LE 
   
    RELAZIONI 
   
    DELLA 
   
    REPUBBLICA 
   
    DELLA 
   
    CORTE 
   
    DI 
   
    SIS 
  
 
   
    Abbiamo 
   
    notata 
   
    l'origine 
   
    delle 
   
    relazioni 
   
    della 
   
    Repubblica 
   
    veneta 
   
    col 
   
    nuovo 
   
    regno 
   
    degli 
   
    Armeni 
   
    di 
   
    Cilicia, 
   
    cominciate 
   
    sot 
   
    to 
   
    i 
   
    governi 
   
    d'Enrico 
   
    Dandolo 
   
    e 
   
    di 
   
    Leone 
   
    il 
   
    Magnifico, 
   
    salutate 
   
    e 
   
    assodate 
   
    col 
   
    Privilegio 
   
    di 
   
    questo, 
   
    il 
   
    quale 
   
    divenne 
   
    poi 
   
    il 
   
    pro 
   
    totipo 
   
    di 
   
    molti 
   
    altri 
   
    trattati 
   
    che 
   
    nel 
   
    corso 
   
    di 
   
    un 
   
    secolo 
   
    e 
   
    mezzo 
   
    si 
   
    rinnovarono 
   
    ad 
   
    ogni 
   
    nuovo 
   
    regno, 
   
    e 
   
    qualche 
   
    volta 
   
    si 
   
    ripeteva 
   
    no 
   
    sotto 
   
    uno 
   
    stesso 
   
    regnante, 
   
    come 
   
    abbiamo 
   
    veduto 
   
    sotto 
   
    Hethum, 
   
    successore 
   
    di 
   
    Leone 
   
    negli 
   
    anni 
   
    1245, 
   
    1261: 
   
    e 
   
    benchè 
   
    non 
   
    se 
   
    ne 
   
    abbia 
   
    prova, 
   
    si 
   
    deve 
   
    tener 
   
    per 
   
    certo 
   
    che 
   
    prima 
   
    di 
   
    questi 
   
    due 
   
    ne 
   
    abbia 
   
    emapato 
   
    uno 
   
    nell'ascendere 
   
    al 
   
    trono 
   
    reale, 
   
    nell'anno 
   
    1226, 
   
    sotto 
   
    la 
   
    tutela 
   
    del 
   
    suo 
   
    potente 
   
    e 
   
    avveduto 
   
    padre 
   
    Costanti 
   
    no 
   
    detto 
   
    il 
   
    Bailo 
   
    e 
   
    Principe 
   
    de 
   
    principi. 
   
    Ricordammo 
   
    anche 
   
    il 
   
    Privilegio 
   
    di 
   
    Leone 
   
    II 
   
    nell'anno 
   
    della 
   
    sua 
   
    incoronazione 
   
    (1271); 
   
    e 
   
    siccome 
   
    nel 
   
    1288, 
   
    penultimo 
   
    anno 
   
    del 
   
    regno, 
   
    ne 
   
    emand 
   
    uno 
   
    per 
   
    i 
   
    Genovesi 
   
    assegoando 
   
    minutamente 
   
    le 
   
    tasso 
   
    per 
   
    ciascun 
   
    genere 
   
    di 
   
    merci 
   
    nell'entrata 
   
    e 
   
    nell'uscita 
   
    dallo 
   
    stato, 
   
    è 
   
    molto 
   
    verosi 
   
    mile 
   
    che 
   
    abbia 
   
    fatto 
   
    egualmente 
   
    per 
   
    i 
   
    Veneziani, 
   
    e 
   
    forse 
   
    ante 
   
    riormente, 
   
    quando 
   
    cioè 
   
    il 
   
    Bailo 
   
    veneto 
   
    per 
   
    ordine 
   
    del 
   
    suo 
   
    go 
   
    verno 
   
    (10 
   
    agosto, 
   
    1287) 
   
    dovea 
   
    presentarsi 
   
    per 
   
    un 
   
    affare 
   
    (ignoto 
   
    a 
   
    noi) 
   
    di 
   
    certo 
   
    Giovanni 
   
    Captoli 
   
    (31). 
   
    Si 
   
    sa 
   
    pure 
   
    che 
   
    l'anno 
   
    1284 
   
    per 
   
    consenso 
   
    del 
   
    Maggior 
   
    Consiglio 
   
    (12 
   
    agosto), 
   
    il 
   
    Bailo 
   
    di 
   
    8. 
   
    Giovanni 
   
    d'Acri 
   
    vendette 
   
    al 
   
    nostro 
   
    Re 
   
    una 
   
    tarita 
   
    al 
   
    prezzo 
   
    di 
   
    800 
   
    bisanzi, 
   
    (24). 
  
 
   
    Sotto 
   
    Leone 
   
    II, 
   
    l'anno 
   
    stesso 
   
    in 
   
    cui 
   
    emanava 
   
    il 
   
    suo 
   
    Privi. 
   
    legio 
   
    a 
   
    favore 
   
    dei 
   
    Veneziani 
   
    (1271), 
   
    il 
   
    famosissimo 
   
    loro 
   
    viaggiatore 
   
    Marco 
   
    Polo 
   
    si 
   
    trovava 
   
    nell'Armenia 
   
    col 
   
    padre 
   
    e 
   
    collo 
   
    zio; 
   
    e 
   
    pare 
   
    che, 
   
    per 
   
    temperare 
   
    il 
   
    lungo 
   
    tedio, 
   
    aspettando 
   
    l'elezione 
   
    del 
   
    nuovo 
   
    l'apa, 
   
    si 
   
    divertisse 
   
    ool 
   
    paragonare 
   
    il 
   
    va 
   
    o 
   
    vieni 
   
    delle 
   
    carovane 
   
    di 
   
    quel 
   
    neonato 
   
    porto 
   
    armeno, 
   
    Ayazzo, 
   
    con 
   
    quello 
   
    del 
   
    la 
   
    sua 
   
    incomparabile 
   
    patria 
   
    (Venezia); 
   
    come 
   
    anche 
   
    i 
   
    racconti 
   
    del 
   
    suo 
   
    genitore, 
   
    con 
   
    quelli 
   
    del 
   
    Re 
   
    Aethum 
   
    e 
   
    del 
   
    fratello 
   
    di 
   
    quest'ul 
   
    timo, 
   
    Sempad 
   
    il 
   
    Contestabile, 
   
    sulle 
   
    condizioni 
   
    e 
   
    meraviglie 
   
    di 
   
    quei 
   
    lontani 
   
    paesi 
   
    orientall, 
   
    i 
   
    quali 
   
    fra 
   
    pochi 
   
    anni 
   
    dovevano 
   
    essere 
   
    da 
   
    lui 
   
    visitati, 
   
    e 
   
    mirabilmente 
   
    descriti. 
   
    Si 
   
    può 
   
    dire 
   
    che 
   
    da 
   
    quel 
   
    porto 
   
    d'Ayazzo, 
   
    Marco 
   
    prese 
   
    il 
   
    suo 
   
    slancio, 
   
    imbarcato 
   
    sopra 
   
    un 
   
    bastimento 
   
    armeno, 
   
    e 
   
    condotto 
   
    a 
   
    S. 
   
    Giovanni 
   
    d'Acri 
   
    a 
   
    prov 
   
    vedersi 
   
    della 
   
    benedizione 
   
    del 
   
    nuovo 
   
    Papa 
   
    Gregorio
    
     [1], 
   
    per 
   
    il 
   
    suo 
   
    sempre 
   
    memorabile 
   
    viaggio: 
   
    la 
   
    cui 
   
    descrizione, 
   
    come 
   
    ognuno 
   
    sa, 
   
    comincia 
   
    appunto 
   
    colla 
   
    partenza 
   
    da 
   
    Ayazzo; 
   
    e 
   
    quantunque 
   
    no 
   
    tissima 
   
    non 
   
    si 
   
    può 
   
    resistere 
   
    al 
   
    desiderio 
   
    di 
   
    ripetere 
   
    qui 
   
    il 
   
    preomio. 
  
 
   
    «Per 
   
    dar 
   
    principio 
   
    a 
   
    Darrar 
   
    delle 
   
    provincie 
   
    che 
   
    M. 
   
    Marco 
   
    Polo 
   
    ha 
   
    viste 
   
    nell'Asia, 
   
    delle 
   
    cose 
   
    degne 
   
    di 
   
    notizia, 
   
    che 
   
    in 
   
    quelle 
   
    ha 
   
    ritrovate, 
   
    dico 
   
    che 
   
    sono 
   
    due 
   
    Armenie, 
   
    una 
   
    detta 
   
    Minore 
   
    e 
   
    l'altra 
   
    Maggiore. 
   
    Del 
   
    Reame 
   
    dell'Armenia 
   
    Minore 
   
    è 
   
    signore 
   
    un 
   
    Re 
   
    che 
   
    abita 
   
    in 
   
    una 
   
    città 
   
    detta 
   
    Sebastoz
    
     [2]. 
   
    Sopra 
   
    il 
   
    mare 
   
    è 
   
    una 
   
    città 
   
    detta 
   
    La 
   
    Giazza 
   
    terra 
   
    di 
   
    gran 
   
    traffico; 
   
    al 
   
    suo 
   
    porto 
   
    vengono 
   
    molti 
   
    mercanti 
   
    da 
   
    Venezia, 
   
    da 
   
    Genova 
   
    e 
   
    da 
   
    molte 
   
    altre 
   
    regioni, 
   
    con 
   
    molte 
   
    mercanzie 
   
    di 
   
    diverse 
   
    specie ; 
   
    panni 
   
    di 
   
    seta 
   
    e 
   
    di 
   
    lana 
   
    e 
   
    di 
   
    altre 
   
    preziose 
   
    ricchezze ; 
   
    ed 
   
    anco 
   
    quelli 
   
    che 
   
    vogliono 
   
    entrare 
   
    più 
   
    dentro 
   
    nelle 
   
    terre 
   
    di 
   
    Levante, 
   
    vanno 
   
    primieramente 
   
    al 
   
    detto 
   
    porto 
   
    di 
   
    Giazza 
   
    » . 
  
 
   
    Morto 
   
    Leone 
   
    II 
   
    ( 
   
    6 
   
    febb . 
   
    1289), 
   
    gli 
   
    successe 
   
    il 
   
    primogenito 
   
    fra 
   
    i 
   
    sette 
   
    suoi 
   
    figli 
   
    viventi, 
   
    Hethum 
   
    II, 
   
    il 
   
    quale 
   
    praticò 
   
    una 
   
    vita 
   
    singolare ; 
   
    sovrano, 
   
    soldato 
   
    e 
   
    monaco 
   
    in 
   
    pari 
   
    tempo : 
   
    possiamo 
   
    dire 
   
    anche 
   
    letterato 
   
    e 
   
    sempre 
   
    in 
   
    abilità. 
   
    Avendo 
   
    egli 
   
    particolare 
   
    divozione 
   
    a 
   
    S. 
   
    Francesco 
   
    d'Assisi 
   
    ed 
   
    al 
   
    suo 
   
    ordine, 
   
    fino 
   
    della 
   
    tenera 
   
    età 
   
    aveva 
   
    concepito 
   
    il 
   
    disegno 
   
    d'ascriversi, 
   
    e 
   
    lo 
   
    compi 
   
    prendendo 
   
    nome 
   
    di 
   
    Fra 
   
    Gioranni; 
   
    ma 
   
    non 
   
    rinunziò 
   
    affatto 
   
    al 
   
    regno, 
   
    perchè 
   
    conosceva 
   
    bene 
   
    il 
   
    carattere 
   
    dei 
   
    fratelli 
   
    minori , 
   
    bollenti 
   
    di 
   
    sangue 
   
    e 
   
    smaniosi 
   
    di 
   
    gloria ; 
   
    i 
   
    quali 
   
    aspirando 
   
    alla 
   
    successione, 
   
    potevano 
   
    metterla 
   
    in 
   
    pericolo, 
   
    siccome 
   
    pur 
   
    troppo 
   
    ne 
   
    diedero 
   
    prova 
   
    in 
   
    seguito. 
   
    Hethum 
   
    assunse 
   
    ad 
   
    interim 
   
    il 
   
    regno, 
   
    ma 
   
    non 
   
    volle 
   
    mai 
   
    incoronarsi ; 
   
    secondo 
   
    i 
   
    tempi 
   
    e 
   
    gli 
   
    eventi, 
   
    ora 
   
    saliva 
   
    sul 
   
    trono, 
   
    ora 
   
    vi 
   
    facevasalire 
   
    uno 
   
    dei 
   
    fratelli, 
   
    e 
   
    da 
   
    ultimo 
   
    il 
   
    nipote 
   
    (Leone 
   
    III 
   
    ) ; 
   
    ora 
   
    si 
   
    ritrovava 
   
    in 
   
    un 
   
    convento 
   
    dei 
   
    Frati 
   
    Minori, 
   
    indossandone 
   
    la 
   
    grossa 
   
    tonaca ; 
   
    ed 
   
    ora 
   
    si 
   
    slanciava, 
   
    vestito 
   
    dello 
   
    stesso 
   
    abito 
   
    monacale, 
   
    contro 
   
    i 
   
    nemici 
   
    della 
   
    fede 
   
    e 
   
    del 
   
    regno 
   
    paterno, 
   
    perseguitandoli 
   
    fin’a 
   
    Damasco 
   
    ed 
   
    al 
   
    Cairo, 
   
    ed 
   
    inoltrandosi 
   
    fin 
   
    alla 
   
    corte 
   
    del 
   
    Chan 
   
    Tartaro, 
   
    come 
   
    altre 
   
    volte 
   
    fin' 
   
    a 
   
    Gerusalemme. 
   
    In 
   
    tal 
   
    costume 
   
    religioso-militare, 
   
    bizzarro 
   
    agli 
   
    occhi 
   
    del 
   
    secolo, 
   
    si 
   
    trova 
   
    dipinto 
   
    in 
   
    vari 
   
    monasteri 
   
    e 
   
    chiese 
   
    dell'ordine 
   
    Francescano. 
   
    Abbiamo 
   
    visto 
   
    noi 
   
    pure, 
   
    e 
   
    forse 
   
    si 
   
    vede 
   
    qui 
   
    (a 
   
    Venezia) 
   
    a 
   
    San 
   
    Giobbe, 
   
    un 
   
    ritratto 
   
    suo 
   
    in 
   
    una 
   
    cella 
   
    di 
   
    quell'antico 
   
    convento 
   
    francescano, 
   
    e 
   
    per 
   
    caso 
   
    singolare 
   
    l'unico 
   
    che 
   
    rimane 
   
    fra 
   
    il 
   
    gran 
   
    numero 
   
    che 
   
    ce 
   
    n'era 
   
    prima , 
   
    perchè 
   
    il 
   
    custo 
   
    de 
   
    del 
   
    locale 
   
    ( 
   
    quando 
   
    fu 
   
    destinato 
   
    per 
   
    Orto 
   
    botanico) 
   
    sentendo 
   
    simpatia 
   
    a 
   
    quel 
   
    Beato, 
   
    non 
   
    permise 
   
    che 
   
    fosse 
   
    cancellato 
   
    come 
   
    il 
   
    resto ; 
   
    tenendo 
   
    per 
   
    tradizione 
   
    che 
   
    lo 
   
    stesso 
   
    fra 
   
    Giovanni 
   
    Hethum 
   
    avesse 
   
    un 
   
    tempo 
   
    abitato 
   
    in 
   
    quella 
   
    cella. 
   
    In 
   
    fatti 
   
    si 
   
    tiene 
   
    che 
   
    per 
   
    la 
   
    sua 
   
    tragica 
   
    morte 
   
    (la 
   
    quale 
   
    sarà 
   
    citata 
   
    in 
   
    seguito), 
   
    per 
   
    la 
   
    sua 
   
    fede 
   
    e 
   
    i 
   
    suoi 
   
    costumi, 
   
    fosse 
   
    il 
   
    nostro 
   
    Re 
   
    considerato 
   
    fra 
   
    i 
   
    Beati 
   
    di 
   
    quell' 
   
    ordine 
   
    ch'egli 
   
    ammiro, 
   
    venendo 
   
    reciprocamente 
   
    ammirato. 
   
    Speriamo 
   
    venia 
   
    a 
   
    questa 
   
    digressione 
   
    il 
   
    cui 
   
    scopo 
   
    era 
   
    di 
   
    indaga 
   
    re 
   
    se 
   
    anche 
   
    il 
   
    nostro 
   
    Re 
   
    frate 
   
    avesse 
   
    privilegiata 
   
    la 
   
    repubblica 
   
    Veneta 
   
    con 
   
    un 
   
    suo 
   
    editto, 
   
    nè 
   
    citato 
   
    espressamante 
   
    nè 
   
    conservato 
   
    negli 
   
    Archivi, 
   
    ma 
   
    che 
   
    non 
   
    dimeno 
   
    pare 
   
    indubitabile: 
   
    perchè 
   
    in 
   
    un 
   
    decreto 
   
    del 
   
    Maggior 
   
    Consiglio 
   
    (molto 
   
    posteriormente 
   
    al 
   
    fatto) 
   
    si 
   
    ordina 
   
    (21 
   
    aprile, 
   
    1310) 
   
    il 
   
    pagamento 
   
    dei 
   
    crediti 
   
    del 
   
    Bailo 
   
    Pan 
   
    crazio, 
   
    fra 
   
    i 
   
    quali 
   
    erano 
   
    300 
   
    deremi 
   
    di 
   
    spese, 
   
    per 
   
    ricevere 
   
    il 
   
    nuo 
   
    vo 
   
    privilegio 
   
    del 
   
    Ro 
   
    (46). 
   
    Ora 
   
    abbiamo 
   
    trovato 
   
    nella 
   
    serie 
   
    dei 
   
    Baili 
   
    questo 
   
    Pancrazio 
   
    negli 
   
    anni 
   
    1289-90, 
   
    ossia 
   
    appunto 
   
    nel 
   
    pri 
   
    mo 
   
    anno 
   
    del 
   
    governo 
   
    di 
   
    Hethum 
   
    II; 
   
    e 
   
    siccome 
   
    il 
   
    Pancrazio 
   
    era 
   
    licenziato 
   
    dal 
   
    Bailato 
   
    il 
   
    25 
   
    luglio 
   
    1290 
   
    (37), 
   
    è 
   
    da 
   
    credere 
   
    che 
   
    dopo 
   
    la 
   
    morte 
   
    di 
   
    Leone 
   
    II, 
   
    ma 
   
    innanzi 
   
    al 
   
    1290, 
   
    fosse 
   
    rinnovato 
   
    il 
   
    privilegio 
   
    ai 
   
    Veneziani. 
   
    La 
   
    quale 
   
    ipotesi 
   
    viene 
   
    ancora 
   
    confer 
   
    mata 
   
    dal 
   
    fatto 
   
    che 
   
    i 
   
    Genovesi 
   
    pure 
   
    avevano 
   
    ricevuto 
   
    nuovo 
   
    Pri 
   
    vilegio 
   
    o 
   
    conferma 
   
    nell'anno 
   
    1289 
   
    (come 
   
    ci 
   
    assicurano 
   
    i 
   
    loro 
   
    istorici), 
   
    per 
   
    mano 
   
    del 
   
    loro 
   
    ambasciatore 
   
    Benetto 
   
    Zaccaria, 
   
    ben 
   
    che 
   
    non 
   
    si 
   
    trovi 
   
    adesso 
   
    nè 
   
    la 
   
    copia 
   
    di 
   
    questo 
   
    privilegio 
   
    nè 
   
    di 
   
    quello 
   
    concesso 
   
    ai 
   
    Catalani 
   
    l'anno 
   
    1293. 
   
    L'anno 
   
    terzo 
   
    del 
   
    regno 
   
    di 
   
    Hethum 
   
    (1291, 
   
    luglio), 
   
    mandavasi 
   
    a 
   
    lui 
   
    e 
   
    al 
   
    Re 
   
    di 
   
    Cipro 
   
    un 
   
    nuovo 
   
    ambasciatore 
   
    dalla 
   
    repubblica 
   
    (38); 
   
    non 
   
    se 
   
    ne 
   
    sa 
   
    la 
   
    causa, 
   
    ma 
   
    pud 
   
    supporsi 
   
    fra 
   
    le 
   
    altre 
   
    il 
   
    movimento 
   
    dell'esercito 
   
    Egiziano; 
   
    il 
   
    quale 
   
    finalmente 
   
    debello 
   
    l'ultimo 
   
    baluardo 
   
    dei 
   
    Crociati, 
   
    S. 
   
    Giovanni 
   
    d'Acri, 
   
    e 
   
    minacciava 
   
    i 
   
    sopradetti 
   
    due 
   
    regni 
   
    di 
   
    Cipro 
   
    e 
   
    d'Armenia. 
   
    Hethum, 
   
    da 
   
    politico 
   
    circospetto, 
   
    cedendo 
   
    alcuni 
   
    punti 
   
    nell'estremità 
   
    del 
   
    suo 
   
    paese 
   
    e 
   
    confinanti 
   
    all' 
   
    egiziano, 
   
    salvo 
   
    il 
   
    resto; 
   
    ed 
   
    accomodando 
   
    le 
   
    cose 
   
    interne, 
   
    ne 
   
    confert 
   
    l'amministra 
   
    zione 
   
    al 
   
    fratello 
   
    suo 
   
    secondogenito, 
   
    Thoros, 
   
    o 
   
    si 
   
    ritird 
   
    fra 
   
    i 
   
    suoi 
   
    Francescani 
   
    nel 
   
    1293, 
   
    l'anno 
   
    stesso, 
   
    in 
   
    cui 
   
    accadde 
   
    la 
   
    rotta 
   
    del 
   
    l'armata 
   
    veneta 
   
    nelle 
   
    aoque 
   
    d' 
   
    Ayazzo 
   
    e 
   
    cagiond 
   
    la 
   
    perturbazione 
   
    delle 
   
    fin 
   
    allora 
   
    pacifiche 
   
    relazioni 
   
    commerciali 
   
    dei 
   
    Veneziani 
   
    nel 
   
    l'Armeno-Cilicia. 
   
    Per 
   
    la 
   
    qual 
   
    cosa 
   
    si 
   
    discorreva 
   
    spesso 
   
    nei 
   
    con 
   
    sigli 
   
    della 
   
    repubblica 
   
    e 
   
    decretavasi 
   
    (24 
   
    nov. 
   
    1294) 
   
    che 
   
    dopo 
   
    i 
   
    fatti 
   
    sinistri 
   
    e 
   
    la 
   
    battaglia 
   
    navale 
   
    in 
   
    quel 
   
    paese, 
   
    i 
   
    mercanti 
   
    salvati 
   
    potessero 
   
    ritornare 
   
    a 
   
    Venezia 
   
    con 
   
    qualsiasi 
   
    nave 
   
    (47); 
   
    e 
   
    alcuni 
   
    mesi 
   
    dopo 
   
    (25 
   
    aprile, 
   
    1295) 
   
    si 
   
    dava 
   
    commissione 
   
    a 
   
    tre 
   
    Savi 
   
    eletti, 
   
    di 
   
    esaminare 
   
    bene 
   
    l'affare, 
   
    sotto 
   
    multa 
   
    di 
   
    25 
   
    lire, 
   
    secondo 
   
    l'av 
   
    viso 
   
    del 
   
    Doge 
   
    e 
   
    suoi 
   
    consiglieri 
   
    (50). 
   
    Lo 
   
    stesso 
   
    si 
   
    ordinava 
   
    l'anno 
   
    seguente 
   
    (15 
   
    Feb. 
   
    1296), 
   
    cioè 
   
    di 
   
    eleggere 
   
    tre 
   
    esaminatori 
   
    dal 
   
    numero 
   
    dei 
   
    40 
   
    consiglieri 
   
    (51). 
  
 
   
    Nei 
   
    pochi 
   
    anni 
   
    del 
   
    suo 
   
    governo 
   
    (1293-6) 
   
    Thoros 
   
    sostituito 
   
    ad 
   
    Hethum, 
   
    intitolato 
   
    Signore 
   
    o 
   
    Barone 
   
    d' 
   
    Armenia, 
   
    pare 
   
    aver 
   
    accordato 
   
    ai 
   
    Veneziani 
   
    di 
   
    stabilirsi 
   
    a 
   
    Tarso 
   
    e 
   
    a 
   
    Mamestia, 
   
    come 
   
    si 
   
    può 
   
    dedurre 
   
    dal 
   
    Privilegio 
   
    del 
   
    suo 
   
    figlio 
   
    Leone 
   
    III 
   
    (5). 
  
 
   
    L'anno 
   
    1296 
   
    Thoros 
   
    accompagno 
   
    il 
   
    fratello 
   
    religioso 
   
    che 
   
    re 
   
    cavasi 
   
    & 
   
    Costantinopoli 
   
    8 
   
    salutare 
   
    la 
   
    sorella 
   
    Rila 
   
    sposats 
   
    al 
   
    figlio 
   
    dell'imperatore, 
   
    e 
   
    cold 
   
    Hethum 
   
    procurd 
   
    come 
   
    amico 
   
    comune, 
   
    di 
   
    cementar 
   
    la 
   
    pace 
   
    fra 
   
    Genovesi 
   
    e 
   
    Veneziani. 
   
    Non 
   
    è 
   
    l'unica 
   
    volta 
   
    che 
   
    i 
   
    sovrani 
   
    Armeni 
   
    si 
   
    prestassero 
   
    quali 
   
    mallevadori 
   
    in 
   
    favore 
   
    dei 
   
    Veneziani 
   
    e 
   
    presso 
   
    una 
   
    corte 
   
    più 
   
    alta, 
   
    cioè 
   
    quella 
   
    di 
   
    Roma; 
   
    come 
   
    fece 
   
    nel 
   
    1310 
   
    un 
   
    altro 
   
    fratello 
   
    di 
   
    Hethuin 
   
    (Ossin), 
   
    suppli 
   
    cando 
   
    il 
   
    Pontefice 
   
    di 
   
    levar 
   
    l'interdetto 
   
    pronunciato 
   
    contro 
   
    la 
   
    re 
   
    pubblica, 
   
    e 
   
    cið 
   
    si 
   
    manifesta 
   
    dalla 
   
    risposta 
   
    (severa 
   
    in 
   
    riguardo 
   
    ai 
   
    Veneti) 
   
    data 
   
    dal 
   
    Papa 
   
    Clemente 
   
    V. 
   
    li 
   
    4 
   
    aprile, 
   
    1310 
   
    (366). 
  
