    allora 
   
    sotto 
   
    il 
   
    dominio 
   
    dei 
   
    Tar 
   
    tari: 
   
    abitata 
   
    da 
   
    una 
   
    forte 
   
    e 
   
    grossa 
   
    colonia 
   
    armena, 
   
    la 
   
    quale 
   
    ha 
   
    avuto 
   
    maggiore 
   
    relazione 
   
    coi 
   
    Genovesi, 
   
    essendo 
   
    questi 
   
    divenuti 
   
    quasi 
   
    padroni 
   
    di 
   
    una 
   
    parte 
   
    di 
   
    Caffa, 
   
    capitale 
   
    della 
   
    penisola 
   
    Tau 
   
    rica. 
   
    Un'altra 
   
    città 
   
    principale 
   
    era 
   
    la 
   
    cost 
   
    detta 
   
    Sorgat 
   
    o 
   
    Sulghat, 
   
    il 
   
    cui 
   
    governatore 
   
    Ramazan 
   
    nell'anno 
   
    1356 
   
    (2 
   
    marzo) 
   
    segna 
   
    va 
   
    un 
   
    trattato 
   
    coi 
   
    Veneziani 
   
    obbligandoli 
   
    alla 
   
    tassa 
   
    del 
   
    3 
   
    % 
   
    sul 
   
    valore 
   
    delle 
   
    merci 
   
    (286); 
   
    e 
   
    con 
   
    altro 
   
    privilegio 
   
    loro 
   
    conce 
   
    deva 
   
    d'approdare 
   
    al 
   
    porto 
   
    di 
   
    provato 
   
    o 
   
    Città 
   
    Nova, 
   
    coll'obbligo 
   
    di 
   
    pagare 
   
    i 
   
    danni 
   
    sofferti 
   
    da 
   
    suoi 
   
    sudditi 
   
    a 
   
    Costantinopoli 
   
    nella 
   
    cattura 
   
    d'una 
   
    nave 
   
    genovese, 
   
    fatta 
   
    dai 
   
    Veneziani, 
   
    e 
   
    nella 
   
    quale 
   
    fra 
   
    gli 
   
    altri 
   
    v'erano 
   
    alcuni 
   
    Armeni; 
   
    promettendo 
   
    di 
   
    sua 
   
    parte 
   
    indenniz 
   
    zare 
   
    i 
   
    Veneti 
   
    depredati 
   
    dai 
   
    suoi 
   
    uomini 
   
    (287). 
   
    Kuteltimur, 
   
    suc 
   
    cessore 
   
    di 
   
    Ramazan, 
   
    designd 
   
    ai 
   
    Veneziani 
   
    (1358 
   
    settem. 
   
    26) 
   
    tre 
   
    porti 
   
    d'approdo, 
   
    il 
   
    sopradetto 
   
    Provato, 
   
    Calitza 
   
    e 
   
    Soldadi 
   
    ossia 
   
    Soldaja 
   
    (288), 
   
    e 
   
    per 
   
    parte 
   
    del 
   
    suo 
   
    sovrano 
   
    Berdi 
   
    Chan 
   
    li 
   
    costrip 
   
    de 
   
    & 
   
    sborsare 
   
    il 
   
    loro 
   
    debito 
   
    per 
   
    la 
   
    depredazione 
   
    sopradetta: 
   
    ma 
   
    la 
   
    moglie 
   
    del 
   
    Chan, 
   
    Taideli 
   
    Chatun, 
   
    esonerando 
   
    i 
   
    Veneziani 
   
    pagd 
   
    di 
   
    suo 
   
    11,
   
    000 
   
    bisanzi, 
   
    (de' 
   
    quali 
   
    500 
   
    toccavano 
   
    agli 
   
    Armeni), 
   
    e 
   
    ancora 
   
    20 
   
    bisapzi 
   
    per 
   
    il 
   
    loro 
   
    vitto 
   
    o 
   
    salario 
   
    (290): 
   
    scrisse 
   
    pure 
   
    al 
   
    Doge 
   
    che 
   
    per 
   
    la 
   
    dimanda 
   
    degli 
   
    Armeni 
   
    (pro 
   
    precepto 
   
    Arminium) 
   
    pago 
   
    10,
   
    998 
   
    bisanzi 
   
    oltre 
   
    550 
   
    summe, 
   
    a 
   
    conto 
   
    delle 
   
    2830 
   
    & 
   
    cui 
   
    si 
   
    erano 
   
    obbligati 
   
    gli 
   
    stessi 
   
    Veneziani 
   
    (291). 
  
 
   
    Uo 
   
    altro 
   
    centro 
   
    di 
   
    commercio 
   
    frequentato 
   
    da 
   
    Veneziani 
   
    era 
   
    Tabril, 
   
    l'antica 
   
    a 
   
    la 
   
    moderna 
   
    capitale 
   
    dell' 
   
    Atropatene 
   
    (Aderbi 
   
    gian), 
   
    un 
   
    tempo 
   
    Pers-Armenia 
   
    Ma 
   
    sarebbe 
   
    oltrepassare 
   
    il 
   
    limite 
   
    del 
   
    nostro 
   
    scopo 
   
    se 
   
    volessimo 
   
    trattenerci 
   
    anche 
   
    su 
   
    questa 
   
    piazza 
   
    im 
   
    portante, 
   
    e 
   
    qui 
   
    la 
   
    citiamo 
   
    soltanto 
   
    per 
   
    un 
   
    altro 
   
    caso 
   
    accaduto 
   
    ai 
   
    Veneziani 
   
    nell369 . 
   
    Il 
   
    sovrano 
   
    o 
   
    Re 
   
    di 
   
    Tabriz 
   
    Sheich 
   
    Dosis 
   
    Chan, 
   
    rinnovando 
   
    il 
   
    Privilegio 
   
    dato 
   
    dal 
   
    suo 
   
    antecessore 
   
    Busaid 
   
    Chan 
   
    ai 
   
    Veneziani, 
   
    gli 
   
    invitava 
   
    al 
   
    suo 
   
    paese 
   
    guarantendo 
   
    la 
   
    sicurezza 
   
    del 
   
    la 
   
    strada 
   
    tra 
   
    la 
   
    sua 
   
    città 
   
    e 
   
    quella 
   
    di 
   
    Trebisonda 
   
    (292), 
   
    dove 
   
    molti 
   
    meroanti 
   
    veneti 
   
    aspettavano 
   
    per 
   
    timore 
   
    degli 
   
    assassini; 
   
    i 
   
    quali 
   
    avevano 
   
    svaligiati 
   
    i 
   
    loro 
   
    connazionali 
   
    in 
   
    certo 
   
    luogo 
   
    deto 
   
    to 
   
    Aonde, 
   
    nell'Armenia, 
   
    non 
   
    lontano 
   
    da 
   
    Erzerum. 
   
    Soriveva 
   
    pore  
   
    (1373) 
   
    al 
   
    Bailo 
   
    di 
   
    Trebisonda 
   
    della 
   
    stessa 
   
    sicurezza, 
   
    perchè 
   
    avova 
   
    mandato 
   
    un 
   
    corto 
   
    Abaran 
   
    (Ibraim 
   
    ?) 
   
    Choggia, 
   
    & 
   
    catturare 
   
    e 
   
    & 
   
    castigare 
   
    i 
   
    ladri, 
   
    e 
   
    cosi 
   
    veniva 
   
    eseguito 
   
    (293-294).