 
   
    Frattanto 
   
    mentre 
   
    Hethum 
   
    e 
   
    Thoros 
   
    si 
   
    trattenevano 
   
    a 
   
    Costan. 
   
    tinopoli, 
   
    un 
   
    altro 
   
    loro 
   
    fratello 
   
    più 
   
    baldo 
   
    ed 
   
    audace 
   
    (Sombate), 
   
    trovo 
   
    maniera 
   
    di 
   
    cattivarsi 
   
    non 
   
    solamente 
   
    l'esercito 
   
    e 
   
    i 
   
    Baroni, 
   
    ma 
   
    anche 
   
    il 
   
    Clero, 
   
    e 
   
    di 
   
    consenso 
   
    del 
   
    gran 
   
    Chan 
   
    di 
   
    Tartaria, 
   
    fu 
   
    solennemente 
   
    incoronato 
   
    ro 
   
    degli 
   
    Armeni, 
   
    e 
   
    come 
   
    sovrano 
   
    di 
   
    tutti 
   
    nel 
   
    ritorno 
   
    dei 
   
    suoi 
   
    fratelli 
   
    maggiori, 
   
    intercettando 
   
    loro 
   
    la 
   
    strada, 
   
    li 
   
    prese, 
   
    e 
   
    barbaramente 
   
    tolse 
   
    la 
   
    luce 
   
    degli 
   
    occhi 
   
    a 
   
    Hethum 
   
    (il 
   
    quale 
   
    la 
   
    ricuperd 
   
    poi 
   
    miracolosamente), 
   
    ed 
   
    & 
   
    Thoros 
   
    più 
   
    che 
   
    la 
   
    luce, 
   
    la 
   
    vita! 
  
 
   
    Abbiamo 
   
    veduto 
   
    altrove 
   
    (pag. 
   
    27) 
   
    un 
   
    contratto 
   
    di 
   
    questo 
   
    Re 
   
    Sembate 
   
    con 
   
    un 
   
    mercante 
   
    veneto, 
   
    Michele 
   
    Lo 
   
    Tataro 
   
    (275), 
   
    per 
   
    mezzo 
   
    del 
   
    suo 
   
    ambasciatore 
   
    & 
   
    Venezia 
   
    negli 
   
    anni 
   
    1297-8. 
  
 
   
    Intanto 
   
    Hethum 
   
    sano 
   
    di 
   
    occhi 
   
    e 
   
    di 
   
    mente, 
   
    cacciato 
   
    l'usur 
   
    patore 
   
    dal 
   
    trono 
   
    prese 
   
    le 
   
    redini 
   
    del 
   
    governo 
   
    ed 
   
    alleatosi 
   
    coi 
   
    Tar 
   
    tari 
   
    cinse 
   
    ancora 
   
    una 
   
    volta 
   
    la 
   
    spada 
   
    per 
   
    combattere 
   
    gli 
   
    Egiziani, 
   
    perseguitandoli, 
   
    fin 
   
    à 
   
    un 
   
    loro 
   
    fortissimo 
   
    castello, 
   
    e 
   
    spinse 
   
    la 
   
    spada 
   
    dentro 
   
    la 
   
    porta 
   
    ferrata, 
   
    lasciando 
   
    là 
   
    trofeo 
   
    memorabile. 
   
    Iu 
   
    diverso 
   
    modo 
   
    nel 
   
    ritorno 
   
    venuto 
   
    & 
   
    Gerusalemme, 
   
    vi 
   
    depose 
   
    lo 
   
    scettro 
   
    in 
   
    offerta 
   
    al 
   
    sepoloro 
   
    del 
   
    Redentore. 
  
 
   
    Arrivato 
   
    poi 
   
    al 
   
    suo 
   
    paese 
   
    e 
   
    messo 
   
    tutto 
   
    in 
   
    ordine, 
   
    alzd 
   
    al 
   
    trono 
   
    il 
   
    tenero 
   
    fanciullo 
   
    Leone 
   
    III 
   
    figlio 
   
    dell'infelice 
   
    Thoros, 
   
    desti 
   
    nandogli 
   
    per 
   
    isposa 
   
    la 
   
    giovine 
   
    Agnes 
   
    iglia 
   
    della 
   
    propria 
   
    sorella 
   
    Zablun 
   
    e 
   
    di 
   
    Amalrico 
   
    principe 
   
    di 
   
    Tiro, 
   
    fratello 
   
    del 
   
    Re 
   
    di 
   
    Cipro. 
   
    Dopo 
   
    tutto 
   
    ciò 
   
    rientrava 
   
    Hethum 
   
    (1301) 
   
    nel 
   
    suo 
   
    tranquillo 
   
    ritiro 
   
    claustrale. 
  
 
   
    In 
   
    questo 
   
    anno 
   
    (1301) 
   
    la 
   
    repubblica 
   
    aveva 
   
    non 
   
    so 
   
    che 
   
    que 
   
    stione 
   
    col 
   
    Barone 
   
    Ossin, 
   
    probabilmente 
   
    fratello 
   
    di 
   
    Hethum, 
   
    per 
   
    la 
   
    quale 
   
    ordinava 
   
    (1 
   
    ottob.
   
    ) 
   
    al 
   
    Bailo 
   
    Siniolo 
   
    di 
   
    contentarlo 
   
    scrivendogli 
   
    cortesamente 
   
    (256). 
   
    Più 
   
    importante 
   
    fu 
   
    la 
   
    raccomandazione 
   
    fatta 
   
    l'an 
   
    no 
   
    seguente 
   
    (1 
   
    settem. 
   
    1302) 
   
    a 
   
    Teofilo 
   
    Mocenigo, 
   
    che 
   
    nell' 
   
    andar 
   
    in 
   
    Armenia 
   
    pregasse 
   
    il 
   
    Re 
   
    od 
   
    il 
   
    Rettore 
   
    d'Ayazzo 
   
    di 
   
    don 
   
    intro 
   
    durre 
   
    novità 
   
    nel 
   
    trattamento 
   
    coi 
   
    mercatanti 
   
    (257). 
  
 
   
    Ma 
   
    una 
   
    novità 
   
    più 
   
    grande 
   
    e 
   
    mal'augurata 
   
    fecero 
   
    gli 
   
    stessi 
   
    Veneziani 
   
    con 
   
    l' 
   
    assalto 
   
    e 
   
    la 
   
    presa 
   
    della 
   
    fortezza 
   
    di 
   
    terra 
   
    d'Ayazzo, 
   
    come 
   
    si 
   
    è 
   
    detto 
   
    più 
   
    sopra, 
   
    donde 
   
    nacque 
   
    non 
   
    poco 
   
    malumore 
   
    e 
   
    controversia 
   
    fra 
   
    i 
   
    due 
   
    popoli 
   
    alleati, 
   
    finchè 
   
    l'anno 
   
    1307 
   
    (20 
   
    marzo) 
   
    il 
   
    giovine 
   
    Re 
   
    Leone 
   
    III 
   
    emand 
   
    un 
   
    nuovo 
   
    editto 
   
    di 
   
    previlegi 
   
    per 
   
    i 
   
    Veneziani 
   
    (8). 
  
 
   
    Frattanto 
   
    soffriva 
   
    anche 
   
    la 
   
    repubblica 
   
    e 
   
    si 
   
    facevano 
   
    spesso 
   
    consulti 
   
    per 
   
    mandar 
   
    ambasciate 
   
    a 
   
    spianare 
   
    la 
   
    difficoltà 
   
    (111: 
   
    113), 
   
    e 
   
    per 
   
    le 
   
    spese 
   
    del 
   
    viaggio 
   
    far 
   
    imprestito 
   
    di 
   
    due 
   
    soldi 
   
    per 
   
    cento 
   
    (60). 
   
    Eletto 
   
    ambasciatore 
   
    (2 
   
    agosto, 
   
    1306) 
   
    Giacomo 
   
    Quirini 
   
    vi 
   
    ri 
   
    punziava 
   
    a 
   
    cadeva 
   
    sotto 
   
    pena 
   
    di 
   
    multa 
   
    di 
   
    20 
   
    soldi 
   
    de 
   
    grossi, 
   
    e 
   
    veniva 
   
    poi 
   
    graziato 
   
    (61). 
   
    Ordinavasi 
   
    (29 
   
    marzo 
   
    1307) 
   
    nuovo 
   
    im 
   
    prestito 
   
    di 
   
    5 
   
    soldi 
   
    %, 
   
    se 
   
    non 
   
    fosse 
   
    suficiente 
   
    il 
   
    2% 
   
    della 
   
    tas 
   
    sa 
   
    doi 
   
    mercanti 
   
    nell'Armonia 
   
    (63), 
   
    ove 
   
    fu 
   
    mandato 
   
    in 
   
    ambasciata 
   
    Dolfino 
   
    Dolin, 
   
    mentre 
   
    vigeva 
   
    ancora 
   
    a 
   
    Venezia 
   
    la 
   
    questione 
   
    per 
   
    trovar 
   
    modo 
   
    di 
   
    soluzione 
   
    dell'intrigo; 
   
    e 
   
    perciò 
   
    venivano 
   
    (18 
   
    marzo, 
   
    1307) 
   
    eletti 
   
    5 
   
    sindaci 
   
    (62). 
   
    Era 
   
    raccomandato 
   
    all'ambasciato 
   
    re 
   
    di 
   
    far 
   
    risarcire 
   
    il 
   
    dando 
   
    sofferto 
   
    dai 
   
    Veneziani, 
   
    di 
   
    scemare 
   
    il 
   
    oredito 
   
    di 
   
    20,
   
    000 
   
    deremi 
   
    di 
   
    Marino 
   
    Signolo, 
   
    e 
   
    di 
   
    40,
   
    500 
   
    der. 
   
    di 
   
    Valterone 
   
    de 
   
    la 
   
    Splasa 
   
    (114), 
   
    di 
   
    domandar 
   
    l'esecuzione 
   
    della 
   
    tas 
   
    sa 
   
    del 
   
    4% 
   
    e 
   
    di 
   
    ristabilire 
   
    l'ordine 
   
    antico 
   
    (115). 
   
    Fintantochè 
   
    durava 
   
    la 
   
    dissensione 
   
    fu 
   
    impedito 
   
    il 
   
    navigare 
   
    verso 
   
    Armenia 
   
    (117). 
  
 
   
    Riusci 
   
    all' 
   
    ambasciatore 
   
    Dolfia 
   
    dopo 
   
    aver 
   
    indennizato 
   
    i 
   
    dan 
   
    neggiati 
   
    di 
   
    Ayazzo, 
   
    d'impetrare 
   
    il 
   
    nuovo 
   
    privileggio 
   
    dal 
   
    giovi 
   
    ne 
   
    Re, 
   
    scritto 
   
    in 
   
    francese, 
   
    e 
   
    sul 
   
    tenore 
   
    di 
   
    quello 
   
    dato 
   
    dal 
   
    suo 
   
    avolo 
   
    l'anno 
   
    1271, 
   
    ristringendo 
   
    un 
   
    poco 
   
    la 
   
    libertà 
   
    di 
   
    Veneziani, 
   
    ordinando 
   
    che 
   
    s'avessero 
   
    a 
   
    far 
   
    conoscere 
   
    nella 
   
    partenza 
   
    dal 
   
    paese, 
   
    o 
   
    obbligando 
   
    il 
   
    loro 
   
    Comune 
   
    & 
   
    soddisfare 
   
    l'armeno 
   
    o 
   
    lo 
   
    stranie 
   
    ro 
   
    offeso 
   
    da 
   
    un 
   
    veneziano: 
   
    il 
   
    Bailo, 
   
    a 
   
    garantire 
   
    quelli 
   
    de' 
   
    suoi 
   
    che 
   
    venissero 
   
    imprestar 
   
    moneta 
   
    o 
   
    di 
   
    farli 
   
    inscrivere 
   
    dal 
   
    capita. 
   
    oo 
   
    d'Ayazzo, 
   
    e 
   
    dove 
   
    si 
   
    trovassero 
   
    in 
   
    altre 
   
    città, 
   
    il 
   
    capitano 
   
    del 
   
    luogo 
   
    dovesse 
   
    mandarli 
   
    al 
   
    Bailo 
   
    ed 
   
    al 
   
    capitano 
   
    d'Ayazzo 
   
    (8). 
  
 
   
    Nella 
   
    raccolta 
   
    detta 
   
    Pacia 
   
    Forrarese 
   
    si 
   
    trova 
   
    altru 
   
    privilegio 
   
    già 
   
    pubblicato 
   
    e 
   
    creduto 
   
    del 
   
    tempo 
   
    di 
   
    oui 
   
    parliamo; 
   
    6880 
   
    man. 
   
    ou 
   
    di 
   
    data, 
   
    di 
   
    nome, 
   
    e 
   
    del 
   
    fine, 
   
    ed 
   
    è 
   
    dettato 
   
    in 
   
    un 
   
    italiano 
   
    rozzo 
   
    o 
   
    difficile 
   
    a 
   
    capire. 
   
    Per 
   
    socertarsi 
   
    dell' 
   
    età, 
   
    sarebbe 
   
    utile 
   
    conoscere 
   
    quello 
   
    di 
   
    Tommaso 
   
    Bondumier, 
   
    ivi 
   
    citato; 
   
    che 
   
    era 
   
    venuto 
   
    mes. 
   
    saggio 
   
    & 
   
    dimandare 
   
    varie 
   
    grazie. 
   
    Pare 
   
    a 
   
    me 
   
    quasi 
   
    certo 
   
    che 
   
    tale 
   
    privilegio 
   
    debba 
   
    essere 
   
    di 
   
    data 
   
    anteriore 
   
    al 
   
    1307, 
   
    perchè 
   
    molti 
   
    anni 
   
    prima 
   
    era 
   
    cessato 
   
    il 
   
    bailato 
   
    d'Aori 
   
    citato 
   
    in 
   
    quella 
   
    scrittura 
   
    anonima; 
   
    (dunque 
   
    deve 
   
    essere 
   
    anteriore 
   
    all'anno 
   
    1291), 
   
    è 
   
    però 
   
    emanato 
   
    da 
   
    Leone 
   
    II 
   
    (1270–89) 
   
    o 
   
    perchè 
   
    vi 
   
    si 
   
    tratta 
   
    la 
   
    domanda 
   
    di 
   
    una 
   
    chiesa 
   
    in 
   
    Ayazzo 
   
    e 
   
    del 
   
    promesso 
   
    del 
   
    Re 
   
    di 
   
    conce. 
   
    derla 
   
    quando 
   
    venga 
   
    a 
   
    stabilirsi 
   
    il 
   
    Bailo; 
   
    cosi 
   
    pure 
   
    si 
   
    parla 
   
    del 
   
    tra 
   
    smutamento 
   
    d'abitazione 
   
    da 
   
    Sis 
   
    ad 
   
    Ayazzo. 
   
    In 
   
    oltre 
   
    vi 
   
    si 
   
    diman 
   
    da 
   
    che 
   
    il 
   
    vicario 
   
    d'Antiochia 
   
    o 
   
    l'arcivescovo 
   
    di 
   
    Mamestia 
   
    curas 
   
    sero 
   
    i 
   
    bisogni 
   
    spirituali 
   
    dei 
   
    Veneziani 
   
    in 
   
    Ayazzo. 
   
    Tutto 
   
    ciò, 
   
    mo 
   
    stra 
   
    che 
   
    in 
   
    quel 
   
    tempo 
   
    non 
   
    vi 
   
    era 
   
    in 
   
    questa 
   
    città 
   
    nè 
   
    chiesa 
   
    nè 
   
    88 
   
    cerdoto 
   
    veneto, 
   
    come 
   
    ve 
   
    n'erano 
   
    a 
   
    Sis 
   
    e 
   
    a 
   
    Mamestia; 
   
    e 
   
    siccome 
   
    nel 
   
    Privilegio 
   
    del 
   
    1271 
   
    Leone 
   
    II 
   
    dice 
   
    concedere 
   
    una 
   
    chiesa 
   
    in 
   
    Ayazzo, 
   
    si 
   
    deve 
   
    conchiudere 
   
    che 
   
    questo 
   
    privilegio 
   
    senza 
   
    data 
   
    di 
   
    cui 
   
    discorriamo, 
   
    e 
   
    in 
   
    cui 
   
    il 
   
    donatore 
   
    cita 
   
    il 
   
    padre 
   
    suo 
   
    senza 
   
    no 
   
    minarlo, 
   
    deve 
   
    essere 
   
    anteriore 
   
    a 
   
    quello 
   
    del 
   
    1271: 
   
    e 
   
    giusto 
   
    nello 
   
    spazio 
   
    di 
   
    tempo 
   
    che 
   
    corse 
   
    dal 
   
    28 
   
    ottobre 
   
    1270 
   
    al 
   
    6 
   
    maggio 
   
    1271, 
   
    cioè 
   
    in 
   
    quei 
   
    pochi 
   
    mesi 
   
    del 
   
    governo 
   
    di 
   
    Leone 
   
    prima 
   
    che 
   
    fos 
   
    se 
   
    incoronato 
   
    e 
   
    nominato 
   
    effettivamente 
   
    Re. 
  
 
   
    Una 
   
    delle 
   
    domande 
   
    più 
   
    importanti 
   
    del 
   
    messaggio 
   
    era 
   
    l'e 
   
    senzione 
   
    di 
   
    tansa 
   
    (come 
   
    era 
   
    in 
   
    Ayazzo) 
   
    in 
   
    cinque 
   
    altre 
   
    città, 
   
    Sis, 
   
    Mamestia, 
   
    Adana, 
   
    Tarso 
   
    e 
   
    Coprestian 
   
    che 
   
    io 
   
    credo 
   
    Copitara, 
   
    e 
   
    che 
   
    fu 
   
    concessa; 
   
    ma 
   
    quando 
   
    si 
   
    dimando 
   
    che 
   
    la 
   
    stessa 
   
    esenzio 
   
    De 
   
    fosse 
   
    estesa 
   
    anche 
   
    pei 
   
    casali, 
   
    il 
   
    sovrano 
   
    feoe 
   
    distinzione, 
   
    es 
   
    sendone 
   
    alcuni 
   
    soggetti 
   
    al 
   
    Re, 
   
    il 
   
    quale 
   
    poteva 
   
    comandar 
   
    là, 
   
    al 
   
    tri 
   
    invece 
   
    appartenenti 
   
    ai 
   
    Baroni 
   
    e 
   
    Cavalieri, 
   
    nei 
   
    quali 
   
    non 
   
    po 
   
    teva 
   
    il 
   
    Re 
   
    esercitare 
   
    il 
   
    suo 
   
    potere 
   
    liberamente. 
   
    Lasciamo 
   
    a 
   
    chi 
   
    avrd 
   
    la 
   
    fortuna 
   
    di 
   
    leggere 
   
    e 
   
    di 
   
    capire 
   
    l'altre 
   
    domande 
   
    e 
   
    risposte 
   
    contenute 
   
    in 
   
    questo 
   
    potabile 
   
    documento 
   
    (5). 
  
 
   
    Appena 
   
    ristabilita 
   
    la 
   
    buona 
   
    armonia 
   
    fra 
   
    l'Armenia 
   
    e 
   
    la 
   
    re 
   
    pubblica, 
   
    questa 
   
    ordind 
   
    regali 
   
    per 
   
    il 
   
    Re 
   
    ed 
   
    il 
   
    Barone 
   
    Ossin 
   
    suo 
   
    zio, 
   
    e 
   
    se 
   
    le 
   
    spese 
   
    non 
   
    si 
   
    procurassero 
   
    altrimenti, 
   
    sieno 
   
    tolte 
   
    dalla 
   
    tassa 
   
    1/2 
   
    % 
   
    (130). 
   
    Ma 
   
    ecco 
   
    che 
   
    quasi 
   
    nello 
   
    stesso 
   
    punto 
   
    arrivò 
   
    la 
   
    notizia 
   
    del 
   
    tragico 
   
    fine 
   
    del 
   
    giovine 
   
    Re 
   
    armeno 
   
    o 
   
    del 
   
    suo 
   
    venerabile 
   
    zio 
   
    e 
   
    reggente 
   
    Hethum, 
   
    insidiosamente 
   
    truci 
   
    dati 
   
    (17 
   
    nov. 
   
    1307) 
   
    dal 
   
    crudele 
   
    Tartaro 
   
    Bilagù 
   
    luogotenente 
   
    del 
   
    Chan 
   
    in 
   
    quelle 
   
    parti; 
   
    ma 
   
    venne 
   
    egli 
   
    pure 
   
    ammazzato 
   
    per 
   
    ordine 
   
    del 
   
    Chan 
   
    ad 
   
    istanza 
   
    degli 
   
    ultimi 
   
    due 
   
    fratelli 
   
    gemelli 
   
    di 
   
    Hethum, 
   
    Ossin 
   
    e 
   
    Alinac; 
   
    i 
   
    quali 
   
    come 
   
    la 
   
    loro 
   
    nascita 
   
    voleva, 
   
    e 
   
    più 
   
    ancora, 
   
    si 
   
    amavano 
   
    svisceratamente, 
   
    e 
   
    si 
   
    offrivano 
   
    viceudevolmente 
   
    la 
   
    co 
   
    rona 
   
    reale; 
   
    ma 
   
    essendo 
   
    stato 
   
    Ossin 
   
    il 
   
    primo 
   
    & 
   
    venir 
   
    alla 
   
    luce, 
   
    consenti 
   
    & 
   
    cingersi 
   
    la 
   
    coropa 
   
    solennemente, 
   
    ritornato 
   
    che 
   
    fu 
   
    Alidac 
   
    dal 
   
    suo 
   
    viaggio 
   
    alla 
   
    corte 
   
    del 
   
    Tartaro 
   
    (1308). 
   
    Fu 
   
    solle 
   
    cita 
   
    la 
   
    Repubblica 
   
    ad 
   
    eleggere 
   
    invece 
   
    di 
   
    Dolfino 
   
    Dolfin 
   
    altro 
   
    ambasciatore, 
   
    Poscarini 
   
    Giovanni 
   
    (5 
   
    settembre, 
   
    1308), 
   
    tassando 
   
    2 
   
    soldi 
   
    per 
   
    cento 
   
    per 
   
    le 
   
    spese, 
   
    valutata 
   
    a 
   
    19 
   
    lire 
   
    di 
   
    grossi 
   
    quelle 
   
    dell'ambasciatore, 
   
    e 
   
    11 
   
    L. 
   
    de 
   
    grossi 
   
    per 
   
    regalo 
   
    al 
   
    Re, 
   
    oltre 
   
    quelli 
   
    destinati 
   
    per 
   
    Alinac 
   
    ed 
   
    altri 
   
    Baroni 
   
    (64). 
   
    Il 
   
    Foscarini 
   
    si 
   
    trovava 
   
    allora 
   
    a 
   
    Corone; 
   
    gli 
   
    fu 
   
    scritto 
   
    (22 
   
    settemb. 
   
    1308) 
   
    da 
   
    parte 
   
    del 
   
    Doge 
   
    consigliatolo 
   
    a 
   
    prepararsi 
   
    all'ambasciata, 
   
    procurando 
   
    l'occorrente 
   
    con 
   
    imprestito 
   
    da 
   
    chi 
   
    che 
   
    sia, 
   
    così 
   
    veneto 
   
    che 
   
    straniero, 
   
    che 
   
    sarebbe 
   
    soddisfatto 
   
    a 
   
    Venezia, 
   
    dopo 
   
    due 
   
    mesi 
   
    della 
   
    loro 
   
    presenza. 
  
 
   
    Nello 
   
    stesso 
   
    giorno 
   
    scrisse 
   
    il 
   
    Doge 
   
    (Pietro 
   
    Gradenigo) 
   
    al 
   
    Re 
   
    Ossin, 
   
    raccomandandogli 
   
    l'ambasciatore; 
   
    e 
   
    altrettanto 
   
    scrisse 
   
    ad 
   
    Alinac 
   
    (261), 
   
    e 
   
    con 
   
    poca 
   
    differenza 
   
    a 
   
    Bethum 
   
    signor 
   
    di 
   
    Coricos, 
   
    il 
   
    poto 
   
    storico, 
   
    il 
   
    Marco 
   
    Polo 
   
    Armeno 
   
    e 
   
    religioso 
   
    Remonstrateuse, 
   
    a 
   
    un 
   
    altro 
   
    Hothum 
   
    signore 
   
    del 
   
    castello 
   
    Neghir 
   
    (creduto 
   
    Nogro 
   
    o 
   
    Negrino 
   
    da 
   
    Latini), 
   
    il 
   
    quale 
   
    viene 
   
    intitolato 
   
    Capitano 
   
    del 
   
    regno 
   
    d'Ar 
   
    media. 
   
    L'ambasciata 
   
    fu 
   
    ritardata 
   
    per 
   
    la 
   
    malattia 
   
    e 
   
    la 
   
    morte 
   
    del 
   
    Foscarini, 
   
    a 
   
    cui 
   
    fu 
   
    sostituito, 
   
    dopo 
   
    lungo 
   
    corso 
   
    di 
   
    tempo, 
   
    (mag 
   
    gio, 
   
    1310) 
   
    Gregorio 
   
    Dolfin 
   
    (46); 
   
    e 
   
    perchè 
   
    i 
   
    regali 
   
    destinati 
   
    erano 
   
    rimasti 
   
    a 
   
    Corone, 
   
    fu 
   
    scritto 
   
    (12 
   
    mag. 
   
    1310) 
   
    al 
   
    castellano 
   
    di 
   
    quel 
   
    luogo 
   
    di 
   
    consegnarli 
   
    al 
   
    Duovo 
   
    ambasciatore, 
   
    e 
   
    di 
   
    tenere 
   
    in 
   
    riserva 
   
    gli 
   
    effetti 
   
    del 
   
    defunto 
   
    Foscarini 
   
    (265). 
  
 
   
    Scrisse 
   
    il 
   
    Doge 
   
    al 
   
    Re 
   
    Ossin 
   
    (14 
   
    maggio, 
   
    1310) 
   
    raccomandando 
   
    il 
   
    nuovo 
   
    ambasciatore, 
   
    ed 
   
    in 
   
    pari 
   
    tempo 
   
    Bailo 
   
    (267); 
   
    al 
   
    quale 
   
    era 
   
    raccomandato 
   
    di 
   
    diro 
   
    & 
   
    viva 
   
    voce 
   
    qualche 
   
    cosa 
   
    in 
   
    particolare. 
  
 
   
    Scrisse 
   
    ancora, 
   
    come 
   
    la 
   
    prima 
   
    volta, 
   
    ad 
   
    altri 
   
    dignitari; 
   
    tra 
   
    i 
   
    quali 
   
    al 
   
    Contestabile 
   
    Hethum, 
   
    non 
   
    solamente 
   
    la 
   
    credenziale 
   
    per 
   
    l'amba 
   
    sciatore, 
   
    ma 
   
    ringraziamenti 
   
    per 
   
    l'affetto 
   
    che 
   
    portava 
   
    questi 
   
    a 
   
    Venezia, 
   
    come 
   
    lo 
   
    attestavano 
   
    il 
   
    nobile 
   
    Nicolò 
   
    Morosini 
   
    ed 
   
    altri. 
   
    Parimenti 
   
    si 
   
    rivolse 
   
    all'altro 
   
    Hethum, 
   
    signore 
   
    di 
   
    Negbir 
   
    (264). 
   
    E 
   
    per 
   
    togliere 
   
    ogni 
   
    ostacolo 
   
    alla 
   
    pace 
   
    desiderata, 
   
    raccomando 
   
    contemporaneamente 
   
    al 
   
    Bailo 
   
    di 
   
    Negroponte, 
   
    obbligasse 
   
    Grioad 
   
    chino 
   
    Sanudo, 
   
    il 
   
    quale 
   
    con 
   
    due 
   
    galee 
   
    avea 
   
    depredato 
   
    Armeni 
   
    e 
   
    Cipriotti, 
   
    e 
   
    perciò 
   
    molti 
   
    Veneziani 
   
    erano 
   
    stati 
   
    incarcerati, 
   
    a 
   
    venire 
   
    a 
   
    Venezia 
   
    e 
   
    dar 
   
    conto 
   
    al 
   
    Doge 
   
    del 
   
    suo 
   
    fatto, 
   
    altrimenti 
   
    sarebbe 
   
    processato 
   
    (266). 
   
    Forse 
   
    per 
   
    questo 
   
    o 
   
    per 
   
    altro, 
   
    venivano 
   
    a 
   
    Venezia 
   
    da 
   
    parte 
   
    del 
   
    nostro 
   
    Re 
   
    il 
   
    milite 
   
    Gerardo 
   
    e 
   
    Nicold 
   
    Morosini 
   
    in 
   
    ambasciata 
   
    (14 
   
    mag. 
   
    1310), 
   
    e 
   
    ricevevano 
   
    le 
   
    risposta 
   
    del 
   
    Doge 
   
    da 
   
    comunicare 
   
    poi 
   
    a 
   
    vooe 
   
    al 
   
    Re 
   
    (267): 
   
    e 
   
    perchè, 
   
    come 
   
    si 
   
    è 
   
    detto 
   
    più 
   
    sopra, 
   
    (pag. 
   
    45) 
   
    questi 
   
    si 
   
    era 
   
    prestato 
   
    come 
   
    interoessore 
   
    al 
   
    Papa 
   
    in 
   
    favore 
   
    dei 
   
    Veneziani, 
   
    determind 
   
    il 
   
    Senato 
   
    (7 
   
    aprile, 
   
    1310) 
   
    che 
   
    le 
   
    dimande 
   
    del 
   
    Re 
   
    esaminate 
   
    dal 
   
    Consiglio 
   
    dei 
   
    Dieci, 
   
    fossero 
   
    con 
   
    fermate 
   
    come 
   
    se 
   
    decretato 
   
    dal 
   
    Maggior 
   
    Consiglio 
   
    (65). 
   
    E 
   
    per 
   
    portare 
   
    al 
   
    Re 
   
    ciò 
   
    che 
   
    gli 
   
    ora 
   
    destinato, 
   
    si 
   
    commise 
   
    all' 
   
    ambsoia 
   
    tore 
   
    armasse 
   
    una 
   
    tarita 
   
    di 
   
    20 
   
    o 
   
    22 
   
    marinai 
   
    e 
   
    non 
   
    più 
   
    (66); 
   
    ma 
   
    quegli 
   
    avendo 
   
    già 
   
    noleggiata 
   
    una 
   
    galea 
   
    di 
   
    30 
   
    o 
   
    35 
   
    uomini, 
   
    si 
   
    lascid 
   
    ai 
   
    Consoli 
   
    dei 
   
    Marinai 
   
    di 
   
    permettergli 
   
    quest'ultima 
   
    im. 
   
    barcazione 
   
    (70). 
   
    Fu 
   
    ancora 
   
    concesso 
   
    all'ambasciatore 
   
    di 
   
    perce 
   
    pire 
   
    dalla 
   
    tassa 
   
    del 
   
    1/2% 
   
    quel 
   
    tanto 
   
    che 
   
    bastasse 
   
    per 
   
    il 
   
    ristauro 
   
    dei 
   
    magazzini 
   
    e 
   
    di 
   
    altri 
   
    looali 
   
    del 
   
    comune 
   
    de' 
   
    suoi 
   
    nazionali 
   
    nel 
   
    l'Armenia 
   
    e 
   
    darne 
   
    conto 
   
    (268). 
   
    Non 
   
    è 
   
    da 
   
    dubitare 
   
    che 
   
    la 
   
    prima 
   
    dimanda 
   
    dell' 
   
    ambasciatore 
   
    al 
   
    Re 
   
    fosse 
   
    la 
   
    conferma 
   
    dei 
   
    Privilegi 
   
    dei 
   
    suoi 
   
    antenati. 
   
    Come 
   
    di 
   
    tanti 
   
    altri, 
   
    non 
   
    c'è 
   
    memoria 
   
    d'alcan 
   
    editto 
   
    di 
   
    Ossin; 
   
    ma 
   
    che 
   
    abbia 
   
    concluso 
   
    il 
   
    desiderato 
   
    Privilegio, 
   
    lo 
   
    assicura 
   
    il 
   
    proprio 
   
    figlio 
   
    (Leone 
   
    IV) 
   
    in 
   
    quello 
   
    dell'anno 
   
    1321 : 
   
    « 
   
    Nous 
   
    veant 
   
    l' 
   
    honorable 
   
    Privilege 
   
    que 
   
    notre 
   
    père 
   
    le 
   
    Roy 
   
    Osim 
   
    « 
   
    avoit 
   
    ordoné 
   
    et 
   
    otroié 
   
    a 
   
    l'honorable 
   
    et 
   
    puisent 
   
    comun 
   
    de 
   
    « 
   
    Venise 
   
    ». 
  
 
   
    Credo 
   
    cosa 
   
    grata 
   
    ai 
   
    lettori 
   
    conoscere 
   
    i 
   
    titoli, 
   
    coi 
   
    quali 
   
    si 
   
    dirigevano 
   
    le 
   
    lettere 
   
    al 
   
    Re 
   
    e 
   
    ai 
   
    principi 
   
    armeni, 
   
    registrati 
   
    per 
   
    porma 
   
    dei 
   
    libri 
   
    dei 
   
    Patti 
   
    (274), 
   
    e 
   
    obe 
   
    servino 
   
    questi 
   
    ad 
   
    indicare 
   
    la 
   
    frequente 
   
    corrispondenza 
   
    della 
   
    repubblica 
   
    sotto 
   
    i 
   
    regni 
   
    di 
   
    Ossin 
   
    e 
   
    del 
   
    figlio 
   
    Leone 
   
    IV, 
   
    la 
   
    quale 
   
    viene 
   
    confermata 
   
    dal 
   
    gran 
   
    numero 
   
    di 
   
    ambasciate: 
   
    perciocobè 
   
    poco 
   
    dopo 
   
    la 
   
    partenza 
   
    di 
   
    Gr. 
   
    Dolin, 
   
    nello 
   
    stesso 
   
    anno 
   
    1310 
   
    (24 
   
    sett. 
   
    e 
   
    10 
   
    ottob.
   
    ) 
   
    si 
   
    decretava 
   
    di 
   
    ven 
   
    dere 
   
    i 
   
    doni 
   
    ricevuti 
   
    dal 
   
    Re, 
   
    drappi 
   
    di 
   
    seta 
   
    e 
   
    drappi 
   
    d'oro, 
   
    e 
   
    al 
   
    valore 
   
    del 
   
    prezzo 
   
    ricavato 
   
    preparare 
   
    contracambio 
   
    di 
   
    regali; 
   
    ma 
   
    bon 
   
    riuscendo 
   
    a 
   
    questo 
   
    scopo, 
   
    li 
   
    fanno 
   
    apprezzare 
   
    a 
   
    20 
   
    lire 
   
    di 
   
    grossi 
   
    e 
   
    per 
   
    tanti 
   
    si 
   
    ordina 
   
    far 
   
    il 
   
    cambio 
   
    (71.
   
    72). 
   
    All'ambasciatore 
   
    che 
   
    si 
   
    preparava 
   
    a 
   
    partire, 
   
    si 
   
    permette 
   
    (10 
   
    luglio 
   
    1310) 
   
    di 
   
    estrarre 
   
    560 
   
    remi 
   
    grandi 
   
    e 
   
    piccoli 
   
    per 
   
    armare 
   
    due 
   
    galee 
   
    e 
   
    una 
   
    nave 
   
    (74). 
  
 
   
    Si 
   
    dà 
   
    lioonza 
   
    al 
   
    Bailo 
   
    Dolfio 
   
    (11 
   
    lugl. 
   
    1311), 
   
    permettendogli 
   
    di 
   
    ritornare 
   
    con 
   
    la 
   
    galea 
   
    di 
   
    Bembo 
   
    Dardi 
   
    (che 
   
    doveva 
   
    caricare 
   
    merci 
   
    in 
   
    Armenia 
   
    e 
   
    in 
   
    Cipro), 
   
    con 
   
    obbligo 
   
    di 
   
    condurre 
   
    senza 
   
    mercede 
   
    il 
   
    nuovo 
   
    ambasciatore, 
   
    che 
   
    fu 
   
    Nicolò 
   
    Morosini 
   
    (73), 
   
    ri 
   
    cordato 
   
    nel 
   
    decreto 
   
    del 
   
    10 
   
    nov. 
   
    1311, 
   
    (76). 
   
    Di 
   
    nuovo 
   
    nel 
   
    prin 
   
    cipio 
   
    del 
   
    1314 
   
    s'inviava 
   
    l'altro 
   
    ambasciatore 
   
    con 
   
    presenti 
   
    al 
   
    Re, 
   
    facendo 
   
    imprestito 
   
    per 
   
    mezzo 
   
    degli 
   
    Ufficiali 
   
    del 
   
    mare, 
   
    ai 
   
    quali 
   
    si 
   
    doveva 
   
    poi 
   
    restituire 
   
    colla 
   
    tassa 
   
    di 
   
    1/2 
   
    % 
   
    (82). 
   
    Pochi 
   
    mesi 
   
    dopo 
   
    (21 
   
    luglio 
   
    1314) 
   
    si 
   
    raccomandano 
   
    nuovi 
   
    regali 
   
    al 
   
    Re 
   
    per 
   
    il 
   
    valore 
   
    di 
   
    22 
   
    lire 
   
    di 
   
    grossi 
   
    (85); 
   
    e 
   
    ancora 
   
    maggiori, 
   
    altri 
   
    duo 
   
    anni 
   
    dopo 
   
    (6, 
   
    9 
   
    settem. 
   
    1316), 
   
    quando 
   
    il 
   
    Re 
   
    Ossin, 
   
    rimasto 
   
    vedovo 
   
    sposava 
   
    Giovanna 
   
    o 
   
    Irono 
   
    figlia 
   
    di 
   
    Filippo 
   
    principe 
   
    di 
   
    Taranto, 
   
    e 
   
    perciò 
   
    il 
   
    valore 
   
    dei 
   
    regali 
   
    si 
   
    alzò 
   
    a 
   
    30 
   
    L. 
   
    di 
   
    grossi, 
   
    permetten 
   
    dosi 
   
    al 
   
    Doge 
   
    ed 
   
    ai 
   
    suoi 
   
    Consiglieri 
   
    d'imprestare 
   
    da 
   
    chi 
   
    gli 
   
    sembrasse 
   
    meglio 
   
    (95. 
   
    96), 
   
    e 
   
    anobe 
   
    con 
   
    interesse 
   
    che 
   
    servirebbe 
   
    per 
   
    il 
   
    saldo 
   
    d'imprestiti 
   
    anteriori 
   
    (97). 
   
    Nei 
   
    titoli 
   
    d'alouni 
   
    te 
   
    sti 
   
    perduti 
   
    (d'Arohivi) 
   
    si 
   
    fa 
   
    cenno 
   
    d'altra 
   
    ambasciata 
   
    dell'anno 
   
    1317 
   
    o 
   
    1318, 
   
    ma 
   
    la 
   
    si 
   
    trattende 
   
    per 
   
    allora 
   
    (143). 
   
    Si 
   
    ricorda 
   
    anche 
   
    una 
   
    lettera 
   
    dogale 
   
    mandata 
   
    al 
   
    Re 
   
    per 
   
    mezzo 
   
    del 
   
    Bailo 
   
    di 
   
    Negroponte 
   
    (Fran. 
   
    Dandolo), 
   
    il 
   
    quale 
   
    ne 
   
    da 
   
    conto 
   
    al 
   
    Doge, 
   
    (26 
   
    giugno 
   
    1318), 
   
    parlando 
   
    anche 
   
    della 
   
    cattura 
   
    fatta 
   
    dai 
   
    Genovesi 
   
    della 
   
    galea 
   
    del 
   
    Grimani 
   
    (280). 
  
 
   
    Il 
   
    Re 
   
    Ossin, 
   
    questo 
   
    amico 
   
    dei 
   
    Veneziani, 
   
    mort 
   
    l'anno 
   
    1320 
   
    (20 
   
    luglio), 
   
    lasciando 
   
    erede 
   
    il 
   
    figlio 
   
    avuto 
   
    dalla 
   
    prima 
   
    moglie, 
   
    giovine 
   
    di 
   
    12 
   
    anni, 
   
    Leone 
   
    IV, 
   
    sotto 
   
    la 
   
    tutela 
   
    dei 
   
    due 
   
    sopracitati 
   
    Hethum 
   
    e 
   
    del 
   
    maresciallo 
   
    Baldoino. 
  
 
   
    Ad 
   
    esempio 
   
    del 
   
    padre 
   
    coltivo 
   
    Leone 
   
    IV 
   
    l'amicizia 
   
    della 
   
    Repubblica 
   
    oltre 
   
    venti 
   
    anni, 
   
    almeno 
   
    per 
   
    quanto 
   
    dipendeva 
   
    da 
   
    lui, 
   
    perchè 
   
    il 
   
    suo 
   
    regno, 
   
    piuttosto 
   
    il 
   
    tempo, 
   
    fu 
   
    molto 
   
    burrascoso 
   
    e 
   
    avventuroso. 
   
    La 
   
    sua 
   
    tenera 
   
    età, 
   
    l'ambizione 
   
    del 
   
    principe 
   
    e 
   
    conte 
   
    Ossin 
   
    signore 
   
    di 
   
    Coricos, 
   
    figlio 
   
    di 
   
    Aitone 
   
    (Hethum) 
   
    lo 
   
    storico, 
   
    che 
   
    si 
   
    fece 
   
    reggento 
   
    invece 
   
    dei 
   
    due 
   
    tutori, 
   
    nocquero 
   
    al 
   
    paese 
   
    a 
   
    oui 
   
    yenne 
   
    dato 
   
    il 
   
    colpo 
   
    di 
   
    grazia 
   
    dalle 
   
    frequenti 
   
    incursioni 
   
    degli 
   
    eserciti 
   
    egiziani, 
   
    colla 
   
    perdita 
   
    fatale 
   
    dell'importantissimo 
   
    em 
   
    porio 
   
    d'Ayazzo. 
   
    All'anunzio 
   
    della 
   
    morte 
   
    del 
   
    Re 
   
    Ossin, 
   
    la 
   
    Repub 
   
    blica 
   
    trattenne 
   
    (8 
   
    settem. 
   
    1320) 
   
    il 
   
    nuovo 
   
    Bailo 
   
    Gior. 
   
    Caroso, 
   
    che 
   
    era 
   
    per 
   
    partire 
   
    per 
   
    il 
   
    suo 
   
    posto 
   
    (103), 
   
    ed 
   
    invece 
   
    incarico 
   
    (1821) 
   
    l'ambasciatore 
   
    già 
   
    nominato 
   
    (139) 
   
    che 
   
    fu 
   
    Michele 
   
    Giustiniano, 
   
    di 
   
    impetrare 
   
    dalla 
   
    Corte 
   
    di 
   
    Sis, 
   
    l'abolizione 
   
    di 
   
    alcuni 
   
    abusi 
   
    nel 
   
    procedere 
   
    coi 
   
    mercanti 
   
    Veneziani. 
  
 
   
    È 
   
    un 
   
    rimarchevole 
   
    documento 
   
    l'istruzione 
   
    data 
   
    a 
   
    questo 
   
    ambasciatore, 
   
    conservata 
   
    in 
   
    copia 
   
    negli 
   
    archivi; 
   
    con 
   
    essa 
   
    veniva 
   
    in 
   
    primo 
   
    luogo 
   
    dimandata 
   
    la 
   
    conferma 
   
    degli 
   
    antichi 
   
    Privilegi; 
   
    ciò 
   
    che 
   
    fu 
   
    accordato 
   
    dal 
   
    nuovo 
   
    Re, 
   
    il 
   
    primo 
   
    maggio 
   
    1321, 
   
    con 
   
    scrittura 
   
    in 
   
    lingua 
   
    francese. 
   
    In 
   
    secondo 
   
    luogo 
   
    si 
   
    domandava 
   
    li 
   
    bera 
   
    vendita 
   
    per 
   
    l'oro 
   
    e 
   
    l'argento 
   
    portato 
   
    dai 
   
    Veneziani 
   
    in 
   
    Ar 
   
    menia: 
   
    il 
   
    re 
   
    concede 
   
    per 
   
    l'oro, 
   
    ma 
   
    vuole 
   
    che 
   
    la 
   
    metà 
   
    dell' 
   
    ar 
   
    gento 
   
    si 
   
    consegni 
   
    alla 
   
    sua 
   
    zecca, 
   
    onde 
   
    procacciarsi 
   
    il 
   
    soldo 
   
    pagabile 
   
    al 
   
    soldano 
   
    d'Egitto. 
   
    Si 
   
    lagnava 
   
    dell'altorazione 
   
    delle 
   
    bilancie 
   
    (di 
   
    peso): 
   
    il 
   
    Re 
   
    risponde 
   
    non 
   
    esservi 
   
    alterazione 
   
    alcuna 
   
    se 
   
    non 
   
    è 
   
    colpa 
   
    dei 
   
    bilanoieri. 
   
    Diverse 
   
    altre 
   
    dimande 
   
    da 
   
    parte 
   
    della 
   
    repubblica 
   
    vengono 
   
    esaudite 
   
    dal 
   
    Re, 
   
    come 
   
    per 
   
    es. 
   
    il 
   
    permesso 
   
    di 
   
    incatenare 
   
    le 
   
    navi 
   
    ai 
   
    cerchi 
   
    di 
   
    ferro 
   
    della 
   
    fortezza 
   
    marittima 
   
    di 
   
    Ayazzo, 
   
    di 
   
    scaricare 
   
    la 
   
    merce 
   
    agli 
   
    scali 
   
    di 
   
    detto 
   
    luogo, 
   
    essendo 
   
    insuficiente 
   
    lo 
   
    stretto 
   
    spazio 
   
    del 
   
    porto; 
   
    di 
   
    stabilire 
   
    un 
   
    nuovo 
   
    magazzino 
   
    presso 
   
    il 
   
    Cimitoro; 
   
    consolare 
   
    colla 
   
    regia 
   
    protezione 
   
    l'ar 
   
    cidiacono 
   
    di 
   
    Tarso 
   
    Nicolo. 
   
    Tutti 
   
    questi 
   
    capi, 
   
    da 
   
    prima 
   
    segnati 
   
    col 
   
    piccolo 
   
    sigillo 
   
    del 
   
    Re, 
   
    furono 
   
    dati 
   
    all'ambasciatore, 
   
    e 
   
    poi 
   
    estesi 
   
    e 
   
    ratificati 
   
    coll' 
   
    aureo 
   
    sigillo, 
   
    consegnati 
   
    al 
   
    Bailo 
   
    Caroso, 
   
    portati 
   
    da 
   
    lui 
   
    a 
   
    Venezia, 
   
    e 
   
    per 
   
    ordine 
   
    del 
   
    Doge 
   
    messi 
   
    nelle 
   
    Proouratie 
   
    coll' 
   
    originale 
   
    armeno 
   
    (11). 
  
 
   
    Nel 
   
    partire 
   
    (principio 
   
    del 
   
    1322) 
   
    per 
   
    il 
   
    suo 
   
    posto 
   
    dell'Armenia, 
   
    il 
   
    Caroso 
   
    portava 
   
    copia 
   
    della 
   
    scrittura 
   
    data 
   
    all'ambasciatore 
   
    Giustiniani 
   
    (104), 
   
    come 
   
    lo 
   
    faceva 
   
    il 
   
    Bailo 
   
    Blasio 
   
    Malipiero 
   
    l'anno 
   
    1328. 
   
    È 
   
    molto 
   
    probabile 
   
    che 
   
    questi 
   
    editi 
   
    reali 
   
    fossero 
   
    sotto 
   
    scritti 
   
    dai 
   
    tutori 
   
    di 
   
    lui, 
   
    i 
   
    già 
   
    nominati 
   
    Hethum 
   
    il 
   
    senatore, 
   
    He 
   
    thum 
   
    il 
   
    senescalco 
   
    e 
   
    Hethum 
   
    il 
   
    ciambellano, 
   
    come 
   
    si 
   
    prova 
   
    dalle 
   
    loro 
   
    signature 
   
    in 
   
    quello 
   
    donato 
   
    ai 
   
    Mompelierini 
   
    l'anno 
   
    1321
    
     [3]. 
  
 
   
    Benchè 
   
    non 
   
    si 
   
    trovi 
   
    aotato, 
   
    devono 
   
    però 
   
    esser 
   
    stati 
   
    magai 
   
    foi 
   
    i 
   
    doni 
   
    inviati 
   
    dalla 
   
    Repubblica 
   
    al 
   
    nuovo 
   
    Re, 
   
    cosi 
   
    per 
   
    la 
   
    sua 
   
    incoronazione 
   
    che 
   
    per 
   
    le 
   
    nozze, 
   
    che 
   
    non 
   
    tardarono, 
   
    secondo 
   
    il 
   
    costume 
   
    di 
   
    quel 
   
    tempo 
   
    nelle 
   
    corti 
   
    reali, 
   
    massime 
   
    per 
   
    le 
   
    mire 
   
    ambiziose 
   
    del 
   
    Conte 
   
    di 
   
    Coricos, 
   
    Ossin, 
   
    il 
   
    quale 
   
    persuase 
   
    il 
   
    gio 
   
    vine 
   
    sovrano 
   
    di 
   
    prender 
   
    in 
   
    moglie 
   
    Alica 
   
    ossia 
   
    Elisa, 
   
    sua 
   
    figlia 
   
    e 
   
    di 
   
    lasciargli 
   
    prendere 
   
    la 
   
    di 
   
    lui 
   
    matrigna, 
   
    la 
   
    regina 
   
    Giovanna. 
   
    Con 
   
    questo 
   
    matrimonio 
   
    egli 
   
    divenne 
   
    veramente 
   
    patrigno 
   
    del 
   
    Re, 
   
    e 
   
    perciò 
   
    lo 
   
    si 
   
    chiama 
   
    sempre 
   
    il 
   
    Bailo, 
   
    superiore 
   
    a 
   
    tutti 
   
    gli 
   
    altri 
   
    Baroni; 
   
    e 
   
    abusando 
   
    della 
   
    minorità 
   
    di 
   
    Leone, 
   
    si 
   
    fece 
   
    come 
   
    asso 
   
    luto 
   
    governatore 
   
    del 
   
    regno, 
   
    ed 
   
    anche 
   
    usurpatore, 
   
    ingrossando 
   
    con 
   
    la 
   
    potenza 
   
    i 
   
    suoi 
   
    domini 
   
    e 
   
    le 
   
    terre, 
   
    non 
   
    solamente 
   
    a 
   
    danno 
   
    dei 
   
    vassalli, 
   
    ma 
   
    dello 
   
    stesso 
   
    re, 
   
    appropriandosi 
   
    oastelli 
   
    e 
   
    tenute 
   
    dei 
   
    signori 
   
    diseredidati, 
   
    che 
   
    per 
   
    le 
   
    leggi 
   
    feodali 
   
    dovevano 
   
    ritor 
   
    pare 
   
    al 
   
    sovrano. 
   
    La 
   
    potenza 
   
    fa 
   
    strada 
   
    alla 
   
    prepotenza. 
   
    Ossin, 
   
    non 
   
    si 
   
    sa 
   
    la 
   
    causa 
   
    e 
   
    la 
   
    maniera, 
   
    fece 
   
    imprigionare 
   
    ed 
   
    ammazzare 
   
    Zablun 
   
    la 
   
    zia 
   
    del 
   
    Re, 
   
    unica 
   
    superstite 
   
    dei 
   
    16 
   
    figli 
   
    e 
   
    figlie 
   
    di 
   
    Leone 
   
    II, 
   
    quella 
   
    orgogliosa 
   
    e 
   
    magnifica 
   
    principessa 
   
    di 
   
    Tiro, 
   
    che 
   
    fu 
   
    moglie 
   
    d'Amalrico 
   
    famoso 
   
    reggente 
   
    di 
   
    Cipro, 
   
    col 
   
    quale 
   
    e 
   
    dopo 
   
    la 
   
    morte 
   
    del 
   
    quale, 
   
    fece 
   
    tanto 
   
    strepito 
   
    e 
   
    fu 
   
    causa 
   
    di 
   
    tanti 
   
    imbarazzi 
   
    tra 
   
    le 
   
    due 
   
    corti 
   
    d'Armenia 
   
    e 
   
    di 
   
    Cipro, 
   
    e 
   
    nell' 
   
    aula 
   
    del 
   
    pontefice 
   
    roo 
   
    mano. 
   
    Intanto 
   
    Leone 
   
    IV, 
   
    divenuto 
   
    maggiore, 
   
    risentito 
   
    dei 
   
    fatti 
   
    del 
   
    patrigno, 
   
    e 
   
    probabilmente 
   
    istigato 
   
    da 
   
    qualche 
   
    mal 
   
    contento, 
   
    ordinò 
   
    di 
   
    ammazzarlo 
   
    in 
   
    unione 
   
    al 
   
    fratello 
   
    di 
   
    lui 
   
    (1329), 
   
    come 
   
    colpevoli 
   
    di 
   
    lesa 
   
    maestà. 
   
    Gl' 
   
    interni 
   
    trambusti 
   
    pur 
   
    troppo 
   
    s'ac 
   
    compagnavano 
   
    a 
   
    quelli 
   
    di 
   
    fuori, 
   
    e 
   
    vacillava 
   
    il 
   
    regno 
   
    dei 
   
    Rupe. 
   
    piani 
   
    per 
   
    le 
   
    ripetute 
   
    scorrerie 
   
    degli 
   
    Egiziani; 
   
    contro 
   
    i 
   
    quali 
   
    il 
   
    Papa 
   
    sollecitava 
   
    inutilmente 
   
    i 
   
    sovrani 
   
    occidentali 
   
    in 
   
    favore 
   
    del 
   
    Re 
   
    e 
   
    del 
   
    paese 
   
    armeno. 
  
 
   
    A 
   
    questo 
   
    scopo 
   
    si 
   
    dedicò 
   
    particolarmente 
   
    e 
   
    con 
   
    molto 
   
    zelo 
   
    un 
   
    celebre 
   
    Veneto, 
   
    il 
   
    Vecchio 
   
    Sanudo 
   
    Torcello, 
   
    l'amico 
   
    e 
   
    quasi 
   
    cooperatore 
   
    di 
   
    Hethum, 
   
    padre 
   
    del 
   
    sopracitato 
   
    disgraziato 
   
    Ossin. 
   
    Tutti 
   
    e 
   
    due 
   
    (Hethum 
   
    e 
   
    Sanudo) 
   
    miravano 
   
    alla 
   
    stessa 
   
    impresa, 
   
    aju 
   
    tare 
   
    l'Armenia 
   
    e 
   
    Cipro 
   
    e 
   
    debellare 
   
    l'Egiziano: 
   
    a 
   
    questo 
   
    fine 
   
    quegli 
   
    scrisse 
   
    I 
   
    Fiori 
   
    della 
   
    storia 
   
    Orientale 
   
    ossia 
   
    l' 
   
    Istoria 
   
    dei 
   
    Tartari, 
   
    questi 
   
    il 
   
    Secretum 
   
    fidelium 
   
    Crucis, 
   
    stampato 
   
    nella 
   
    Raccolta 
   
    inti 
   
    tolata 
   
    Gesta 
   
    Dei 
   
    por 
   
    Francos: 
   
    in 
   
    calce 
   
    dell'opera 
   
    del 
   
    Sanudo 
   
    si 
   
    trovano 
   
    sue 
   
    lettere 
   
    dirette 
   
    a 
   
    diverse 
   
    corti 
   
    e 
   
    persone 
   
    illustri, 
   
    fra 
   
    le 
   
    quali 
   
    una 
   
    scritta 
   
    circa 
   
    il 
   
    1326 
   
    al 
   
    nostro 
   
    Re; 
   
    da 
   
    essa 
   
    impariamo 
   
    che 
   
    aveva 
   
    questi 
   
    scritto 
   
    al 
   
    Sanudo 
   
    e 
   
    mandato 
   
    al 
   
    Papa 
   
    in 
   
    ambasciata 
   
    il 
   
    Vescovo 
   
    di 
   
    Caffa 
   
    Pera 
   
    Taddeo: 
   
    e 
   
    che 
   
    Sanudo, 
   
    non 
   
    lettere 
   
    e 
   
    colla 
   
    sua 
   
    presenza, 
   
    esortava 
   
    il 
   
    Papa, 
   
    i 
   
    Re 
   
    di 
   
    Francia 
   
    e 
   
    d'Inghilterra, 
   
    il 
   
    Conte 
   
    di 
   
    Hannover, 
   
    ed 
   
    altri 
   
    principi, 
   
    ad 
   
    ajutare 
   
    gli 
   
    Armeni, 
   
    e 
   
    mandava 
   
    al 
   
    nostro 
   
    Re 
   
    un 
   
    certo 
   
    Ugo 
   
    frate 
   
    Domeniouno, 
   
    per 
   
    farlo 
   
    consapevole 
   
    del 
   
    suo 
   
    agire 
   
    (367).
   
    Chi 
   
    vo 
   
    lesse 
   
    chiarirsi 
   
    dei 
   
    fatti 
   
    in 
   
    Oriente 
   
    di 
   
    quel 
   
    tempo, 
   
    troverà 
   
    rioca 
   
    materia 
   
    dell'opere 
   
    e 
   
    nelle 
   
    lettere 
   
    del 
   
    Sapudo. 
  
 
   
    Ma 
   
    per 
   
    noi 
   
    è 
   
    tempo 
   
    oramai 
   
    di 
   
    ritornare 
   
    alle 
   
    relazioni 
   
    più 
   
    dirette 
   
    della 
   
    Repubblica 
   
    vepeta 
   
    coll'Armenia, 
   
    colla 
   
    quale 
   
    aveva 
   
    allora 
   
    (1326-7) 
   
    una 
   
    questione 
   
    che 
   
    pare 
   
    molto 
   
    importante 
   
    (161), 
   
    per 
   
    cui 
   
    furono 
   
    eletti 
   
    cinque 
   
    savi 
   
    (169). 
   
    Frequentavano 
   
    nello 
   
    stesso 
   
    tompo 
   
    ambasciatori 
   
    armeni 
   
    alla 
   
    corte 
   
    papale, 
   
    e 
   
    sovente 
   
    passavano 
   
    per 
   
    Venezia: 
   
    e 
   
    venuto 
   
    qui 
   
    nell'anno 
   
    1327 
   
    Jacopo 
   
    Dragomano 
   
    con 
   
    certo 
   
    Raimondo, 
   
    questi 
   
    si 
   
    fermo 
   
    a 
   
    Venezia, 
   
    mentre 
   
    l'altro 
   
    coi 
   
    compagoi 
   
    si 
   
    parti 
   
    per 
   
    Roma. 
   
    L'anno 
   
    seguente, 
   
    partendo 
   
    il 
   
    nuovo 
   
    Bailo 
   
    per 
   
    l'Armenia, 
   
    gli 
   
    vende 
   
    raccomandato 
   
    dalla 
   
    Repub 
   
    blica 
   
    di 
   
    passare 
   
    per 
   
    Cipro 
   
    e 
   
    parlare 
   
    col 
   
    Re 
   
    di 
   
    alouni 
   
    affari 
   
    pen 
   
    denti 
   
    (176): 
   
    vennero 
   
    poi 
   
    (1329) 
   
    scelti 
   
    Savi 
   
    per 
   
    esaminare 
   
    i 
   
    fatti 
   
    avvenuti 
   
    in 
   
    quel 
   
    paese 
   
    e 
   
    nell'Armenia 
   
    (192): 
   
    in 
   
    pari 
   
    tempo 
   
    fu 
   
    mandato 
   
    ambasciatore 
   
    in 
   
    quest' 
   
    ultima, 
   
    accordandogli 
   
    per 
   
    le 
   
    spese 
   
    la 
   
    tassa 
   
    di 
   
    grossi 
   
    2 
   
    %; 
   
    e 
   
    fu 
   
    seguito, 
   
    sembra, 
   
    da 
   
    un 
   
    altro 
   
    am 
   
    basciatore, 
   
    per 
   
    cui 
   
    si 
   
    ripeteva 
   
    il 
   
    decreto 
   
    del 
   
    mandato 
   
    (196) 
   
    e 
   
    i 
   
    termini 
   
    da 
   
    comunicare 
   
    al 
   
    Re 
   
    (199). 
   
    si 
   
    trovava 
   
    a 
   
    vicenda 
   
    nel 
   
    medesimo 
   
    tempo 
   
    (1330) 
   
    in 
   
    Venezia 
   
    l'ambasciatore 
   
    armeno, 
   
    per 
   
    il 
   
    quale 
   
    fu 
   
    ordinato 
   
    (19 
   
    e 
   
    21 
   
    luglio) 
   
    regalare 
   
    dalle 
   
    entrate 
   
    del 
   
    Comune 
   
    per 
   
    4 
   
    lire 
   
    di 
   
    grossi; 
   
    e 
   
    mentre 
   
    da 
   
    una 
   
    parte 
   
    si 
   
    ri 
   
    potevano 
   
    ordini 
   
    di 
   
    armare 
   
    galee 
   
    per 
   
    l'Armenia, 
   
    d'altra 
   
    parte 
   
    s' 
   
    inouloasa 
   
    di 
   
    esaminare 
   
    i 
   
    fatti 
   
    avvenuti 
   
    laggiù, 
   
    in 
   
    termine 
   
    di 
   
    otto 
   
    giorni 
   
    (207). 
   
    Arrivando 
   
    nell'intervallo 
   
    nuovo 
   
    ambasciatore 
   
    dell'Armeno 
   
    (1331), 
   
    si 
   
    ordinava 
   
    ai 
   
    sevi 
   
    d'intendersi 
   
    con 
   
    lui 
   
    per 
   
    indurre 
   
    il 
   
    Re 
   
    a 
   
    levare 
   
    il 
   
    gravame 
   
    delle 
   
    tasse 
   
    introdotto 
   
    sotto 
   
    il 
   
    governo 
   
    suo 
   
    e 
   
    di 
   
    suo 
   
    padre 
   
    (212. 
   
    213), 
   
    e 
   
    per 
   
    lui 
   
    stesso 
   
    (l'ambasciatore) 
   
    far 
   
    regalo 
   
    del 
   
    valore 
   
    di 
   
    lire 
   
    3 
   
    di 
   
    grossi 
   
    (310). 
   
    La 
   
    gravezza 
   
    delle 
   
    tasse 
   
    era 
   
    cagiopata 
   
    dalle 
   
    guerre 
   
    cogli 
   
    Egiziani, 
   
    i 
   
    quali 
   
    battuti 
   
    dagli 
   
    Armeni 
   
    (1330) 
   
    presso 
   
    Ayazzo, 
   
    la 
   
    presero 
   
    nel 
   
    l'anno 
   
    seguente 
   
    (1331) 
   
    con 
   
    grave 
   
    danno 
   
    tanto 
   
    degli 
   
    Armeni 
   
    che 
   
    del 
   
    Chan 
   
    in 
   
    quelle 
   
    parti; 
   
    ma 
   
    venne 
   
    egli 
   
    pure 
   
    ammazzato 
   
    per 
   
    ordine 
   
    del 
   
    Chan 
   
    ad 
   
    istanza 
   
    degli 
   
    ultimi 
   
    due 
   
    fratelli 
   
    gemelli 
   
    di 
   
    Hethum, 
   
    Ossin 
   
    e 
   
    Alinac; 
   
    i 
   
    quali 
   
    come 
   
    la 
   
    loro 
   
    nascita 
   
    voleva, 
   
    e 
   
    più 
   
    ancora, 
   
    si 
   
    amavano 
   
    svisceratamente, 
   
    e 
   
    si 
   
    offrivano 
   
    vicendevolmente 
   
    la 
   
    corona 
   
    reale ; 
   
    ma 
   
    essendo 
   
    stato 
   
    Ossin 
   
    il 
   
    primo 
   
    a 
   
    venir 
   
    alla 
   
    luce, 
   
    consenti 
   
    a 
   
    cingersi 
   
    la 
   
    corona 
   
    solennemente, 
   
    ritornato 
   
    che 
   
    fu 
   
    Alinac 
   
    dal 
   
    suo 
   
    viaggio 
   
    alla 
   
    corte 
   
    del 
   
    Tartaro 
   
    ( 
   
    1308). 
   
    Fu 
   
    solle 
   
    cita 
   
    la 
   
    Repubblica 
   
    ad 
   
    eleggere 
   
    invece 
   
    di 
   
    Dolfino 
   
    Dolfin 
   
    altro 
   
    ambasciatore , 
   
    Foscarini 
   
    Giovanni 
   
    ( 
   
    5 
   
    settembre, 
   
    1308), 
   
    tassando 
   
    2 
   
    soldi 
   
    per 
   
    cento 
   
    per 
   
    le 
   
    spese, 
   
    valutata 
   
    a 
   
    19 
   
    lire 
   
    di 
   
    grossi 
   
    quelle 
   
    dell'ambasciatore, 
   
    e 
   
    11 
   
    L. 
   
    de 
   
    grossi 
   
    per 
   
    regalo 
   
    al 
   
    Re, 
   
    oltre 
   
    quelli 
   
    destinati 
   
    per 
   
    Alinac 
   
    ed 
   
    altri 
   
    Baroni 
   
    ( 
   
    64 
   
    ). 
   
    Il 
   
    Foscarini 
   
    si 
   
    trovava 
   
    allora 
   
    a 
   
    Corone ; 
   
    gli 
   
    fu 
   
    scritto 
   
    ( 
   
    22 
   
    settemb. 
   
    1308) 
   
    da 
   
    parte 
   
    del 
   
    Doge 
   
    consigliatolo 
   
    a 
   
    prepararsi 
   
    all'ambasciata, 
   
    procurando 
   
    l'occorrente 
   
    con 
   
    imprestito 
   
    da 
   
    chi 
   
    che 
   
    sia, 
   
    cosi 
   
    veneto 
   
    che 
   
    straniero, 
   
    a 
   
    che 
   
    sarebbe 
   
    soddisfatto 
   
    a 
   
    Venezia, 
   
    dopo 
   
    due 
   
    mesi 
   
    della 
   
    loro 
   
    presenza. 
  
 
   
    Nello 
   
    stesso 
   
    giorno 
   
    scrisse 
   
    il 
   
    Doge 
   
    ( 
   
    Pietro 
   
    Gradenigo) 
   
    al 
   
    Re 
   
    Ossin , 
   
    raccomandandogli 
   
    l'ambasciatore ; 
   
    e 
   
    altrettanto 
   
    scrisse 
   
    ad 
   
    Alinac 
   
    ( 
   
    261 
   
    ) , 
   
    e 
   
    con 
   
    poca 
   
    differenza 
   
    a 
   
    Hethum 
   
    signor 
   
    di 
   
    Coricos, 
   
    il 
   
    noto 
   
    storico, 
   
    il 
   
    Marco 
   
    Polo 
   
    Armeno 
   
    e 
   
    religioso 
   
    Remonstratense, 
   
    a 
   
    un 
   
    altro 
   
    Hethum 
   
    signore 
   
    del 
   
    castello 
   
    Neghir 
   
    ( 
   
    creduto 
   
    Negro 
   
    o 
   
    Negrino 
   
    da 
   
    Latini 
   
    ), 
   
    il 
   
    quale 
   
    viene 
   
    intitolato 
   
    Capitano 
   
    del 
   
    regno 
   
    d'Armenia. 
   
    L'ambasciata 
   
    fu 
   
    ritardata 
   
    per 
   
    la 
   
    malattia 
   
    e 
   
    la 
   
    morte 
   
    del 
   
    Foscarini, 
   
    a 
   
    cui 
   
    fu 
   
    sostituito, 
   
    dopo 
   
    lungo 
   
    corso 
   
    di 
   
    tempo, 
   
    (maggio, 
   
    1310) 
   
    Gregorio 
   
    Dolfin 
   
    (46) ; 
   
    e 
   
    perchè 
   
    i 
   
    regali 
   
    destinati 
   
    erano 
   
    rimasti 
   
    a 
   
    Corone, 
   
    fu 
   
    scritto 
   
    ( 
   
    12 
   
    mag. 
   
    1310) 
   
    al 
   
    castellano 
   
    di 
   
    quel 
   
    luogo 
   
    di 
   
    consegnarli 
   
    al 
   
    nuovo 
   
    ambasciatore, 
   
    e 
   
    di 
   
    tenere 
   
    in 
   
    riserva 
   
    gli 
   
    effetti 
   
    del 
   
    defunto 
   
    Foscarini 
   
    ( 
   
    265). 
  
 
   
    Scrisse 
   
    il 
   
    Doge 
   
    al 
   
    Re 
   
    Ossin 
   
    ( 
   
    14 
   
    maggio, 
   
    1310 
   
    ) 
   
    raccomandando 
   
    il 
   
    nuovo 
   
    ambasciatore, 
   
    ed 
   
    in 
   
    pari 
   
    tempo 
   
    Bailo 
   
    ( 
   
    267) ; 
   
    al 
   
    quale 
   
    era 
   
    raccomandato 
   
    di 
   
    dire 
   
    a 
   
    viva 
   
    voce 
   
    qualche 
   
    cosa 
   
    in 
   
    particolare. 
   
    dei 
   
    Veneziani. 
   
    Perciò 
   
    questi 
   
    venivano 
   
    di 
   
    nuovo 
   
    a 
   
    consulta 
   
    (20 
   
    lu 
   
    glio, 
   
    1332) 
   
    nel 
   
    termine 
   
    di 
   
    otto 
   
    giorni 
   
    (234), 
   
    per 
   
    spedire 
   
    senza 
   
    indugio 
   
    ambasciatori 
   
    a 
   
    sollecitare 
   
    la 
   
    rivisione 
   
    dei 
   
    trattati: 
   
    ordina 
   
    vasi 
   
    quindi 
   
    agli 
   
    Ufficiali 
   
    del 
   
    Sale 
   
    di 
   
    procurare 
   
    le 
   
    spese 
   
    del 
   
    viaggio 
   
    per 
   
    farli 
   
    partire 
   
    col 
   
    primo 
   
    imbarco 
   
    (222). 
   
    Frattanto 
   
    arrivando 
   
    dal 
   
    l'Armenia 
   
    notizie 
   
    allarmanti, 
   
    si 
   
    obbligava 
   
    il 
   
    Doge 
   
    (28 
   
    dicem. 
   
    1332) 
   
    col 
   
    suo 
   
    Consiglio 
   
    ad 
   
    eleggere 
   
    tre 
   
    savi 
   
    (sotto 
   
    multa 
   
    di 
   
    10 
   
    soldi), 
   
    per 
   
    determinare 
   
    fino 
   
    alla 
   
    metà 
   
    di 
   
    gennaio 
   
    prossimo 
   
    quello 
   
    che 
   
    si 
   
    dovrebbe 
   
    fare 
   
    e 
   
    presentare 
   
    per 
   
    scrittura. 
   
    L'ambasciatore 
   
    eletto 
   
    fu 
   
    Giacomo 
   
    Tropisanato, 
   
    per 
   
    cui 
   
    scriveva 
   
    il 
   
    Doge 
   
    F. 
   
    Dandolo 
   
    al 
   
    Duca 
   
    di 
   
    Creta, 
   
    preparasse 
   
    l' 
   
    imbarco 
   
    per 
   
    l'Armenia: 
   
    ove 
   
    arrivato 
   
    questi 
   
    e 
   
    scandagliato 
   
    tutto, 
   
    annunziava 
   
    la 
   
    diffiooltà 
   
    dell'impresa 
   
    per 
   
    l'estrema 
   
    irritazione 
   
    degli 
   
    Armeni, 
   
    a 
   
    cagione 
   
    di 
   
    quel 
   
    Bizali 
   
    che 
   
    aveva 
   
    fatto 
   
    fuggire 
   
    dalle 
   
    carceri 
   
    il 
   
    Contarini. 
  
 
   
    Riflettendo 
   
    da 
   
    sua 
   
    parte 
   
    il 
   
    Senato 
   
    su 
   
    queste 
   
    difficoltà, 
   
    deter 
   
    mind 
   
    (17 
   
    giugno 
   
    1333) 
   
    che 
   
    il 
   
    Doge 
   
    col 
   
    consiglio 
   
    dei 
   
    60 
   
    eleggesse 
   
    per 
   
    ambasciatore 
   
    uno 
   
    dei 
   
    mercanti 
   
    che 
   
    volesse 
   
    svernare 
   
    nell'Armenia, 
   
    e 
   
    parlasse 
   
    direttamente 
   
    col 
   
    Re, 
   
    dimandandogli 
   
    l'esatto 
   
    man 
   
    tenimento 
   
    del 
   
    suo 
   
    proprio 
   
    editto, 
   
    presentandogli 
   
    anobe 
   
    i 
   
    capi 
   
    delle 
   
    lagranze 
   
    dei 
   
    Veneziani, 
   
    le 
   
    quali 
   
    scritte 
   
    aveva 
   
    portato 
   
    il 
   
    Trevisan; 
   
    che 
   
    se 
   
    le 
   
    avesse 
   
    rinnegate 
   
    il 
   
    Re, 
   
    gli 
   
    mostrasse 
   
    le 
   
    lettere 
   
    del 
   
    Bailo. 
   
    Le 
   
    principali 
   
    dimande 
   
    erano, 
   
    di 
   
    alzare 
   
    il 
   
    prezzo 
   
    dell'ar 
   
    gento 
   
    che 
   
    essi 
   
    portavano, 
   
    per 
   
    la 
   
    rarità 
   
    di 
   
    quel 
   
    metallo 
   
    laggid; 
   
    di 
   
    ricevere 
   
    il 
   
    ducato 
   
    d'oro 
   
    per 
   
    24 
   
    Tacolini; 
   
    e 
   
    per 
   
    la 
   
    detta 
   
    rarità 
   
    d'argento 
   
    permettere 
   
    anche 
   
    il 
   
    corso 
   
    dell'oro 
   
    nella 
   
    piazza. 
   
    E 
   
    se 
   
    per 
   
    la 
   
    strettezza 
   
    dei 
   
    tempi 
   
    esigesse 
   
    il 
   
    Re 
   
    la 
   
    tassa 
   
    del 
   
    1/2% 
   
    lo 
   
    si 
   
    farebbe 
   
    in 
   
    grazia 
   
    di 
   
    lui 
   
    non 
   
    per 
   
    obbligo; 
   
    - 
   
    di 
   
    domandar 
   
    esenzione 
   
    del 
   
    dazio 
   
    nei 
   
    casali, 
   
    almeno 
   
    in 
   
    quelli 
   
    che 
   
    apparten 
   
    gono 
   
    al 
   
    Re; 
   
    di 
   
    non 
   
    permettere 
   
    l'esame 
   
    delle 
   
    valigie, 
   
    o 
   
    almeno 
   
    contentarsi 
   
    del 
   
    giuramento 
   
    dei 
   
    mercanti 
   
    al 
   
    Bailo: 
   
    di 
   
    pagare 
   
    & 
   
    Cristoforo 
   
    Nayzo 
   
    il 
   
    prezzo 
   
    del 
   
    legname, 
   
    siccome 
   
    aveva 
   
    già 
   
    accon 
   
    sentito 
   
    l'ambasciatore 
   
    del 
   
    Re 
   
    & 
   
    Venezia. 
   
    Se 
   
    a 
   
    tutto 
   
    ciò 
   
    non 
   
    volesse 
   
    soddisfare 
   
    il 
   
    Re, 
   
    l'ambasciatore 
   
    della 
   
    Repubblica 
   
    gli 
   
    dovrrebbe 
   
    anunziare 
   
    la 
   
    partenza 
   
    dei 
   
    Veneziani 
   
    dal 
   
    suo 
   
    Stato, 
   
    e 
   
    lo 
   
    stesso 
   
    inculcare 
   
    a 
   
    questi 
   
    al 
   
    termine 
   
    del 
   
    prossimo 
   
    mese 
   
    di 
   
    aprile ; 
   
    e 
   
    se 
   
    alcuno 
   
    dei 
   
    mercanti 
   
    non 
   
    ne 
   
    partisse, 
   
    sarebbe 
   
    multato 
   
    per 
   
    500 
   
    lire ; 
   
    per 
   
    50 
   
    chi 
   
    non 
   
    è 
   
    mercante ; 
   
    sarà 
   
    libero 
   
    a 
   
    stare 
   
    chi 
   
    abbia 
   
    abitato 
   
    là 
   
    da 
   
    tre 
   
    anni 
   
    in 
   
    su ; 
   
    nessuno 
   
    dovrà 
   
    ricevere 
   
    le 
   
    robe 
   
    e 
   
    le 
   
    manifatture 
   
    dei 
   
    multati, 
   
    sotto 
   
    pena 
   
    del 
   
    50 
   
    %; 
   
    lo 
   
    stesso 
   
    si 
   
    farà 
   
    per 
   
    chiunque 
   
    dopo 
   
    il 
   
    detto 
   
    termine 
   
    (mese 
   
    di 
   
    aprile) 
   
    condurrà 
   
    merci 
   
    d'Armenia. 
   
    Quelli 
   
    poi 
   
    che, 
   
    dopo 
   
    il 
   
    mese 
   
    di 
   
    dicembre 
   
    del 
   
    l'anno 
   
    corrente 
   
    partiranno 
   
    per 
   
    l'Armenia, 
   
    dovranno 
   
    prima 
   
    fer 
   
    marsi 
   
    a 
   
    Cipro 
   
    e 
   
    là 
   
    informandosi, 
   
    ove 
   
    non 
   
    trovino 
   
    appianate 
   
    le 
   
    questioni, 
   
    tornino 
   
    indietro ; 
   
    altrimenti 
   
    cadranno 
   
    sotto 
   
    la 
   
    stessa 
   
    pena. 
   
    Ognuno 
   
    dei 
   
    Rettori 
   
    è 
   
    obbligato 
   
    di 
   
    informarsi 
   
    di 
   
    questo 
   
    dal 
   
    Bailo 
   
    di 
   
    Cipro, 
   
    e 
   
    far 
   
    quello 
   
    che 
   
    si 
   
    dovrà. 
  
 
   
    Questa 
   
    grave 
   
    ambasciata 
   
    fu 
   
    affidata 
   
    a 
   
    Pietro 
   
    Bragadin 
   
    (nel 
   
    margine 
   
    si 
   
    scrive 
   
    Jacomelus 
   
    Cornaro 
   
    ), 
   
    ordinando 
   
    agli 
   
    ufficiali 
   
    di 
   
    Sal 
   
    e 
   
    di 
   
    Mare 
   
    di 
   
    procurar 
   
    il 
   
    bisogno 
   
    dalla 
   
    tassa 
   
    del 
   
    5 
   
    %, 
   
    come 
   
    fu 
   
    fatto 
   
    altra 
   
    volta 
   
    per 
   
    il 
   
    Trevisanato. 
   
    L'ambasciatore 
   
    dovrà 
   
    partire 
   
    colle 
   
    galee 
   
    della 
   
    muda 
   
    d'Armenia 
   
    (234). 
   
    I 
   
    savi, 
   
    esaminate 
   
    tutte 
   
    queste 
   
    proposizioni, 
   
    giudicarono 
   
    prudente 
   
    il 
   
    temporeggiare, 
   
    per 
   
    sentir 
   
    l'effetto 
   
    delle 
   
    lettere 
   
    già 
   
    mandate 
   
    al 
   
    Re, 
   
    il 
   
    quale 
   
    d'al 
   
    tronde 
   
    sempre 
   
    si 
   
    era 
   
    mostrato 
   
    amico 
   
    della 
   
    Repubblica ; 
   
    ed 
   
    essere 
   
    meglio 
   
    aspettar 
   
    il 
   
    ritorno 
   
    del 
   
    Bailo 
   
    colle 
   
    galee, 
   
    e 
   
    15 
   
    giorni 
   
    dopo 
   
    l'arrivo 
   
    chiamarlo 
   
    al 
   
    consiglio, 
   
    e 
   
    informandosi 
   
    delle 
   
    disposizioni 
   
    del 
   
    Re 
   
    determinare 
   
    ciò 
   
    che 
   
    si 
   
    dovesse 
   
    fare 
   
    (226) . 
  
 
   
    Come 
   
    si 
   
    sperava, 
   
    si 
   
    acquetò 
   
    il 
   
    turbine, 
   
    e 
   
    la 
   
    pace 
   
    si 
   
    rassodò 
   
    col 
   
    nuovo 
   
    Privilegio 
   
    del 
   
    Re 
   
    (10 
   
    novembre, 
   
    1333) , 
   
    consegnato 
   
    a 
   
    Jacopo 
   
    Trevisanato, 
   
    il 
   
    quale 
   
    si 
   
    vede 
   
    laggiù 
   
    esser 
   
    ritornato. 
  
 
   
    Oltre 
   
    la 
   
    conferma 
   
    dei 
   
    precedenti 
   
    articoli , 
   
    si 
   
    concedono 
   
    da 
   
    parte 
   
    del 
   
    Re 
   
    esenzione 
   
    di 
   
    tassa 
   
    per 
   
    le 
   
    manifatture 
   
    dei 
   
    zambellotti 
   
    e 
   
    dei 
   
    panni; 
   
    esenzione 
   
    di 
   
    un 
   
    Tacolino 
   
    per 
   
    settimana 
   
    pagato 
   
    dai 
   
    venditori 
   
    di 
   
    vino, 
   
    e 
   
    di 
   
    uno 
   
    o 
   
    due 
   
    deremi 
   
    nuovi 
   
    per 
   
    regele, 
   
    che 
   
    si 
   
    pagavano 
   
    dentro 
   
    e 
   
    fuori 
   
    di 
   
    città; 
   
    libertà 
   
    d'introdurre 
   
    e 
   
    di 
   
    estrarre 
   
    dal 
   
    porto 
   
    di 
   
    Tarro, 
   
    pellame, 
   
    pellicce, 
   
    e 
   
    legna; 
   
    Agenzione 
   
    del 
   
    mi. 
   
    suramento 
   
    dei 
   
    panni; 
   
    tolto 
   
    l'obbligo 
   
    ai 
   
    Veneti 
   
    di 
   
    comperar 
   
    salo 
   
    e 
   
    frumento; 
   
    — 
   
    rispettarli 
   
    e 
   
    non 
   
    molestarli: 
   
    - 
   
    in 
   
    caso 
   
    di 
   
    ladrocinio, 
   
    l'incolpato 
   
    veneto 
   
    si 
   
    giudicherà 
   
    alla 
   
    corte 
   
    del 
   
    Re; 
   
    - 
   
    ed 
   
    il 
   
    debitore 
   
    resterà 
   
    ip 
   
    prigione 
   
    fino 
   
    al 
   
    pagamento. 
   
    Tale 
   
    è 
   
    il 
   
    tenore 
   
    dell' 
   
    ul 
   
    timo 
   
    Privilegio 
   
    che 
   
    siaci 
   
    noto, 
   
    dato 
   
    dai 
   
    Re 
   
    dell'Armeno-Cilicia 
   
    in 
   
    favore 
   
    dei 
   
    Veneziani. 
   
    Il 
   
    quale 
   
    ricevuto 
   
    con 
   
    piena 
   
    soddisfazione 
   
    mentre 
   
    il 
   
    Trevisanato 
   
    lo 
   
    portava 
   
    alla 
   
    dominante, 
   
    fu 
   
    sequestrato 
   
    da' 
   
    Genovesi, 
   
    come 
   
    si 
   
    è 
   
    detto 
   
    altrove 
   
    (318). 
   
    Ma 
   
    il 
   
    trattato 
   
    arrivo 
   
    in 
   
    salvo 
   
    e 
   
    servi 
   
    per 
   
    pochi 
   
    anni 
   
    a 
   
    vantaggio 
   
    del 
   
    commercio 
   
    veneto, 
   
    prima 
   
    della 
   
    presa 
   
    e 
   
    distruzione 
   
    di 
   
    Ayazzo 
   
    (1337), 
   
    per 
   
    parte 
   
    degli 
   
    im 
   
    placabili 
   
    Egiziani. 
   
    Cosi 
   
    per 
   
    un 
   
    breve 
   
    tratto 
   
    di 
   
    tempo 
   
    risorse 
   
    ancora 
   
    quel 
   
    porto 
   
    magnifico, 
   
    per 
   
    ricadere 
   
    per 
   
    sempre 
   
    sotto 
   
    le 
   
    sue 
   
    rovine 
   
    e 
   
    scomparire 
   
    entro 
   
    alle 
   
    onde 
   
    insanguinate. 
   
    Ma 
   
    prima 
   
    che 
   
    arrivasse 
   
    quello 
   
    catastrofe, 
   
    s'affrettò 
   
    la 
   
    Repubblica 
   
    & 
   
    raffermare 
   
    da 
   
    sua 
   
    parte 
   
    le 
   
    buone 
   
    intelligenze 
   
    col 
   
    Re, 
   
    sottomettendosi 
   
    anche 
   
    alla 
   
    con 
   
    dizione 
   
    meno 
   
    lucrosa 
   
    e 
   
    ordinando 
   
    sotto 
   
    pena 
   
    ai 
   
    suoi 
   
    cittadini, 
   
    por 
   
    mezzo 
   
    del 
   
    Bailo 
   
    (13 
   
    agosto 
   
    1332), 
   
    che 
   
    chiunque 
   
    portasse 
   
    argenti 
   
    in 
   
    Armenia 
   
    dovesse 
   
    consegnarne 
   
    la 
   
    metà 
   
    alla 
   
    zecca 
   
    reale 
   
    (238). 
  
 
   
    Intanto 
   
    s'abbuiava 
   
    l'orizzonte 
   
    politico 
   
    nel 
   
    paese 
   
    dei 
   
    Rupeniani: 
   
    il 
   
    Soldano 
   
    d'Egitto 
   
    lo 
   
    circondava 
   
    da 
   
    mezzodi, 
   
    quel 
   
    di 
   
    Aleppo 
   
    da 
   
    levante, 
   
    il 
   
    Caramano 
   
    da 
   
    settentrione. 
   
    Re 
   
    Leone 
   
    mandava 
   
    e 
   
    riman 
   
    dava 
   
    ambasciatori 
   
    al 
   
    Papa 
   
    e 
   
    alle 
   
    corti 
   
    occidentali. 
   
    Incitati 
   
    dal 
   
    Pontefice, 
   
    parvero 
   
    un 
   
    giorno 
   
    alleati 
   
    i 
   
    Re 
   
    di 
   
    Francia, 
   
    di 
   
    Navarra, 
   
    d'Aragona, 
   
    di 
   
    Boemia 
   
    per 
   
    soccorrere 
   
    i 
   
    nostri 
   
    Armeni; 
   
    ma 
   
    sic 
   
    come 
   
    avvenne 
   
    e 
   
    prima 
   
    e 
   
    dopo, 
   
    nessuno 
   
    si 
   
    mosse, 
   
    eccetto 
   
    alcuni 
   
    che 
   
    mandarono 
   
    qualche 
   
    ajuto 
   
    peouniario, 
   
    mentre 
   
    gl' 
   
    invasori 
   
    por 
   
    tavano 
   
    via 
   
    le 
   
    ricchezze 
   
    del 
   
    paese; 
   
    e 
   
    benchè 
   
    esacerbati 
   
    gli 
   
    Armeni, 
   
    facessero 
   
    strage 
   
    degli 
   
    Egiziani 
   
    trovati 
   
    in 
   
    Ayazzo 
   
    (1336), 
   
    non 
   
    per 
   
    tanto 
   
    furono 
   
    obbligati 
   
    l'anno 
   
    appresso 
   
    ad 
   
    abbandonare 
   
    quella 
   
    superba 
   
    piazza 
   
    alla 
   
    prepotenza 
   
    straniera. 
  
 
   
    Fra 
   
    gli 
   
    ammazzati 
   
    dal 
   
    furore 
   
    degli 
   
    Armoni 
   
    o'erano 
   
    diversi 
   
    Egisiani 
   
    creditori 
   
    di 
   
    Veneti, 
   
    i 
   
    parenti 
   
    dei 
   
    quali, 
   
    e 
   
    il 
   
    governo 
   
    stesso 
   
    importunarono 
   
    la 
   
    Repubblica. 
   
    S'affretto 
   
    questa 
   
    a 
   
    scrivere 
   
    (3 
   
    sott. 
   
    1337) 
   
    al 
   
    suo 
   
    Bailo 
   
    di 
   
    Cipro: 
   
    (segno 
   
    che 
   
    quello 
   
    d'Armenia 
   
    erusi 
   
    ritirato 
   
    dopo 
   
    la 
   
    perdita 
   
    d'Ayazzo), 
   
    di 
   
    avvisare 
   
    tutti 
   
    i 
   
    debi 
   
    tori, 
   
    notassero 
   
    tutto 
   
    quello 
   
    che 
   
    dovevano 
   
    ai 
   
    Saraceni, 
   
    mandando 
   
    & 
   
    Venezia 
   
    l'effettivo 
   
    in 
   
    depositi 
   
    dell' 
   
    ufficio 
   
    de' 
   
    Frumenti, 
   
    in 
   
    alla 
   
    verificazione 
   
    dei 
   
    conti 
   
    e 
   
    al 
   
    pagamento 
   
    (243). 
   
    Si 
   
    scrisse 
   
    al 
   
    detto 
   
    Bailo 
   
    (24 
   
    agosto) 
   
    di 
   
    consultarsi 
   
    col 
   
    Capitano 
   
    nel 
   
    suo 
   
    arrivo 
   
    a 
   
    Cipro, 
   
    se 
   
    sia 
   
    conveniente 
   
    andar 
   
    o 
   
    no 
   
    in 
   
    Armenia; 
   
    se 
   
    si 
   
    potrebbe 
   
    stare 
   
    là 
   
    in 
   
    22 
   
    giorni, 
   
    se' 
   
    no 
   
    stasse 
   
    a 
   
    Cipro 
   
    15 
   
    o 
   
    18 
   
    giorni 
   
    (241). 
  
 
   
    A 
   
    simile 
   
    condizione 
   
    di 
   
    pagamento 
   
    furono 
   
    legati 
   
    i 
   
    Veneziani 
   
    pochi 
   
    apoi 
   
    appresso 
   
    (1341), 
   
    secondo 
   
    una 
   
    lettera 
   
    del 
   
    Re 
   
    Leone 
   
    IV; 
   
    altima 
   
    lettera 
   
    che 
   
    mostri 
   
    relazione 
   
    dei 
   
    Re 
   
    Armeni 
   
    con 
   
    Venezia, 
   
    rimasta 
   
    negli 
   
    archivi. 
   
    Per 
   
    sicurezza 
   
    del 
   
    suo 
   
    paese, 
   
    crudelmente 
   
    dampeggiato, 
   
    Leone 
   
    aveva 
   
    allontanato 
   
    di 
   
    là 
   
    tutti 
   
    i 
   
    Saraceni, 
   
    fra 
   
    i 
   
    quali 
   
    si 
   
    trovavano 
   
    ancora 
   
    creditori 
   
    dei 
   
    Veneziani, 
   
    e 
   
    l'ambascia 
   
    tore 
   
    del 
   
    Soldano 
   
    chiedeva 
   
    con 
   
    minacce 
   
    il 
   
    pagamento. 
   
    Il 
   
    Re 
   
    per 
   
    andar 
   
    losto 
   
    pago 
   
    lui 
   
    stesso 
   
    i 
   
    debiti 
   
    dei 
   
    Veneti, 
   
    si 
   
    muni 
   
    delle 
   
    quietanze 
   
    dovuto, 
   
    e 
   
    licenzió 
   
    i 
   
    oreditori 
   
    e 
   
    l'ambasciatore 
   
    impor 
   
    tubo; 
   
    dopo 
   
    cid 
   
    mando 
   
    il 
   
    conto 
   
    al 
   
    doge 
   
    Bart. 
   
    Gradenigo, 
   
    pregando 
   
    del 
   
    rimborso 
   
    immediato, 
   
    per 
   
    non 
   
    dover 
   
    costringere 
   
    il 
   
    resto 
   
    della 
   
    colonia 
   
    veneta 
   
    nėl 
   
    suo 
   
    paese, 
   
    a 
   
    soddisfare 
   
    per 
   
    i 
   
    loro 
   
    nazionali. 
   
    Nella 
   
    lista 
   
    mandata 
   
    al 
   
    Doge 
   
    è 
   
    notata 
   
    minutamente 
   
    la 
   
    quantità 
   
    del 
   
    cotone 
   
    venduto 
   
    dagli 
   
    Egiziani 
   
    al 
   
    peso 
   
    usato 
   
    nella 
   
    piazza 
   
    d'Ayazzo, 
   
    secondo 
   
    che 
   
    era 
   
    scritto 
   
    nei 
   
    quaderni 
   
    della 
   
    sua 
   
    dogana, 
   
    e 
   
    che 
   
    sommava 
   
    al 
   
    prezzo 
   
    di 
   
    24,
   
    107 
   
    Tacolini; 
   
    ma 
   
    i 
   
    Saraceni 
   
    De 
   
    dimandavano 
   
    2890 
   
    di 
   
    più, 
   
    e 
   
    cosi 
   
    fu 
   
    forza 
   
    di 
   
    contentarsi 
   
    000 
   
    27,
   
    000 
   
    Tacolini. 
   
    E 
   
    siccome 
   
    tre 
   
    dei 
   
    debitori 
   
    (Marco 
   
    Ardigon, 
   
    Pietro 
   
    Massai, 
   
    Pietro 
   
    Salomon), 
   
    avevano 
   
    valori 
   
    in 
   
    Armenia, 
   
    so 
   
    ne 
   
    presero 
   
    11,
   
    000 
   
    Tacolini; 
   
    cosicchè 
   
    rimanevano 
   
    & 
   
    due 
   
    altri 
   
    16,
   
    000 
   
    (15). 
   
    Per 
   
    la 
   
    notizia 
   
    delle 
   
    merci 
   
    e 
   
    dei 
   
    prezzi 
   
    di 
   
    quel 
   
    tempo 
   
    e 
   
    di 
   
    quel 
   
    luogo, 
   
    forse 
   
    non 
   
    sarà 
   
    inutile 
   
    ai 
   
    curiosi, 
   
    di 
   
    percorrere 
   
    quel 
   
    documento, 
   
    ultimo 
   
    del 
   
    genere, 
   
    nelle 
   
    relazioni 
   
    Armeno-Veneto 
   
    (134) 
   
    marzo). 
   
    Tre 
   
    anni 
   
    prima 
   
    di 
   
    questo 
   
    fatto 
   
    si 
   
    trova 
   
    un'altra 
   
    memoria 
   
    di 
   
    Leone 
   
    (29 
   
    giugno 
   
    1338), 
   
    da 
   
    cui 
   
    si 
   
    chiarisce, 
   
    che 
   
    o 
   
    per 
   
    lettera 
   
    o 
   
    per 
   
    mezzo 
   
    d'ambasciate, 
   
    egli 
   
    chiese 
   
    e 
   
    ottenne 
   
    dalla 
   
    Repubblica 
   
    un 
   
    veochio 
   
    leguo 
   
    di 
   
    20 
   
    banche, 
   
    al 
   
    prezzo 
   
    stimato 
   
    dagli 
   
    Ufficiali 
   
    dell'Arsenale. 
  
 
   
    Nell'età 
   
    ancora 
   
    fresca 
   
    di 
   
    33 
   
    o 
   
    34 
   
    anni, 
   
    mori 
   
    Leone 
   
    il 
   
    28 
   
    ago 
   
    sto 
   
    1342, 
   
    e 
   
    come 
   
    si 
   
    crede, 
   
    non 
   
    per 
   
    morte 
   
    naturale; 
   
    vittima 
   
    della 
   
    8u8 
   
    cordiale 
   
    e 
   
    costante 
   
    amicizia 
   
    ai 
   
    Latini 
   
    e 
   
    principalmente 
   
    alla 
   
    Corte 
   
    Ponteficia. 
   
    Con 
   
    lui 
   
    si 
   
    estinsero 
   
    le 
   
    nobili 
   
    e 
   
    reali 
   
    famiglie 
   
    Rupeniana 
   
    e 
   
    Hetbumiana, 
   
    la 
   
    quale 
   
    ultima 
   
    dal 
   
    primo 
   
    suo 
   
    capo 
   
    stipite 
   
    Hethum, 
   
    fin 
   
    all'ultimo 
   
    rampollo 
   
    Hethum 
   
    figlio 
   
    di 
   
    Leone 
   
    IV, 
   
    morto 
   
    bambino, 
   
    nel 
   
    corso 
   
    di 
   
    300 
   
    anni 
   
    aveva 
   
    dato 
   
    12 
   
    generazioni; 
   
    e 
   
    fu 
   
    forza 
   
    cercare 
   
    un 
   
    successore 
   
    a 
   
    Leone 
   
    nella 
   
    linea 
   
    femminile 
   
    della 
   
    famiglia 
   
    reale: 
   
    e 
   
    questo 
   
    fu 
   
    un 
   
    suo 
   
    cugino, 
   
    figlio 
   
    della 
   
    zia 
   
    pa 
   
    terna 
   
    (la 
   
    pricipessa 
   
    Zablun), 
   
    e 
   
    nominato 
   
    Ghi 
   
    o 
   
    Guidone, 
   
    per 
   
    cụi 
   
    la 
   
    corona 
   
    armena 
   
    passava 
   
    alla 
   
    famiglia 
   
    Lusiniana; 
   
    la 
   
    quale 
   
    non 
   
    fu 
   
    felice 
   
    nell' 
   
    Armenia, 
   
    perciocchè 
   
    Guidone 
   
    e 
   
    suo 
   
    fratello 
   
    Boe 
   
    mondo 
   
    furono 
   
    ammazzati 
   
    dopo 
   
    due 
   
    anni 
   
    (1341), 
   
    e 
   
    la 
   
    corona 
   
    passo 
   
    al 
   
    cognato 
   
    di 
   
    quest'ultimo, 
   
    Costantino 
   
    II 
   
    figlio 
   
    del 
   
    bravo 
   
    mare 
   
    sciallo 
   
    Baldoino. 
   
    Egli 
   
    regno 
   
    20 
   
    anni, 
   
    ma 
   
    il 
   
    suo 
   
    regno 
   
    fu 
   
    squal 
   
    lido 
   
    o 
   
    di 
   
    giorno 
   
    in 
   
    giorno 
   
    scemato 
   
    di 
   
    potere, 
   
    di 
   
    ricchezze 
   
    e 
   
    di 
   
    territorio. 
   
    Abbiamo 
   
    veduto 
   
    (pag. 
   
    27) 
   
    un 
   
    ambasciatore 
   
    di 
   
    que 
   
    sto 
   
    Costantino 
   
    a 
   
    Venezia 
   
    l' 
   
    anno 
   
    1347, 
   
    diretto 
   
    al 
   
    Papa 
   
    con 
   
    regali 
   
    (323). 
  
 
   
    L'anno 
   
    appresso, 
   
    mando 
   
    questo 
   
    Re 
   
    altri 
   
    ambasciatori 
   
    al 
   
    Papa 
   
    ed 
   
    al 
   
    Doge, 
   
    chiedendogli 
   
    ajuto 
   
    per 
   
    ricuperare 
   
    Ayazzo: 
   
    anche 
   
    il 
   
    Pontefice 
   
    (Clemente 
   
    IV) 
   
    scrisse 
   
    al 
   
    Doge 
   
    per 
   
    questo 
   
    fine 
   
    (25 
   
    set 
   
    tembre 
   
    1347), 
   
    che 
   
    doveva 
   
    interessarlo 
   
    più 
   
    che 
   
    nessun 
   
    altro, 
   
    perché 
   
    si 
   
    trattava 
   
    del 
   
    risorgimento 
   
    della 
   
    regina 
   
    del 
   
    mare 
   
    armeno. 
   
    Ma 
   
    prima 
   
    che 
   
    si 
   
    moregse 
   
    Venezia, 
   
    riusci 
   
    agli 
   
    Armeni, 
   
    per 
   
    un 
   
    supremo 
   
    sforzo, 
   
    coll' 
   
    ajuto 
   
    dei 
   
    Cavalieri, 
   
    ripigliare 
   
    il 
   
    loro 
   
    opulente 
   
    porto ; 
   
    il 
   
    quale 
   
    destinato 
   
    a 
   
    perire, 
   
    emergendo 
   
    un 
   
    ultima 
   
    volta 
   
    colla 
   
    fronte 
   
    dorata 
   
    all'aria 
   
    libera , 
   
    scomparve 
   
    poco 
   
    dopo 
   
    per 
   
    sempre. 
   
    Nessuno 
   
    da 
   
    indi 
   
    in 
   
    poi 
   
    ricercò 
   
    la 
   
    chiave 
   
    della 
   
    ricchezza 
   
    dell'Armeno 
   
    - 
   
    Cilicia, 
   
    e 
   
    del 
   
    non 
   
    minore 
   
    interesse 
   
    di 
   
    tanti 
   
    commercianti, 
   
    fra 
   
    i 
   
    quali 
   
    primmeggiavi 
   
    tu, 
   
    orgogliosa 
   
    regina 
   
    dell'Adriatico ; 
   
    pensasti 
   
    mai 
   
    a 
   
    porgere 
   
    mano 
   
    pietosa 
   
    alla 
   
    tua 
   
    minore 
   
    sorella 
   
    in 
   
    quel 
   
    suo 
   
    supremo 
   
    momento, 
   
    ovvero 
   
    per 
   
    freddo 
   
    calcolo 
   
    di 
   
    politica 
   
    e 
   
    d'interesse 
   
    egoista, 
   
    rivolgesti 
   
    la 
   
    faccia 
   
    altrove 
   
    ? 
   
    Su 
   
    questo 
   
    punto 
   
    meglio 
   
    è 
   
    il 
   
    silenzio, 
   
    e 
   
    giova 
   
    anche 
   
    la 
   
    nostra 
   
    ignoranza 
   
    ! .. 
  
 
   
    Intanto 
   
    d'anno 
   
    in 
   
    anno 
   
    s'avvicinava 
   
    la 
   
    fine 
   
    delle 
   
    secolari 
   
    relazioni 
   
    del 
   
    regno 
   
    armeno 
   
    con 
   
    le 
   
    potenze 
   
    europee : 
   
    malgrado 
   
    tutto 
   
    il 
   
    suo 
   
    sforzo 
   
    e 
   
    le 
   
    ripetute 
   
    ambasciate 
   
    e 
   
    lettere 
   
    a 
   
    queste, 
   
    l'infelice 
   
    Costantino 
   
    II 
   
    ogni 
   
    anno 
   
    vedeva 
   
    un 
   
    brano 
   
    del 
   
    suo 
   
    territorio 
   
    o 
   
    una 
   
    citta 
   
    o 
   
    un 
   
    porto 
   
    sfuggirgli 
   
    di 
   
    mano 
   
    e 
   
    passare 
   
    in 
   
    quelle 
   
    degli 
   
    Egiziani, 
   
    Aleppini 
   
    e 
   
    Caramani . 
   
    Molto 
   
    sensibile 
   
    era 
   
    la 
   
    per 
   
    dita 
   
    delle 
   
    città 
   
    marittime, 
   
    perchè 
   
    si 
   
    troncava 
   
    la 
   
    comunicazione 
   
    cogli 
   
    occidentali; 
   
    e 
   
    già 
   
    da 
   
    Ayazzo 
   
    fin 
   
    a 
   
    Tarso 
   
    tutto 
   
    era 
   
    occupato 
   
    dallo 
   
    straniero ; 
   
    restava 
   
    solo 
   
    nelle 
   
    mani 
   
    del 
   
    Re 
   
    il 
   
    fortissimo 
   
    castello 
   
    e 
   
    il 
   
    porto 
   
    di 
   
    Coricos, 
   
    il 
   
    quale 
   
    con 
   
    miglior 
   
    decisione 
   
    o 
   
    disperazione 
   
    si 
   
    diede 
   
    ( 
   
    nel 
   
    1361 
   
    ) 
   
    a 
   
    Pietro 
   
    I 
   
    Re 
   
    di 
   
    Cipro: 
   
    non 
   
    rimaneva 
   
    a 
   
    Costantino 
   
    che 
   
    la 
   
    parte 
   
    montuosa 
   
    di 
   
    Cilicia, 
   
    e 
   
    i 
   
    suoi 
   
    castelli, 
   
    con 
   
    quello 
   
    inespugnabile 
   
    della 
   
    capitale 
   
    di 
   
    Sis, 
   
    bella 
   
    e 
   
    forte, 
   
    frutto 
   
    dell'ingegno 
   
    di 
   
    Leone 
   
    I. 
   
    In 
   
    tale 
   
    stato 
   
    di 
   
    cose 
   
    Costantino 
   
    chiuse 
   
    gli 
   
    occhi, 
   
    l'anno 
   
    1363, 
   
    già 
   
    privo 
   
    d'ambo 
   
    i 
   
    figliuoli 
   
    Ossin 
   
    e 
   
    Leone. 
  
 
   
    Era 
   
    d'uopo 
   
    di 
   
    nuovo 
   
    ricorrere 
   
    alla 
   
    famiglia 
   
    Lusiniana-armena: 
   
    e 
   
    siccome 
   
    il 
   
    più 
   
    vicino 
   
    erede 
   
    del 
   
    compianto 
   
    Guidone 
   
    era 
   
    suo 
   
    nipote 
   
    (figlio 
   
    di 
   
    Juan) 
   
    Boemondo, 
   
    chiamato 
   
    Bemunt 
   
    dagli 
   
    Armeni, 
   
    non 
   
    tardò 
   
    questi 
   
    a 
   
    presentarsi 
   
    come 
   
    pretendente 
   
    alla 
   
    corona 
   
    armena ; 
   
    e 
   
    per 
   
    facilitarsene 
   
    il 
   
    possesso , 
   
    pensò 
   
    ricorrere 
   
    al 
   
    Papa. 
   
    Era 
   
    ancora 
   
    giovane, 
   
    in 
   
    età 
   
    d'anni 
   
    23 ; 
   
    dirigendosi 
   
    per 
   
    Roma 
   
    arrivò 
   
    a 
   
    Venezia, 
   
    dovendo 
   
    forse 
   
    rinnovare 
   
    l'antica 
   
    alleanza 
   
    dei 
   
    Rupeniani; 
   
    ma 
   
    la 
   
    volontà 
   
    suprema 
   
    destinava 
   
    altrimenti; 
   
    la 
   
    bua 
   
    speranza 
   
    e 
   
    la 
   
    vita 
   
    finirono 
   
    qui 
   
    a 
   
    Venezia; 
   
    il 
   
    come 
   
    e 
   
    dove 
   
    fosse 
   
    sopolto, 
   
    si 
   
    desidera 
   
    ancora 
   
    di 
   
    ricavarlo 
   
    da 
   
    qualche 
   
    archivio 
   
    o 
   
    da 
   
    qualche 
   
    annalista. 
  
 
   
    Dopo 
   
    un 
   
    biennio 
   
    di 
   
    incertezze 
   
    e 
   
    di 
   
    gare, 
   
    riusel 
   
    pel 
   
    1365 
   
    a 
   
    un 
   
    altro 
   
    Costantino, 
   
    III, 
   
    figlio 
   
    di 
   
    Hethum 
   
    il 
   
    Ciambellano, 
   
    (uno 
   
    dei 
   
    Baili 
   
    di 
   
    Leone 
   
    IV), 
   
    strappare 
   
    la 
   
    corona, 
   
    mentre 
   
    il 
   
    Papa 
   
    Ur 
   
    bano 
   
    V 
   
    la 
   
    proponeva 
   
    al 
   
    fratello 
   
    del 
   
    defunto 
   
    Bemunt, 
   
    Loone. 
   
    Di 
   
    qui 
   
    discordia 
   
    fra 
   
    i 
   
    principi 
   
    armeni, 
   
    sempre 
   
    fatale 
   
    ma 
   
    ancora 
   
    più 
   
    nello 
   
    stato 
   
    in 
   
    cui 
   
    si 
   
    trovava 
   
    allora 
   
    l'Armenia. 
   
    In 
   
    questo 
   
    tempo 
   
    turbinoso 
   
    ed 
   
    oscuro 
   
    apparve 
   
    inaspettatamente 
   
    la 
   
    figura 
   
    veneronda 
   
    d'una 
   
    donna; 
   
    una 
   
    donna 
   
    in 
   
    lutto; 
   
    vedova, 
   
    e 
   
    una 
   
    volta 
   
    regina. 
   
    Era 
   
    Maria 
   
    moglie 
   
    di 
   
    Costantino 
   
    II, 
   
    figlia 
   
    di 
   
    Ossin 
   
    il 
   
    Bailo 
   
    e 
   
    di 
   
    Giovanna 
   
    sooonda 
   
    moglie 
   
    del 
   
    Re 
   
    Ossin, 
   
    figlia 
   
    del 
   
    principe 
   
    di 
   
    Taranto. 
   
    Que 
   
    sta 
   
    donna 
   
    di 
   
    gran 
   
    cuore 
   
    tento 
   
    l'ultima 
   
    corrispondenza 
   
    coll' 
   
    an 
   
    tica 
   
    alleata 
   
    dei 
   
    Rupeniani, 
   
    con 
   
    la 
   
    Repubblica 
   
    veneta. 
  
 
   
    Chi 
   
    era 
   
    il 
   
    suo 
   
    ambasciatore 
   
    e 
   
    come 
   
    scrivesse 
   
    o 
   
    facesse 
   
    par. 
   
    lare 
   
    non 
   
    lo 
   
    sappiamo 
   
    appunto: 
   
    ma 
   
    per 
   
    fortuna 
   
    gli 
   
    archivi 
   
    del 
   
    Senato 
   
    conservano 
   
    la 
   
    lettera 
   
    (del 
   
    11 
   
    ottobre, 
   
    1368) 
   
    in 
   
    risposta; 
   
    nella 
   
    quale 
   
    la 
   
    Repubblica 
   
    per 
   
    bocoa 
   
    del 
   
    suo 
   
    Doge 
   
    protesta 
   
    l'an 
   
    tica 
   
    amicizia 
   
    e 
   
    il 
   
    buon 
   
    volere, 
   
    compassionando 
   
    l'augusta 
   
    donna, 
   
    promettendo 
   
    di 
   
    far 
   
    il 
   
    possibile, 
   
    quo 
   
    commodo 
   
    possumus, 
   
    a 
   
    pro 
   
    di 
   
    lei 
   
    o 
   
    del 
   
    suo 
   
    popolo; 
   
    annunziandole 
   
    che 
   
    appunto 
   
    per 
   
    questo 
   
    il 
   
    doge 
   
    si 
   
    era 
   
    inteso 
   
    col 
   
    confratello, 
   
    doge 
   
    di 
   
    Genova, 
   
    di 
   
    armare 
   
    una 
   
    flotta 
   
    per 
   
    attaccar 
   
    l' 
   
    Egiziano, 
   
    se 
   
    egli 
   
    rompesso 
   
    i 
   
    trattati 
   
    di 
   
    pace; 
   
    frattanto 
   
    si 
   
    dava 
   
    ordine 
   
    al 
   
    capitano 
   
    generale 
   
    di 
   
    ristringere 
   
    l'alleanza 
   
    coi 
   
    Genovesi, 
   
    e 
   
    comprendere 
   
    nell'accordo 
   
    coll' 
   
    Egiziano 
   
    gli 
   
    stessi 
   
    Armeni. 
   
    Adobe 
   
    il 
   
    Doge 
   
    genovese 
   
    aveva 
   
    insistito 
   
    su 
   
    questo 
   
    articolo 
   
    in 
   
    favore 
   
    degli 
   
    Armeni, 
   
    e 
   
    percid 
   
    il 
   
    veneto 
   
    rin 
   
    graziave 
   
    il 
   
    genovese. 
   
    Essendo 
   
    per 
   
    altro, 
   
    in 
   
    causa 
   
    della 
   
    guerra 
   
    degli 
   
    occidentali 
   
    fra 
   
    loro, 
   
    impossibile 
   
    il 
   
    passaggio 
   
    ordinato 
   
    dal 
   
    Papa, 
   
    doveasi 
   
    aspettare 
   
    il 
   
    tempo 
   
    favorevole, 
   
    ed 
   
    allora 
   
    s'unirebbe 
   
    Venezia 
   
    cogli 
   
    alleati , 
   
    per 
   
    adempiere 
   
    ciò 
   
    che 
   
    il 
   
    dovere 
   
    e 
   
    la 
   
    volontà 
   
    di 
   
    Dio 
   
    comandavano 
   
    ( 
   
    245 
   
    ). 
  
 
   
    Che 
   
    fosse 
   
    vera 
   
    questa 
   
    alleanza 
   
    fra 
   
    le 
   
    due 
   
    Repubbliche 
   
    litiganti 
   
    in 
   
    ogni 
   
    seno 
   
    di 
   
    mare, 
   
    lo 
   
    assicurano 
   
    lunghe 
   
    scritture 
   
    con 
   
    servate 
   
    in 
   
    parte 
   
    nei 
   
    Commemoriali 
   
    del 
   
    veneto 
   
    archivio, 
   
    ove 
   
    si 
   
    leggono 
   
    lettere 
   
    del 
   
    Papa 
   
    a 
   
    queste 
   
    Repubbliche, 
   
    a 
   
    Giovanni 
   
    così 
   
    detto 
   
    principe 
   
    d'Antiochia, 
   
    ai 
   
    Maestri 
   
    dei 
   
    Cavalieri ; 
   
    e 
   
    si 
   
    mani 
   
    festa 
   
    il 
   
    piano 
   
    del 
   
    suo 
   
    sbarco 
   
    sopra 
   
    Alessandria, 
   
    fissato 
   
    per 
   
    l'anno 
   
    1370 : 
   
    ma 
   
    vi 
   
    si 
   
    parla 
   
    soltanto 
   
    in 
   
    favore 
   
    di 
   
    Cipro 
   
    ! 
   
    Non 
   
    è 
   
    dunque 
   
    da 
   
    dubitare 
   
    che 
   
    tutto 
   
    ciò 
   
    era 
   
    determinato 
   
    prima 
   
    che 
   
    la 
   
    vedova 
   
    Regina 
   
    d'Armenia 
   
    ordinasse 
   
    la 
   
    missione 
   
    dei 
   
    suoi 
   
    ambasciatori. 
  
 
   
    Le 
   
    storie 
   
    delle 
   
    Crociate 
   
    c' 
   
    insegnano, 
   
    come 
   
    fossero 
   
    andate 
   
    in 
   
    aria 
   
    tante 
   
    simili 
   
    belle 
   
    promesse, 
   
    tante 
   
    alleanze, 
   
    e 
   
    questi 
   
    preparativi, 
   
    per 
   
    causa 
   
    delle 
   
    incessanti 
   
    guerre 
   
    dei 
   
    Francesi 
   
    cogli 
   
    Inglesi, 
   
    e 
   
    per 
   
    la 
   
    trascuranza 
   
    o 
   
    l'impotenza 
   
    degli 
   
    stati 
   
    secondari; 
   
    i 
   
    quali 
   
    tutti 
   
    assieme 
   
    ebbero 
   
    soltanto 
   
    il 
   
    bel 
   
    coraggio 
   
    di 
   
    abbandonare 
   
    alla 
   
    sua 
   
    fortuna 
   
    o 
   
    alla 
   
    rovina 
   
    quell' 
   
    unico 
   
    popolo 
   
    orientale, 
   
    che 
   
    si 
   
    fosse 
   
    alleato 
   
    ai 
   
    Crociati, 
   
    baluardo 
   
    della 
   
    Cristianità 
   
    contro 
   
    i 
   
    suoi 
   
    nemici; 
   
    e 
   
    per 
   
    dir 
   
    il 
   
    vero , 
   
    si 
   
    mostro 
   
    poco 
   
    cavalleresco 
   
    chi 
   
    fu 
   
    sollecitato 
   
    a 
   
    venir 
   
    in 
   
    ajuto 
   
    dell'ultima 
   
    coraggiosa 
   
    Regina 
   
    Armena. 
   
    La 
   
    quale, 
   
    non 
   
    abbattuta 
   
    dalla 
   
    lentezza 
   
    e 
   
    dalle 
   
    vaghe 
   
    promesse 
   
    degli 
   
    occidentali, 
   
    spediva 
   
    ancora 
   
    dopo 
   
    pochi 
   
    anni 
   
    ( 
   
    1371) 
   
    a 
   
    Napoli 
   
    l'Arcivescovo 
   
    di 
   
    Tarso 
   
    ed 
   
    il 
   
    Cavaliere 
   
    Emmanuele, 
   
    d'origine 
   
    armena, 
   
    naturalizzato 
   
    genovese, 
   
    per 
   
    sollecitare 
   
    i 
   
    parenti 
   
    della 
   
    sua 
   
    madre 
   
    ( 
   
    la 
   
    regina 
   
    Giovanna), 
   
    ad 
   
    un 
   
    ultima 
   
    impresa ; 
   
    essendo 
   
    lo 
   
    stato 
   
    armeno 
   
    sull'orlo 
   
    del 
   
    precipizio. 
   
    Perocchè 
   
    l 
   
    ' 
   
    ultimo 
   
    re 
   
    Costantino, 
   
    che 
   
    regnd 
   
    fra 
   
    gli 
   
    anni 
   
    1363-72, 
   
    da 
   
    molti 
   
    era 
   
    reputato 
   
    non 
   
    legittimo 
   
    ma 
   
    usurpatore; 
   
    e 
   
    però 
   
    ebbe 
   
    fine 
   
    di 
   
    tiranno , 
   
    con 
   
    morte 
   
    forzata . 
   
    Prima 
   
    che 
   
    si 
   
    presentasse 
   
    nuovo 
   
    pretendente 
   
    alla 
   
    corona, 
   
    fu 
   
    essa 
   
    Maria 
   
    regina 
   
    istituita 
   
    reggente ; 
   
    e 
   
    allora 
   
    poco 
   
    prima, 
   
    il 
   
    Papa 
   
    Gregorio 
   
    XI 
   
    scrisse 
   
    ( 
   
    22 
   
    gennaio 
   
    1272) 
   
    al 
   
    di 
   
    lei 
   
    parente 
   
    Filippo 
   
    principe 
   
    Tarantino, 
   
    di 
   
    unire 
   
    Maria 
   
    in 
   
    ma 
   
    trimonio 
   
    con 
   
    Ottone, 
   
    duca 
   
    di 
   
    Brunsvic, 
   
    incoronando 
   
    questo 
   
    a 
   
    Re 
   
    d'Armenia. 
   
    Ma 
   
    vi 
   
    era 
   
    un 
   
    pretendente 
   
    non 
   
    illegitimo, 
   
    Leone , 
   
    fratello 
   
    dell'immaturamente 
   
    defunto 
   
    Bemunt, 
   
    il 
   
    quale 
   
    da 
   
    dieci 
   
    adni 
   
    aspettava 
   
    l'eredità 
   
    del 
   
    fratello 
   
    e 
   
    dello 
   
    zio; 
   
    e 
   
    fu 
   
    invitato 
   
    da 
   
    uno 
   
    dei 
   
    due 
   
    partiti 
   
    degli 
   
    Armeni, 
   
    divisi 
   
    in 
   
    due 
   
    cainpi 
   
    fra 
   
    loro 
   
    per 
   
    visto 
   
    religiose 
   
    e 
   
    politiche. 
   
    I 
   
    partigiani 
   
    degli 
   
    occidentali, 
   
    ossia 
   
    Latini, 
   
    erano 
   
    capitanati 
   
    dalla 
   
    stessa 
   
    reggente 
   
    Maria, 
   
    che 
   
    ben 
   
    vo 
   
    lentieri 
   
    accolse 
   
    il 
   
    Lusiniano 
   
    (Leone), 
   
    ultimo 
   
    fra 
   
    tutti 
   
    che 
   
    cinsero 
   
    corona 
   
    in 
   
    nome 
   
    dei 
   
    Re 
   
    d’Armenia, 
   
    da 
   
    oltre 
   
    2000 
   
    anni 
   
    in 
   
    allora. 
  
 
   
    Leone 
   
    portava 
   
    seco 
   
    la 
   
    moglie 
   
    Margherita 
   
    di 
   
    casa 
   
    di 
   
    Sassonia : 
   
    furono 
   
    incoronati 
   
    insieme 
   
    con 
   
    gran 
   
    pompa 
   
    reale 
   
    all' 
   
    armena. 
   
    Fu 
   
    breve 
   
    pur 
   
    troppo 
   
    il 
   
    suo 
   
    regno 
   
    (1374-5): 
   
    il 
   
    quale 
   
    egli 
   
    seppe 
   
    degna 
   
    mente 
   
    difendere 
   
    nel 
   
    suo 
   
    ultimo 
   
    baluardo, 
   
    la 
   
    Fortezza 
   
    di 
   
    Sis 
   
    la 
   
    capi 
   
    tale, 
   
    eroicamente 
   
    guerreggiando 
   
    con 
   
    pochi 
   
    fedeli 
   
    contro 
   
    gli 
   
    Egiziani 
   
    ed 
   
    Aleppini, 
   
    finchè 
   
    trovò 
   
    savio 
   
    arrendersi, 
   
    quando 
   
    era 
   
    impossibile 
   
    il 
   
    resistere. 
   
    Tradito, 
   
    ferito, 
   
    abbandonato, 
   
    salvo 
   
    da 
   
    pochi, 
   
    seppe 
   
    da 
   
    magnanimo 
   
    sovrano 
   
    trattare 
   
    col 
   
    nemico 
   
    e 
   
    sopportar 
   
    le 
   
    cateno 
   
    e 
   
    lunga 
   
    prigionia 
   
    in 
   
    Egitto. 
   
    Cattivatosi 
   
    poi 
   
    il 
   
    cuore 
   
    dell'orgoglioso 
   
    Sultano, 
   
    trovò 
   
    grazia 
   
    per 
   
    vivere 
   
    nel 
   
    Cairo 
   
    liberamente, 
   
    interes 
   
    sare 
   
    con 
   
    lettere 
   
    i 
   
    sovrani 
   
    ocoidentali 
   
    e 
   
    il 
   
    sommo 
   
    Pontefice, 
   
    ed 
   
    in 
   
    particolare 
   
    il 
   
    re 
   
    di 
   
    Castiglia; 
   
    e 
   
    finalmente 
   
    liberarsi 
   
    dalla 
   
    schia 
   
    vitu 
   
    (1381). 
   
    Potè 
   
    allora 
   
    imbarcarsi 
   
    sollecitamente, 
   
    e 
   
    nel 
   
    viaggio 
   
    approdo 
   
    all' 
   
    isola 
   
    di 
   
    Rodi, 
   
    ove 
   
    saluto 
   
    la 
   
    cugina 
   
    Isabella 
   
    figlia 
   
    del 
   
    Re 
   
    Guidone, 
   
    e 
   
    sbarco 
   
    quindi 
   
    qui 
   
    a 
   
    Venezia, 
   
    come 
   
    se 
   
    dovesse 
   
    consegnare 
   
    al 
   
    capo 
   
    della 
   
    Repubblica 
   
    gli 
   
    antichi 
   
    trattati 
   
    di 
   
    lei 
   
    coi 
   
    Rupeniani 
   
    sovrapi 
   
    dell'Armeno-Cilicia; 
   
    o 
   
    piuttosto 
   
    procuraro 
   
    nuova 
   
    alleanza 
   
    per 
   
    ricuperar 
   
    il 
   
    regno 
   
    perduto. 
   
    Speranza 
   
    fallita, 
   
    ma 
   
    non 
   
    mai 
   
    svanita 
   
    nel 
   
    cuore 
   
    di 
   
    Leone, 
   
    fin 
   
    all'ultimo 
   
    respiro 
   
    (29 
   
    nov. 
   
    1393). 
   
    Raccomandiamo 
   
    agli 
   
    archivisti 
   
    e 
   
    agli 
   
    appalisti 
   
    d'informarci 
   
    come 
   
    fosse 
   
    egli 
   
    ricevuto 
   
    dal 
   
    Doge 
   
    e 
   
    dal 
   
    comune 
   
    di 
   
    Venezia, 
   
    e 
   
    come 
   
    se 
   
    ne 
   
    partisse 
   
    per 
   
    andar 
   
    a 
   
    trovare 
   
    il 
   
    Papa 
   
    od 
   
    il 
   
    Re 
   
    che 
   
    si 
   
    erano 
   
    interessati 
   
    per 
   
    la 
   
    sua 
   
    liberazione, 
   
    e 
   
    dai 
   
    quali 
   
    venne 
   
    accolto 
   
    veramente 
   
    come 
   
    un 
   
    regnante, 
   
    onorato 
   
    e 
   
    arricchito 
   
    più 
   
    che 
   
    non 
   
    fu 
   
    sul 
   
    suo 
   
    trono 
   
    vacillante. 
  
 
   
    E 
   
    che 
   
    avvenne 
   
    della 
   
    Regina 
   
    Armena? 
   
    Due 
   
    erano 
   
    le 
   
    regine, 
   
    e 
   
    tutte 
   
    due 
   
    catturate 
   
    con 
   
    Leone 
   
    e 
   
    condotte 
   
    al 
   
    Cairo: 
   
    Marghe 
   
    rita, 
   
    moglie 
   
    di 
   
    costui 
   
    non 
   
    potendo 
   
    sopportare 
   
    le 
   
    conseguenze 
   
    della 
   
    schiavitù, 
   
    in 
   
    paese 
   
    cosi 
   
    lontano 
   
    e 
   
    differente 
   
    del 
   
    suo 
   
    nativo 
   
    e 
   
    dell'adottivo, 
   
    non 
   
    tardd 
   
    a 
   
    soccombere, 
   
    e 
   
    fu 
   
    sepolta 
   
    in 
   
    una 
   
    chiesetta 
   
    armena, 
   
    visitata 
   
    pochi 
   
    anni 
   
    dopo 
   
    da 
   
    due 
   
    viaggiatori 
   
    italiani, 
   
    da 
   
    cui 
   
    abbiamo 
   
    tolta 
   
    questa 
   
    notizia
    
     [4]. 
   
    Quanto 
   
    all'altra 
   
    Regina, 
   
    la 
   
    magnanima, 
   
    l'eroica 
   
    Maria, 
   
    la 
   
    quale 
   
    fu 
   
    cosi 
   
    pronta 
   
    a 
   
    rinunziare 
   
    alla 
   
    corona 
   
    in 
   
    favore 
   
    di 
   
    Leone, 
   
    e 
   
    che 
   
    lo 
   
    segul 
   
    pure 
   
    nella 
   
    cattività, 
   
    piuttosto 
   
    volentieri 
   
    che 
   
    forzata, 
   
    fu 
   
    presto 
   
    lasciata 
   
    alla 
   
    libertà; 
   
    la 
   
    quale 
   
    ella 
   
    impiegd 
   
    in 
   
    un 
   
    modo 
   
    degnissimo. 
   
    Invece 
   
    di 
   
    rimpatriare 
   
    come 
   
    Leone, 
   
    ed 
   
    essere 
   
    accolta 
   
    forse 
   
    con 
   
    maggiori 
   
    pompe, 
   
    onori 
   
    ed 
   
    ovazioni, 
   
    preferi 
   
    la 
   
    strada 
   
    dei 
   
    pellegrini: 
   
    andd 
   
    e 
   
    si 
   
    fermò 
   
    a 
   
    Gerusalemme: 
   
    vesti 
   
    abito 
   
    di 
   
    religiosa, 
   
    e 
   
    col 
   
    modesto 
   
    velo 
   
    ooprendo 
   
    tutta 
   
    la 
   
    gloria 
   
    e 
   
    la 
   
    vanità 
   
    umana, 
   
    vicino 
   
    al 
   
    Sepolcro 
   
    del 
   
    Redentore, 
   
    veglid, 
   
    dormi, 
   
    e 
   
    si 
   
    risveglid 
   
    nella 
   
    luce 
   
    perenne 
   
    (1377). 
  
 
   
    Intanto 
   
    Leone 
   
    traversava 
   
    e 
   
    ritraversava 
   
    le 
   
    Alpi 
   
    e 
   
    la 
   
    Manica, 
   
    scongiurando 
   
    tutte 
   
    le 
   
    Corti 
   
    per 
   
    ajutarlo 
   
    a 
   
    ricuperare 
   
    la 
   
    corona 
   
    perduta; 
   
    inchè 
   
    lasso 
   
    senza 
   
    quella 
   
    inchind 
   
    il 
   
    capo 
   
    fra 
   
    tanti 
   
    altri 
   
    coronati 
   
    e 
   
    scoronati, 
   
    nei 
   
    sotterranei 
   
    di 
   
    Saint 
   
    Denis 
   
    di 
   
    Parigi, 
   
    li 
   
    29 
   
    novembre, 
   
    1393: 
   
    da 
   
    quell'ora 
   
    suonano 
   
    giusto 
   
    500 
   
    anni! 
  
 
   
    Fin 
   
    agli 
   
    ultimi 
   
    anni 
   
    del 
   
    regno 
   
    armeno 
   
    in 
   
    Cilicia, 
   
    la 
   
    Re 
   
    pubblica 
   
    veneta 
   
    continuava 
   
    ad 
   
    emanare 
   
    decreti 
   
    per 
   
    l'andata 
   
    e 
   
    ritorno 
   
    delle 
   
    sue 
   
    galee 
   
    in 
   
    quei 
   
    porti, 
   
    ogni 
   
    di 
   
    più 
   
    abbandonati: 
   
    come 
   
    si 
   
    nota 
   
    nel 
   
    1363 
   
    il 
   
    22 
   
    novembre 
   
    (244), 
   
    il 
   
    primo 
   
    luglio 
   
    1373, 
   
    il 
   
    25 
   
    maggio 
   
    e 
   
    8 
   
    dicembre 
   
    1374 
   
    (247. 
   
    249), 
   
    cioè 
   
    pochi 
   
    mesi 
   
    prima 
   
    della 
   
    cattività 
   
    di 
   
    Leone 
   
    V; 
   
    donde 
   
    si 
   
    vede 
   
    che 
   
    col 
   
    regno 
   
    armeno 
   
    cesso, 
   
    o 
   
    quasi, 
   
    anche 
   
    la 
   
    navigazione 
   
    meroantile 
   
    veneta 
   
    su 
   
    quella 
   
    linea; 
   
    benchè 
   
    il 
   
    nuovo 
   
    governatore 
   
    egiziano 
   
    dell'antica 
   
    capitale 
   
    (Sis), 
   
    invitasse 
   
    anche 
   
    non 
   
    pochi 
   
    anni 
   
    dopo 
   
    (1415) 
   
    i 
   
    Veneziani 
   
    a 
   
    continuare 
   
    il 
   
    loro 
   
    commercio 
   
    del 
   
    paese 
   
    che 
   
    era 
   
    ancora 
   
    abitato 
   
    dagli 
   
    armeni 
   
    soggiogati. 
   
    È 
   
    noto 
   
    come, 
   
    giusto 
   
    un 
   
    secolo 
   
    dopo 
   
    la 
   
    caduta 
   
    della 
   
    monarchia 
   
    armena, 
   
    i 
   
    Veneziani 
   
    alleati 
   
    coi 
   
    principi 
   
    Caramani 
   
    e 
   
    col 
   
    famoso 
   
    Uzun 
   
    Hassan 
   
    Re 
   
    di 
   
    Persia 
   
    contro 
   
    l' 
   
    Ottomano, 
   
    s'impadronissero 
   
    d'una 
   
    parte 
   
    del 
   
    l'Armeno-Cilicia 
   
    marina, 
   
    per 
   
    pochissimo 
   
    tempo; 
   
    e 
   
    se 
   
    allora, 
   
    o 
   
    prima 
   
    o 
   
    dopo, 
   
    ebbero 
   
    nuove 
   
    relazioni 
   
    cogli 
   
    Armeni 
   
    non 
   
    più 
   
    in 
   
    dipendenti, 
   
    non 
   
    è 
   
    chiaro, 
   
    e 
   
    non 
   
    ce 
   
    ne 
   
    occuperemo, 
   
    perchè 
   
    questo 
   
    passa 
   
    i 
   
    limiti 
   
    del 
   
    tempo 
   
    che 
   
    ci 
   
    siamo 
   
    fissati. 
   
    Sarebbe 
   
    peraltro, 
   
    cre 
   
    diamo, 
   
    di 
   
    non 
   
    poco 
   
    interesse 
   
    ai 
   
    Veneziani 
   
    anche 
   
    oggi 
   
    di 
   
    visitare, 
   
    con 
   
    occhio 
   
    di 
   
    archeologo 
   
    e 
   
    di 
   
    patriota, 
   
    quelle 
   
    spiaggie 
   
    un 
   
    tempo 
   
    si 
   
    fiorite, 
   
    si 
   
    ricche, 
   
    si 
   
    animate, 
   
    ora 
   
    cosi 
   
    abbandonate 
   
    e 
   
    dimen 
   
    ticate; 
   
    sarebbe 
   
    dico 
   
    anche 
   
    onorevole 
   
    ricercare 
   
    sul 
   
    suolo 
   
    dell' 
   
    an 
   
    tico 
   
    alleato 
   
    le 
   
    proprie 
   
    reliquie 
   
    nazionali, 
   
    i 
   
    sepolcri 
   
    di 
   
    tanti 
   
    vene 
   
    ziani 
   
    ivi 
   
    sotterati, 
   
    le 
   
    rovine 
   
    del 
   
    8. 
   
    Marco 
   
    d'Ayazzo, 
   
    le 
   
    traccie 
   
    delle 
   
    loro 
   
    case, 
   
    della 
   
    loggia 
   
    comunale, 
   
    del 
   
    fondaco, 
   
    e 
   
    chissà 
   
    di 
   
    quali 
   
    altre 
   
    memorie 
   
    e 
   
    monumenti 
   
    inaspettati. 
   
    Quante 
   
    famiglie 
   
    veuete, 
   
    ancora 
   
    non 
   
    estinte, 
   
    troverebbero 
   
    in 
   
    quei 
   
    tumuli 
   
    e 
   
    in 
   
    quelle 
   
    rovine 
   
    secolari, 
   
    i 
   
    nomi 
   
    dei 
   
    loro 
   
    antenati 
   
    soolpiti 
   
    su 
   
    qual 
   
    che 
   
    frammento 
   
    di 
   
    lapide 
   
    ! 
  
 
   
    Ma 
   
    lasciando 
   
    ormai 
   
    a 
   
    chi 
   
    possa 
   
    investigare 
   
    queste 
   
    traccie 
   
    venete 
   
    sul 
   
    suolo 
   
    armeno, 
   
    ricerchiamo 
   
    invece 
   
    quello 
   
    degli 
   
    Armeni 
   
    in 
   
    questa 
   
    dominante 
   
    adriatica. 
   
    Abbiamo 
   
    ricordato 
   
    tante 
   
    volte 
   
    le 
   
    ambasciate 
   
    della 
   
    Corte 
   
    di 
   
    Sis 
   
    a 
   
    Venezia, 
   
    e 
   
    la 
   
    venuta 
   
    delle 
   
    persone 
   
    principesche; 
   
    ma 
   
    di 
   
    stabile 
   
    dimora 
   
    degli 
   
    Armedi 
   
    a 
   
    Venezia 
   
    non 
   
    si 
   
    è 
   
    parlato, 
   
    e 
   
    non 
   
    se 
   
    ne 
   
    trova 
   
    precisa 
   
    memoria, 
   
    benche 
   
    sia 
   
    indubitabile 
   
    il 
   
    fatto, 
   
    essendo 
   
    che 
   
    nei 
   
    secoli 
   
    XIII-IV 
   
    gli 
   
    Armeni 
   
    hanno 
   
    lasciato 
   
    in 
   
    venti 
   
    o 
   
    trenta 
   
    città 
   
    italiane 
   
    traccie 
   
    della 
   
    loro 
   
    dimora, 
   
    e 
   
    sarebbe 
   
    cosa 
   
    incredibile 
   
    non 
   
    fosse 
   
    allo 
   
    stesso 
   
    modo 
   
    in 
   
    Venezia: 
   
    anzi 
   
    fra 
   
    tutte 
   
    le 
   
    altre 
   
    città 
   
    occidentali, 
   
    dopo 
   
    Roma 
   
    e 
   
    in 
   
    parte 
   
    più 
   
    anche 
   
    di 
   
    Roma, 
   
    Venezia 
   
    era 
   
    e 
   
    fù 
   
    frequentata 
   
    dai 
   
    nostri 
   
    nazionali, 
   
    come 
   
    anche 
   
    da 
   
    altri 
   
    popoli 
   
    orientali. 
   
    Sebbene 
   
    le 
   
    relazioni 
   
    Armeno-venete 
   
    comincino 
   
    col 
   
    secolo 
   
    XIII, 
   
    come 
   
    ab 
   
    biamo 
   
    veduto, 
   
    la 
   
    conoscenza 
   
    reciproca 
   
    e 
   
    gli 
   
    scambi 
   
    si 
   
    possono 
   
    stabilire 
   
    nel 
   
    secolo 
   
    precedente, 
   
    quando 
   
    « 
   
    Sebastiano 
   
    Ziani, 
   
    che 
   
    fu 
   
    poi 
   
    doge, 
   
    dimoro 
   
    assai 
   
    tempo 
   
    in 
   
    Armenia 
   
    e 
   
    lasciò 
   
    una 
   
    casa 
   
    in 
   
    contrada 
   
    di 
   
    S. 
   
    Giuliano 
   
    per 
   
    gli 
   
    Armoni 
   
    che 
   
    venissero 
   
    a 
   
    Venezia. 
   
    E 
   
    cid 
   
    fece 
   
    per 
   
    la 
   
    buona 
   
    compagnia 
   
    avuta 
   
    in 
   
    quelle 
   
    parti». 
   
    Sono 
   
    parole 
   
    dell' 
   
    annalista 
   
    Muamo, 
   
    riferite 
   
    dal 
   
    Filiasi 
   
    VI, 
   
    II, 
   
    265. 
  
 
   
    Forse 
   
    più 
   
    correttamente 
   
    dice 
   
    il 
   
    Sandri 
   
    (fra 
   
    tanti 
   
    altri 
   
    che 
   
    lo 
   
    ripetono): 
   
    «Conta 
   
    in 
   
    aspetto 
   
    di 
   
    commercio 
   
    veneziano, 
   
    e 
   
    conto 
   
    nel 
   
    secoli 
   
    decorsi, 
   
    la 
   
    nazione 
   
    degli 
   
    Armeni, 
   
    che 
   
    merito 
   
    accogli 
   
    mento, 
   
    abitazione 
   
    e 
   
    protezione 
   
    in 
   
    Venezia. 
   
    Antichissima 
   
    è 
   
    la 
   
    corrispondenza 
   
    loro 
   
    con 
   
    li 
   
    Veneziani, 
   
    e 
   
    quindi 
   
    il 
   
    loro 
   
    alloggio 
   
    Bella 
   
    Capitale. 
   
    Sin 
   
    dall' 
   
    anno 
   
    1253, 
   
    por 
   
    testamento 
   
    riconfermato 
   
    dell'anno 
   
    susseguente, 
   
    M. 
   
    Ziani, 
   
    nipote 
   
    del 
   
    Doge 
   
    Sebastiano, 
   
    famiglia 
   
    che 
   
    per 
   
    li 
   
    Veneti 
   
    cronisti 
   
    si 
   
    aterma 
   
    splendidiassima 
   
    in 
   
    ricchezza, 
   
    reso 
   
    ben 
   
    affetto 
   
    a 
   
    quella 
   
    Nazione 
   
    dalla 
   
    lunga 
   
    sua 
   
    dimora, 
   
    per 
   
    oggetto 
   
    mercantile, 
   
    nell'Armenia... 
   
    legò 
   
    alla 
   
    Procuratia 
   
    veneta 
   
    di 
   
    Citra 
   
    una 
   
    casa». 
  
 
   
    I 
   
    nostri 
   
    nazionali 
   
    che 
   
    in 
   
    diverse 
   
    circostanze 
   
    ebbero 
   
    questioni 
   
    col 
   
    governo 
   
    della 
   
    Repubblica, 
   
    ricordano 
   
    sempre 
   
    questa 
   
    largizione 
   
    dello 
   
    Ziani, 
   
    anzi 
   
    ne 
   
    anticipano 
   
    l'anno 
   
    scrivendo 
   
    1235 
   
    a 
   
    25 
   
    maggio: 
   
    (e 
   
    se 
   
    è 
   
    vero 
   
    questo, 
   
    come 
   
    se 
   
    fosse 
   
    sin 
   
    da 
   
    quell'anno 
   
    testato 
   
    e 
   
    poi 
   
    confermato 
   
    nel 
   
    1253, 
   
    sarebbe 
   
    il 
   
    più 
   
    antico 
   
    stabilimento 
   
    armeno 
   
    ricordato 
   
    nelle 
   
    memorie 
   
    in 
   
    Italia; 
   
    perohè 
   
    quello 
   
    di 
   
    Roma 
   
    è 
   
    del 
   
    1239). 
   
    Nell'ultimo 
   
    testamento 
   
    del 
   
    5 
   
    giugạo 
   
    1253, 
   
    dice 
   
    Marco: 
   
    «Domum 
   
    in 
   
    quo 
   
    manent 
   
    Armenii 
   
    (dunque 
   
    vi 
   
    erano 
   
    già 
   
    dimoranti 
   
    Armeni), 
   
    volumus 
   
    ut 
   
    in 
   
    perpetuo 
   
    ipsi 
   
    in 
   
    ea 
   
    stare 
   
    debeant, 
   
    et 
   
    quandocumque 
   
    fuerit 
   
    opportunum 
   
    eamdem 
   
    conciare, 
   
    de 
   
    nostris 
   
    bonis 
   
    debeat 
   
    conciare.... 
   
    Costituimus 
   
    nostros 
   
    Commissarios 
   
    una 
   
    cum 
   
    reliquis 
   
    superviventibus, 
   
    Dominos 
   
    Procuratores 
   
    operis 
   
    Ecclesiae 
   
    8. 
   
    Maroi. 
   
    Marco 
   
    Ziani 
   
    fu 
   
    scorto, 
   
    o 
   
    seguitore 
   
    a 
   
    questa 
   
    beneficenza: 
   
    perchè 
   
    tutti 
   
    quelli 
   
    che 
   
    lo 
   
    riportano, 
   
    aggiungono 
   
    pure 
   
    che, 
   
    Opoco 
   
    prima 
   
    o 
   
    dappoi 
   
    (di 
   
    Marco, 
   
    secondo 
   
    Sandi, 
   
    ma 
   
    secondo 
   
    un 
   
    più 
   
    antico 
   
    Manoscritto), 
   
    un 
   
    devoto 
   
    docchio 
   
    Armeno 
   
    lasciasse 
   
    con 
   
    suo 
   
    testamento 
   
    certa 
   
    somma 
   
    di 
   
    denaro 
   
    prima 
   
    ancora 
   
    di 
   
    M. 
   
    Ziani, 
   
    acciocchè 
   
    fosse 
   
    comperata 
   
    una 
   
    casa 
   
    e 
   
    fabbricata 
   
    una 
   
    Chiesetta 
   
    nella 
   
    calle 
   
    delle 
   
    Lanterne, 
   
    per 
   
    comodo 
   
    ed 
   
    utilità 
   
    dei 
   
    suoi 
   
    nazionali 
   
    provenienti 
   
    da 
   
    quelle 
   
    lontane 
   
    parti 
   
    della 
   
    Persia 
   
    ». 
   
    Da 
   
    quest'ultima 
   
    parola 
   
    si 
   
    crederebbe 
   
    che 
   
    il 
   
    vecchio 
   
    patriota 
   
    non 
   
    fosse 
   
    dell'Armeno-Cilicia 
   
    bensi 
   
    dell'Armenia 
   
    Maggiore. 
  
 
   
    Saremmo 
   
    felici 
   
    se 
   
    si 
   
    scoprisse 
   
    oggi 
   
    il 
   
    testamento 
   
    del 
   
    buon 
   
    vecchio, 
   
    come 
   
    pare 
   
    ben 
   
    conosciuto 
   
    dai 
   
    suoi 
   
    nazionali 
   
    dopo 
   
    tre 
   
    secoli, 
   
    quando 
   
    avendo 
   
    questi 
   
    un 
   
    processo 
   
    o 
   
    inchiesta, 
   
    dicevano 
   
    (l'anno 
   
    1498) 
   
    al 
   
    governo: 
   
    « 
   
    Il 
   
    testamento 
   
    fatto 
   
    dal 
   
    vecchio 
   
    Armeno 
   
    al 
   
    tempo 
   
    del 
   
    primo 
   
    doge 
   
    Ziani 
   
    (dunque 
   
    fin 
   
    dal 
   
    1171-9)in 
   
    forza 
   
    di 
   
    cui 
   
    essi 
   
    Procuratori 
   
    aveano 
   
    co' 
   
    denari 
   
    del 
   
    defunto 
   
    comperata 
   
    una 
   
    casa 
   
    e 
   
    fabbrioata 
   
    una 
   
    chiesetta 
   
    nella 
   
    Calle 
   
    delle 
   
    Lanterne 
   
    a 
   
    comodo 
   
    degli 
   
    Armeni 
   
    che 
   
    venissero 
   
    ad 
   
    abitar 
   
    in 
   
    Venezia» 
   
    (Galliccioli, 
   
    II 
   
    276). 
   
    Come 
   
    poi 
   
    s'accordi 
   
    che 
   
    tanto 
   
    il 
   
    vecchio 
   
    quanto 
   
    lo 
   
    Ziani 
   
    indicassero 
   
    per 
   
    il 
   
    riconoro 
   
    degli 
   
    Armeni 
   
    lo 
   
    stesso 
   
    sito 
   
    nella 
   
    Calle 
   
    delle 
   
    Lanterne 
   
    o 
   
    dei 
   
    Ferali, 
   
    non 
   
    vogliamo 
   
    discutere; 
   
    probabilmente 
   
    il 
   
    vecchio 
   
    Armeno 
   
    lasciò 
   
    la 
   
    somma, 
   
    mentre 
   
    una 
   
    casa 
   
    dei 
   
    Ziani 
   
    era 
   
    abitata 
   
    dagli 
   
    Armeni, 
   
    ai 
   
    quali 
   
    poi 
   
    questi 
   
    lasciò 
   
    in 
   
    dono 
   
    la 
   
    stessa 
   
    casa'e 
   
    anche 
   
    un 
   
    fondo 
   
    per 
   
    i 
   
    ristauri 
   
    occorrenti, 
   
    ma 
   
    il 
   
    mantenimento 
   
    si 
   
    amministrava 
   
    col 
   
    lascito 
   
    dell'altro. 
  
 
   
    Varie 
   
    volte, 
   
    nei 
   
    ricorsi 
   
    e 
   
    nei 
   
    processi 
   
    degli 
   
    Armeni 
   
    davanti 
   
    il 
   
    Senato, 
   
    fu 
   
    questione 
   
    della 
   
    chiosa 
   
    o 
   
    chiesetta 
   
    armena, 
   
    come 
   
    e 
   
    quando 
   
    fosse 
   
    stabilita, 
   
    e 
   
    non 
   
    fu 
   
    possibile 
   
    verificarlo, 
   
    perchè 
   
    non 
   
    vepne 
   
    la 
   
    chiesa 
   
    indicata 
   
    precisamente, 
   
    come 
   
    la 
   
    Casa 
   
    armena; 
   
    eppure 
   
    per 
   
    noi 
   
    era 
   
    più 
   
    essenziale 
   
    il 
   
    saperlo, 
   
    per 
   
    la 
   
    ragione 
   
    che 
   
    la 
   
    chiesa 
   
    presuppono 
   
    gli 
   
    aderenti 
   
    di 
   
    un 
   
    rito 
   
    qualunque, 
   
    non 
   
    vice 
   
    versa. 
   
    D'altra 
   
    parte 
   
    non 
   
    si 
   
    è 
   
    mai 
   
    visto 
   
    che 
   
    colonie 
   
    armene, 
   
    an. 
   
    che 
   
    piccole, 
   
    si 
   
    fermassero 
   
    in 
   
    una 
   
    città 
   
    senza 
   
    procurarsi 
   
    un 
   
    ospizio 
   
    e 
   
    una 
   
    chiesa 
   
    o 
   
    cappella, 
   
    siccome 
   
    ci 
   
    attestano 
   
    tante 
   
    città 
   
    italiane 
   
    acoepnate 
   
    più 
   
    sopra; 
   
    in 
   
    alcune 
   
    delle 
   
    quali, 
   
    p. 
   
    es. 
   
    Roma, 
   
    Ancona, 
   
    Firenze, 
   
    Rimini, 
   
    c'erano 
   
    chiese 
   
    amministrate 
   
    dai 
   
    propri 
   
    sacerdoti 
   
    in 
   
    dalla 
   
    prima 
   
    metà 
   
    del 
   
    secolo 
   
    XIII, 
   
    e 
   
    tuttora 
   
    si 
   
    trovano 
   
    codici 
   
    armeni 
   
    scritti 
   
    in 
   
    quegli 
   
    ospizi. 
   
    Era 
   
    dunque 
   
    assai 
   
    probabile 
   
    che 
   
    non 
   
    mancasse 
   
    un 
   
    eguale 
   
    centro 
   
    di 
   
    comunità 
   
    nazionale 
   
    armena 
   
    anche 
   
    a 
   
    Venezia. 
  
 
   
    Non 
   
    per 
   
    tanto 
   
    può 
   
    destaro 
   
    meraviglia 
   
    il 
   
    silenzio 
   
    de' 
   
    docu 
   
    monti 
   
    e 
   
    degli 
   
    storici 
   
    Veneziani 
   
    su 
   
    quest' 
   
    argomento, 
   
    mentre 
   
    quelli 
   
    degli 
   
    altri 
   
    paesi 
   
    in 
   
    Italia 
   
    rammentano 
   
    il 
   
    tempo 
   
    della 
   
    ve 
   
    nuta 
   
    dei 
   
    preti 
   
    e 
   
    frati 
   
    armeni 
   
    Basiliani, 
   
    e 
   
    la 
   
    fondazione 
   
    e 
   
    il 
   
    nome 
   
    delle 
   
    loro 
   
    chiese. 
  
 
   
    Per 
   
    dirlo 
   
    in 
   
    poche 
   
    parole, 
   
    bisogna 
   
    ammettere 
   
    o 
   
    che 
   
    nella 
   
    casa 
   
    degli 
   
    Armeni 
   
    a 
   
    S. 
   
    Giuliano 
   
    ci 
   
    fosse 
   
    una 
   
    cappella, 
   
    come 
   
    voleva 
   
    il 
   
    vecchio 
   
    testatore 
   
    e 
   
    amministrata 
   
    da 
   
    sacerdote 
   
    armeno, 
   
    o 
   
    che 
   
    in 
   
    un 
   
    altro 
   
    sestiere 
   
    di 
   
    Venezia 
   
    fosse 
   
    una 
   
    chiesa 
   
    o 
   
    un 
   
    con 
   
    vento 
   
    armepo. 
   
    Non 
   
    è 
   
    molto 
   
    probabile 
   
    l'antichità 
   
    della 
   
    cappella 
   
    nella 
   
    casa 
   
    della 
   
    Calle 
   
    dei 
   
    Ferali; 
   
    ma 
   
    se 
   
    anche 
   
    c'ern, 
   
    doveva 
   
    essere 
   
    piccolissima, 
   
    perchè 
   
    tre 
   
    o 
   
    quattro 
   
    volte 
   
    rinnovata 
   
    e 
   
    am. 
   
    pliata 
   
    negli 
   
    anni 
   
    1496, 
   
    1510–20, 
   
    1689, 
   
    si 
   
    vede 
   
    tanto 
   
    angusta 
   
    l'at 
   
    tuale 
   
    chiesa 
   
    di 
   
    Santa 
   
    Croce, 
   
    che 
   
    pur 
   
    è 
   
    bellissima. 
   
    Bisognerebbe 
   
    dunque 
   
    per 
   
    forza 
   
    cercare 
   
    altrove 
   
    o 
   
    un 
   
    santuario 
   
    o 
   
    una 
   
    como 
   
    nità 
   
    religiosa 
   
    armena, 
   
    per 
   
    stare 
   
    a 
   
    livello 
   
    delle 
   
    comunità 
   
    conso 
   
    relle 
   
    nelle 
   
    altre 
   
    città 
   
    italiane: 
   
    e 
   
    per 
   
    cid, 
   
    compulsare 
   
    almanoo 
   
    gli 
   
    archivi 
   
    par 
   
    averne 
   
    lume. 
   
    Ed 
   
    ecco 
   
    una 
   
    piccola 
   
    scintilla 
   
    che 
   
    può 
   
    servire 
   
    di 
   
    guida 
   
    ai 
   
    cercatori. 
   
    Certo 
   
    Zannino 
   
    di 
   
    Scala, 
   
    col 
   
    suo 
   
    testa 
   
    mento 
   
    registrato 
   
    da 
   
    Ognibene 
   
    parroco 
   
    di 
   
    S. 
   
    Giovanni 
   
    di 
   
    Rialto 
   
    a 
   
    26 
   
    giugno 
   
    1348, 
   
    fra 
   
    molte 
   
    altre 
   
    lascite 
   
    fa 
   
    anche 
   
    una 
   
    ai 
   
    Frali 
   
    Armeni 
   
    di 
   
    S. 
   
    Giovanni 
   
    Battista, 
   
    di 
   
    D. 
   
    5 
   
    per 
   
    so 
   
    viver, 
   
    (come 
   
    al 
   
    trettanto 
   
    ai 
   
    poveri 
   
    di 
   
    S. 
   
    Lazzaro, 
   
    per 
   
    loro 
   
    camicie 
   
    e 
   
    gonelle). 
   
    Ecco 
   
    dunque 
   
    una 
   
    comunità 
   
    religiosa 
   
    armena 
   
    a 
   
    Venezia, 
   
    nella 
   
    prima 
   
    metà 
   
    del 
   
    secolo 
   
    XIV. 
   
    Non 
   
    so 
   
    se 
   
    si 
   
    conosce 
   
    bene 
   
    la 
   
    chiesa 
   
    di 
   
    8. 
   
    Giovanni 
   
    di 
   
    Rialto, 
   
    di 
   
    cui 
   
    il 
   
    parroco 
   
    era 
   
    Notaio 
   
    in 
   
    quel 
   
    tempo: 
   
    si 
   
    può 
   
    credere 
   
    che 
   
    in 
   
    quella 
   
    stessa 
   
    contrada 
   
    fosse 
   
    stato 
   
    l'abitacolo 
   
    di 
   
    quei 
   
    Frati 
   
    Armeni: 
   
    e 
   
    se 
   
    non 
   
    è 
   
    nota 
   
    adesso 
   
    la 
   
    chiesa 
   
    parrocchiale, 
   
    qual 
   
    meraviglia 
   
    se 
   
    sieno 
   
    rimasti 
   
    in 
   
    oscurità 
   
    quoi 
   
    poveri 
   
    Frati 
   
    Armeni 
   
    chi 
   
    sa 
   
    da 
   
    dove 
   
    e 
   
    come 
   
    ricoverati 
   
    ! 
  
 
   
    Un 
   
    secolo 
   
    dopo 
   
    questo 
   
    accenno, 
   
    la 
   
    prima 
   
    volta 
   
    nell'anno 
   
    1434 
   
    si 
   
    trova 
   
    nelle 
   
    memorie 
   
    armene 
   
    un 
   
    ricordo 
   
    della 
   
    chiesetta 
   
    armena 
   
    nella 
   
    Calle 
   
    delle 
   
    Lanterne 
   
    officiata 
   
    da 
   
    sacerdote 
   
    armeno. 
  
 
   
    Il 
   
    primo 
   
    pensiero 
   
    del 
   
    pellegrino 
   
    armeno, 
   
    ovunque 
   
    lo 
   
    trasse 
   
    la 
   
    fortuna, 
   
    fu 
   
    sempre 
   
    la 
   
    chiesa 
   
    e 
   
    l'ufficio 
   
    di 
   
    rito 
   
    nazionale; 
   
    per 
   
    ultimo 
   
    dovea 
   
    essere 
   
    e 
   
    fu 
   
    il 
   
    luogo 
   
    del 
   
    suo 
   
    riposo 
   
    finale. 
   
    Chiesa 
   
    e 
   
    Cimitero 
   
    vanno 
   
    del 
   
    pari, 
   
    particolarmente 
   
    nelle 
   
    colonie, 
   
    sieno 
   
    vicine 
   
    l'una 
   
    all' 
   
    altra 
   
    o 
   
    sieno 
   
    distanti. 
   
    Dopo 
   
    l'ultima 
   
    fondamen 
   
    tale 
   
    fabbrica 
   
    di 
   
    S. 
   
    Croce 
   
    (1689) 
   
    molti 
   
    Armeni 
   
    sono 
   
    ivi 
   
    sepolti 
   
    ed 
   
    ancora 
   
    se 
   
    ne 
   
    leggono 
   
    gli 
   
    epitafj: 
   
    ma 
   
    nei 
   
    secoli 
   
    anteriori 
   
    al 
   
    XVII 
   
    non 
   
    era 
   
    possibile 
   
    tumulare 
   
    là 
   
    dove 
   
    manca 
   
    lo 
   
    spazio; 
   
    era 
   
    veces 
   
    sità 
   
    di 
   
    procurarsi 
   
    altrove 
   
    l'ultima 
   
    dimora. 
   
    Le 
   
    necrologie 
   
    delle 
   
    chiese 
   
    venete 
   
    notano 
   
    in 
   
    varie 
   
    di 
   
    esse, 
   
    Armeni 
   
    sepolti 
   
    nei 
   
    secoli 
   
    XVI-XVIII; 
   
    ma 
   
    quei 
   
    registri 
   
    non 
   
    salgono 
   
    più 
   
    in 
   
    sù: 
   
    per 
   
    buona 
   
    Borto 
   
    abbiamo 
   
    memorie 
   
    antiche 
   
    le 
   
    quali 
   
    ci 
   
    assicurano 
   
    che 
   
    fin 
   
    dai 
   
    primordi 
   
    della 
   
    frequenza 
   
    degli 
   
    Armeni 
   
    a 
   
    Venezia, 
   
    loro 
   
    fu 
   
    conceduto 
   
    cimitero 
   
    proprio 
   
    nell'Isola 
   
    di 
   
    S. 
   
    Giorgio 
   
    Maggiore. 
  
 
   
    In 
   
    un 
   
    processo 
   
    intimato 
   
    contro 
   
    i 
   
    PP. 
   
    Benedettini, 
   
    religiosi 
   
    di 
   
    quell'Isola, 
   
    nel 
   
    1675, 
   
    gli 
   
    Armeni 
   
    sostenevano 
   
    il 
   
    loro 
   
    gius 
   
    di. 
   
    sepellimento 
   
    in 
   
    quel 
   
    luogo, 
   
    ottenuto 
   
    fin 
   
    da 
   
    400 
   
    anni: 
   
    la 
   
    qual 
   
    data 
   
    oi 
   
    conduce 
   
    all'epoca 
   
    del 
   
    loro 
   
    possesso 
   
    della 
   
    casa 
   
    zianiana. 
   
    Un 
   
    altro 
   
    documento 
   
    (di 
   
    cui 
   
    fra 
   
    poco 
   
    si 
   
    parlerà 
   
    a 
   
    lungo), 
   
    lo 
   
    attesta 
   
    indubitatamente 
   
    nell'anno 
   
    1341. 
   
    E 
   
    le 
   
    lapidi 
   
    dei 
   
    defunti 
   
    non 
   
    si 
   
    saranno 
   
    per 
   
    cost 
   
    dire 
   
    viventi 
   
    testimoni 
   
    per 
   
    risolvere 
   
    la 
   
    questione : 
   
    Abimel 
   
    bisogna 
   
    cercarle 
   
    per 
   
    la 
   
    maggior 
   
    parte 
   
    sotto 
   
    l'attuale 
   
    fondamento 
   
    del 
   
    superbo 
   
    campanile 
   
    di 
   
    quella 
   
    magnifica 
   
    chiesa, 
   
    intorno 
   
    al 
   
    quale 
   
    nel 
   
    cortile 
   
    attiguo 
   
    erano 
   
    collocati 
   
    quegli 
   
    ci 
   
    melli 
   
    donde 
   
    veniva 
   
    chiamato 
   
    Cortile 
   
    degli 
   
    Armeni: 
   
    un 
   
    giorno 
   
    (1598) 
   
    la 
   
    più 
   
    grande 
   
    campana 
   
    mentre 
   
    lo 
   
    s'innalzava 
   
    alla 
   
    cas 
   
    sella 
   
    della 
   
    torre, 
   
    stanca 
   
    si 
   
    lasciò 
   
    cadere: 
   
    un 
   
    altro 
   
    giorno 
   
    (27, 
   
    feb 
   
    braio, 
   
    1774) 
   
    lo 
   
    stesso 
   
    campanile; 
   
    e 
   
    molte 
   
    di 
   
    quelle 
   
    lapidi 
   
    sepol 
   
    crali 
   
    andarono 
   
    in 
   
    pezzi, 
   
    e 
   
    poi 
   
    nella 
   
    rifabbrica 
   
    della 
   
    torre, 
   
    per 
   
    dolorosa 
   
    trascuranza, 
   
    furono 
   
    usate 
   
    per 
   
    le 
   
    sue 
   
    fondamenta, 
   
    molto 
   
    pid 
   
    abbasso 
   
    di 
   
    quelle 
   
    povere 
   
    reliquie 
   
    da 
   
    esse 
   
    coperte.
    
     [5] 
   
    Poche 
   
    di 
   
    quelle 
   
    lapidi 
   
    rimanevano 
   
    ancora 
   
    sullo 
   
    scorcio 
   
    del 
   
    secolo 
   
    passato 
   
    colle 
   
    inscrizioni 
   
    armene 
   
    dei 
   
    secoli 
   
    XVI 
   
    e 
   
    XVII, 
   
    copiate 
   
    per 
   
    buona 
   
    sorte 
   
    dai 
   
    vecchi 
   
    Padri 
   
    Mochitaristi, 
   
    e 
   
    cost 
   
    salvate 
   
    da 
   
    fivale 
   
    ro 
   
    vina; 
   
    perciocchè 
   
    nell' 
   
    ulteriore 
   
    ristauro 
   
    del 
   
    selciato 
   
    di 
   
    quel 
   
    luogo, 
   
    anche 
   
    quelle 
   
    lapidi 
   
    una 
   
    volta 
   
    salvate, 
   
    in 
   
    una 
   
    maniera 
   
    o 
   
    nell'altra 
   
    scomparvero 
   
    per 
   
    sempre. 
  
 
   
    Fintanto 
   
    che 
   
    si 
   
    mostra 
   
    la 
   
    tomba 
   
    non 
   
    è 
   
    scevra 
   
    di 
   
    consolazione, 
   
    ma 
   
    quando 
   
    essa 
   
    stessa 
   
    viene 
   
    sepolta, 
   
    che 
   
    cosa 
   
    si 
   
    sente 
   
    sia 
   
    per 
   
    tanto 
   
    pace 
   
    alle 
   
    anime 
   
    di 
   
    quei 
   
    sepolti 
   
    e 
   
    sepellitori; 
   
    e 
   
    ritorniamo 
   
    alla 
   
    ricerca 
   
    dei 
   
    viventi, 
   
    o 
   
    piutosto 
   
    di 
   
    quegli 
   
    Armeni 
   
    che 
   
    vivevano 
   
    a 
   
    Venezia 
   
    nell'età 
   
    che 
   
    studiamo. 
  
 
   
    Frequenti 
   
    erano, 
   
    come 
   
    abbiamo 
   
    veduto, 
   
    le 
   
    missioni 
   
    d'amba 
   
    sciatori 
   
    a 
   
    Venezia, 
   
    ma 
   
    non 
   
    sono 
   
    registrati 
   
    i 
   
    nomi 
   
    che 
   
    di 
   
    pochi; 
   
    come 
   
    quell'Emmanuele 
   
    mandato 
   
    dal 
   
    Re 
   
    Sembate 
   
    circa 
   
    gli 
   
    anni 
   
    1297–8, 
   
    (v. 
   
    pag. 
   
    27). 
   
    - 
   
    Abbiamo 
   
    pure 
   
    veduto 
   
    come 
   
    la 
   
    Repubblica 
   
    li 
   
    trattasse 
   
    con 
   
    regali 
   
    di 
   
    valore 
   
    2, 
   
    3, 
   
    4 
   
    lire 
   
    de 
   
    grossi, 
   
    e 
   
    per 
   
    loro 
   
    mezzo 
   
    mandasse 
   
    doni 
   
    più 
   
    cospicui 
   
    a 
   
    loro.
   
    sovrani. 
   
    Nel 
   
    principio 
   
    del 
   
    secolo 
   
    XIV 
   
    permetteva 
   
    il 
   
    Senato 
   
    (23 
   
    settembre 
   
    1302) 
   
    a 
   
    certi 
   
    mercatanti 
   
    di 
   
    venire 
   
    da 
   
    la 
   
    Liza 
   
    colle 
   
    venete 
   
    imbarcazioni, 
   
    e 
   
    fra 
   
    questi 
   
    si 
   
    trovavano 
   
    Giorgio 
   
    ed 
   
    altri 
   
    Armeni. 
  
 
   
    Nel 
   
    1331 
   
    si 
   
    trovava 
   
    pure 
   
    certo 
   
    Aytone 
   
    processato 
   
    per 
   
    non 
   
    so 
   
    qual 
   
    causa, 
   
    a 
   
    cui 
   
    però 
   
    si 
   
    dava 
   
    venia 
   
    (220). 
   
    Era 
   
    in 
   
    quel 
   
    turno 
   
    (1332) 
   
    che 
   
    il 
   
    noto 
   
    dragomando 
   
    e 
   
    condottiere 
   
    Adac 
   
    si 
   
    trovava 
   
    pure 
   
    & 
   
    Venezia 
   
    (v. 
   
    pag. 
   
    32). 
   
    Nella 
   
    seconda 
   
    metà 
   
    di 
   
    quel 
   
    secolo 
   
    incon 
   
    trammo 
   
    due 
   
    fratelli 
   
    reali 
   
    Armeno-Lusignani, 
   
    uno 
   
    in 
   
    cerca 
   
    di 
   
    corona, 
   
    morto 
   
    a 
   
    Venezia, 
   
    l'altro 
   
    dopo 
   
    aver 
   
    perduta 
   
    la 
   
    corona 
   
    traversar 
   
    Venezia. 
   
    Dopo 
   
    questi 
   
    non 
   
    c'è 
   
    più 
   
    caso 
   
    di 
   
    avere 
   
    simili 
   
    ospiti 
   
    o 
   
    passeggieri; 
   
    ma 
   
    invece 
   
    gli 
   
    stabili 
   
    naturalizzati, 
   
    come 
   
    furono 
   
    un 
   
    certo 
   
    Antonio 
   
    figlio 
   
    di 
   
    Basilio 
   
    capitano 
   
    di 
   
    mare, 
   
    che 
   
    nel 
   
    1395-8 
   
    testava 
   
    alla 
   
    sua 
   
    moglie 
   
    Martha 
   
    la 
   
    sua 
   
    dote 
   
    di 
   
    3 
   
    lire 
   
    de 
   
    grossi 
   
    (358); 
   
    e 
   
    un 
   
    Giovanni 
   
    Armeno 
   
    di 
   
    Cafa 
   
    di 
   
    Crimea, 
   
    il 
   
    quale 
   
    di 
   
    là 
   
    costituiva 
   
    (6 
   
    giugno 
   
    1395) 
   
    suo 
   
    coinmissario 
   
    in 
   
    Vene 
   
    zia 
   
    la 
   
    propria 
   
    consorte 
   
    Margherita. 
  
 
   
    Nell'anno 
   
    della 
   
    venuta 
   
    di 
   
    Leone 
   
    V 
   
    a 
   
    Venezia 
   
    (1382), 
   
    vi 
   
    si 
   
    trovava 
   
    un 
   
    frate 
   
    armono, 
   
    Domenicano 
   
    nativo 
   
    d' 
   
    Erzerum, 
   
    di 
   
    nome 
   
    Avedic 
   
    (Nunziato) 
   
    cambiato 
   
    poi 
   
    con 
   
    quello 
   
    di 
   
    Agostino; 
   
    egli 
   
    copiava 
   
    le 
   
    Prefazioni 
   
    dei 
   
    libri 
   
    sacri, 
   
    aggiungendovi 
   
    riflessioni 
   
    religiose 
   
    in 
   
    prosa 
   
    o 
   
    in 
   
    versi 
   
    ed 
   
    è 
   
    il 
   
    primo 
   
    libro 
   
    armeno 
   
    mano 
   
    scritto 
   
    che 
   
    conosciamo 
   
    compilato 
   
    a 
   
    Venezia 
   
    e 
   
    lo 
   
    possediamo: 
   
    ma 
   
    quello 
   
    che 
   
    c' 
   
    interessa 
   
    per 
   
    il 
   
    nostro 
   
    scopo 
   
    è 
   
    l'aver 
   
    egli 
   
    fatto 
   
    ricordo 
   
    (nel 
   
    29 
   
    febb. 
   
    del 
   
    suddetto 
   
    anno 
   
    bisestile) 
   
    della 
   
    Chiesa 
   
    di 
   
    Venezia 
   
    (ի 
   
    Վընեժոյ 
   
    եկեղեցին), 
   
    e 
   
    il 
   
    nome 
   
    della 
   
    città 
   
    scrive 
   
    un 
   
    po' 
   
    alla 
   
    francese 
   
    Venéje. 
   
    Quale 
   
    chiesa 
   
    intende 
   
    il 
   
    pio 
   
    Frate? 
   
    Chi 
   
    ne 
   
    cercasse 
   
    fra 
   
    le 
   
    tanti 
   
    latine, 
   
    senza 
   
    dubbio 
   
    dovrebbe 
   
    a 
   
    S. 
   
    Marco; 
   
    ma 
   
    S. 
   
    Marco 
   
    era 
   
    cosi 
   
    noto 
   
    e 
   
    celebre 
   
    nella 
   
    memoria 
   
    degli 
   
    Armeni 
   
    che 
   
    nessuno 
   
    non 
   
    lo 
   
    ricordava 
   
    senza 
   
    ripeterne 
   
    il 
   
    nome; 
   
    resta 
   
    dunque 
   
    il 
   
    supporre 
   
    o 
   
    che 
   
    la 
   
    chiesa 
   
    di 
   
    Vendje 
   
    sia 
   
    quella 
   
    stessa 
   
    dei 
   
    Frati 
   
    armeni 
   
    di 
   
    S. 
   
    Giov. 
   
    Batta 
   
    del 
   
    1348, 
   
    e 
   
    tanto 
   
    più 
   
    pro 
   
    babilmente 
   
    quanto 
   
    che 
   
    l'autore 
   
    era 
   
    un 
   
    Domenicano; 
   
    ed 
   
    appunto 
   
    appena 
   
    un 
   
    mezzo 
   
    secolo 
   
    prima 
   
    era 
   
    istituito 
   
    nell'Armenia 
   
    Mag 
   
    giore 
   
    un 
   
    ordine 
   
    di 
   
    Armeni 
   
    Domenicani, 
   
    intitolati 
   
    Unitori, 
   
    i 
   
    quali 
   
    non 
   
    solamente 
   
    avevano 
   
    diversi 
   
    conventi 
   
    in 
   
    quelle 
   
    contrade 
   
    ma 
   
    000 
   
    a 
   
    Caffa, 
   
    e 
   
    visitavado 
   
    sovente 
   
    i 
   
    conventi 
   
    domenicani 
   
    d'Italia: 
   
    - 
   
    oppure 
   
    Agostino 
   
    accennava 
   
    alla 
   
    chiesuola 
   
    degli 
   
    Armeni 
   
    della 
   
    Calle 
   
    delle 
   
    Lanterne, 
   
    la 
   
    quale 
   
    si 
   
    chiamo 
   
    pure 
   
    Calle 
   
    degli 
   
    Armeni, 
   
    e 
   
    l'abbiamo 
   
    ricordato 
   
    più 
   
    sopra 
   
    (pag. 
   
    68); 
   
    sappiamo 
   
    pure 
   
    che 
   
    solo 
   
    un 
   
    mezzo 
   
    secolo 
   
    dopo 
   
    l'opera 
   
    di 
   
    questo 
   
    Frate, 
   
    si 
   
    conosceva 
   
    ed 
   
    era 
   
    ufizziata 
   
    la 
   
    chiesa 
   
    armena. 
  
 
   
    Pochi 
   
    anni 
   
    prima 
   
    del 
   
    ricordo 
   
    dei 
   
    Frati 
   
    armeni 
   
    di 
   
    Venezia, 
   
    cioè 
   
    nell'anno 
   
    1341, 
   
    alli 
   
    2 
   
    ottobre, 
   
    per 
   
    mano 
   
    del 
   
    notajo 
   
    Jacopo 
   
    Marchesini 
   
    prete 
   
    di 
   
    S. 
   
    Giuliano 
   
    faceva 
   
    registrare 
   
    il 
   
    suo 
   
    testamento, 
   
    un'Armona 
   
    — 
   
    (e 
   
    questa 
   
    è 
   
    la 
   
    prima 
   
    volta 
   
    che 
   
    si 
   
    vede 
   
    una 
   
    donna 
   
    di 
   
    quella 
   
    nazione) 
   
    - 
   
    abitante 
   
    nell'Ospizio 
   
    armeno 
   
    nella 
   
    calle 
   
    sopra 
   
    detta, 
   
    di 
   
    nome 
   
    Maria; 
   
    la 
   
    quale 
   
    chiama 
   
    se 
   
    stessa 
   
    Maria 
   
    Armina
    
     [6] 
   
    - 
   
    Massaria 
   
    Domus 
   
    Armeniorum. 
   
    Ella 
   
    non 
   
    pare 
   
    essere 
   
    una 
   
    serra, 
   
    come 
   
    s'intende 
   
    oggi 
   
    a 
   
    Venezia 
   
    l'appellazione 
   
    massora, 
   
    ma 
   
    Ben 
   
    condo 
   
    il 
   
    senso 
   
    di 
   
    Massaja, 
   
    ossia 
   
    l' 
   
    aja 
   
    o 
   
    la 
   
    goocrnante 
   
    della 
   
    casa 
   
    armena. 
   
    Finora 
   
    è 
   
    l'unico 
   
    documento 
   
    in 
   
    questo 
   
    genere, 
   
    cioè 
   
    di 
   
    Testamonti 
   
    armeni 
   
    scoperti 
   
    negli 
   
    archivi 
   
    veneti, 
   
    ove 
   
    devesi 
   
    sperare 
   
    di 
   
    trovarne 
   
    altri 
   
    più 
   
    antichi, 
   
    che 
   
    dei 
   
    posteriori 
   
    ne 
   
    abbiamo 
   
    un 
   
    centinaio, 
   
    tutti 
   
    dei 
   
    secoli 
   
    XVI-XVIII 
   
    (369). 
  
 
   
    Preziosissimo 
   
    e 
   
    curiosissimo 
   
    è 
   
    il 
   
    testamento 
   
    di 
   
    Maria 
   
    Armena 
   
    per 
   
    diversi 
   
    capi: 
   
    non 
   
    ci 
   
    palesa 
   
    essa 
   
    nè 
   
    il 
   
    suo 
   
    paese 
   
    natale 
   
    ne 
   
    i 
   
    suoi 
   
    genitori 
   
    nè 
   
    parenti 
   
    alcuno: 
   
    pare 
   
    abbastanza 
   
    benestante, 
   
    al 
   
    disopra 
   
    dello 
   
    stato 
   
    di 
   
    una 
   
    semplice 
   
    serva: 
   
    e 
   
    i 
   
    diversi 
   
    lasciti 
   
    che 
   
    fa 
   
    sommano 
   
    circa 
   
    100 
   
    ducati 
   
    (d'oro), 
   
    oltre 
   
    certi 
   
    oggetti. 
   
    Il 
   
    più 
   
    notevole 
   
    e 
   
    prezioso 
   
    ricordo 
   
    del 
   
    testamento 
   
    è 
   
    l'esistenza 
   
    e 
   
    i 
   
    nomi 
   
    di 
   
    una 
   
    decina 
   
    di 
   
    abitanti 
   
    della 
   
    casa 
   
    armena 
   
    di 
   
    ambi 
   
    due 
   
    i 
   
    sessi, 
   
    e 
   
    di 
   
    Prati; 
   
    ma 
   
    può 
   
    essere 
   
    che 
   
    secondo 
   
    una 
   
    pia 
   
    costa 
   
    manza 
   
    di 
   
    quei 
   
    tempi 
   
    tutti 
   
    gli 
   
    abitanti 
   
    di 
   
    un 
   
    ospizio 
   
    si 
   
    chiamas 
   
    sero 
   
    fra 
   
    loro 
   
    fratelli. 
   
    Ora 
   
    la 
   
    nostra 
   
    testatrice, 
   
    costituisce 
   
    oltre 
   
    Giacomo 
   
    de 
   
    Monte 
   
    prete 
   
    di 
   
    S. 
   
    Giuliano, 
   
    commissari 
   
    Pra 
   
    Michele 
   
    Armeno, 
   
    e 
   
    la 
   
    Domina 
   
    Bartolomea 
   
    Armina, 
   
    lasciando 
   
    a 
   
    questa 
   
    per 
   
    memoria 
   
    un 
   
    fiorino 
   
    e 
   
    una 
   
    veste 
   
    nera, 
   
    a 
   
    quello 
   
    2 
   
    fiorini 
   
    (d'oro): 
   
    a 
   
    Giacomo 
   
    sudetto 
   
    4 
   
    ducati 
   
    e 
   
    il 
   
    regno, 
   
    ossia 
   
    la 
   
    caparra, 
   
    che 
   
    teneva: 
   
    ed 
   
    «al 
   
    Notaro 
   
    1 
   
    fiorino. 
   
    Ricorda 
   
    due 
   
    altri 
   
    Frati 
   
    armeni 
   
    senza 
   
    indicare 
   
    se 
   
    abitassero 
   
    o 
   
    no 
   
    nella 
   
    stessa 
   
    casa, 
   
    all' 
   
    uno 
   
    di 
   
    nome 
   
    Vielme 
   
    lascia 
   
    4 
   
    D., 
   
    all'altro 
   
    Ezechiele, 
   
    2 
   
    D. 
   
    Fra 
   
    le 
   
    altre 
   
    persone 
   
    del 
   
    suo 
   
    sesso 
   
    cita 
   
    Zabel 
   
    (Isabella), 
   
    Rome 
   
    in 
   
    gran 
   
    uso 
   
    sotto 
   
    il 
   
    dominio 
   
    dei 
   
    Rupeniani 
   
    nell'Armeno-Cilica, 
   
    e 
   
    le 
   
    lascia 
   
    il 
   
    suo 
   
    mantello 
   
    e 
   
    la 
   
    tunica 
   
    alba, 
   
    e 
   
    sopra 
   
    più 
   
    un 
   
    D. 
   
    – 
   
    Calli 
   
    abitatrice 
   
    della 
   
    casa 
   
    stessa, 
   
    a 
   
    oui 
   
    lascia 
   
    i 
   
    suoi 
   
    panni 
   
    e 
   
    16 
   
    soldi 
   
    di 
   
    piccoli: 
   
    - 
   
    Francisca 
   
    Armina, 
   
    la 
   
    quale 
   
    abitava 
   
    a 
   
    S. 
   
    Biagio, 
   
    riceverd 
   
    un 
   
    fio 
   
    rino. 
   
    Giova 
   
    notare 
   
    questo 
   
    sito 
   
    ove 
   
    forse 
   
    si 
   
    trovava 
   
    altro 
   
    ricovero 
   
    armeno. 
   
    - 
   
    Come 
   
    buona 
   
    cristiana, 
   
    prima 
   
    di 
   
    tutto 
   
    Maria 
   
    dà 
   
    la 
   
    decima: 
   
    «In 
   
    primis 
   
    omnium 
   
    rectam 
   
    dimitto 
   
    decimam»: 
   
    lascia 
   
    due 
   
    D. 
   
    ai 
   
    sacerdoti 
   
    di 
   
    S. 
   
    Giuliano, 
   
    per 
   
    dir 
   
    messe; 
   
    cosi 
   
    pure 
   
    due 
   
    D. 
   
    a 
   
    quelli 
   
    di 
   
    S. 
   
    Marco; 
   
    - 
   
    alle 
   
    monache 
   
    di 
   
    S. 
   
    Zaccaria 
   
    1 
   
    D. 
   
    Si 
   
    ricordi 
   
    che 
   
    quel 
   
    monastero 
   
    fu 
   
    fondato 
   
    coll' 
   
    elargizione 
   
    d'un 
   
    Imperatore 
   
    armeno 
   
    e 
   
    che 
   
    nei 
   
    ultimi 
   
    secoli 
   
    vi 
   
    si 
   
    trovavano 
   
    vergini 
   
    armene, 
   
    può 
   
    oredersi 
   
    che 
   
    sene 
   
    trovasse 
   
    alcuna 
   
    anche 
   
    al 
   
    tempo 
   
    della 
   
    te 
   
    statrice. 
   
    – 
   
    Per 
   
    il 
   
    restauro 
   
    della 
   
    casa 
   
    armena 
   
    lascia 
   
    8 
   
    fiorini. 
  
 
   
    Rivolgendo 
   
    gli 
   
    occhi 
   
    più 
   
    lontano 
   
    vede 
   
    Maria 
   
    altri 
   
    ospizi 
   
    na 
   
    sionali 
   
    nelle 
   
    città 
   
    consorelle, 
   
    e 
   
    da 
   
    brava 
   
    patriota 
   
    lascia 
   
    a 
   
    quelli 
   
    di 
   
    Bologna, 
   
    di 
   
    Perugia, 
   
    di 
   
    Siena, 
   
    di 
   
    Genova 
   
    a 
   
    ciascuno 
   
    2 
   
    D. 
   
    o 
   
    fiorini: 
   
    a 
   
    quello 
   
    di 
   
    Civita 
   
    Vecchia 
   
    (Urbe 
   
    Veteri) 
   
    1 
   
    D. 
   
    - 
   
    Notevole 
   
    e 
   
    cospicuo 
   
    fra 
   
    i 
   
    beneficiati 
   
    viene 
   
    a 
   
    galla 
   
    l'Arcivescovo 
   
    Armeno, 
   
    a 
   
    cui 
   
    regala 
   
    i 
   
    D. 
   
    30 
   
    imprestati 
   
    dal 
   
    monsignore, 
   
    ed 
   
    anche 
   
    il 
   
    pegno; 
   
    e 
   
    soprapid 
   
    10 
   
    fiorini: 
   
    peccato 
   
    che 
   
    non 
   
    ne 
   
    cita 
   
    il 
   
    nome, 
   
    ma 
   
    è 
   
    assai 
   
    notevole 
   
    la 
   
    semplice 
   
    appellazione 
   
    di 
   
    Arcivescovo 
   
    degli 
   
    Armeni, 
   
    quasi 
   
    che 
   
    questi 
   
    avessero 
   
    a 
   
    Venezia 
   
    o 
   
    in 
   
    qualunque 
   
    parte 
   
    d'Italia 
   
    un 
   
    loro 
   
    proprio 
   
    vescovo; 
   
    sappiamo 
   
    d'altronde 
   
    che 
   
    in 
   
    fatti 
   
    vi 
   
    era 
   
    a 
   
    quei 
   
    tempi 
   
    un 
   
    Vescooo 
   
    d'Ilalia 
   
    armeno 
   
    di 
   
    nome 
   
    Tommaso, 
   
    il 
   
    qualo 
   
    una 
   
    volta 
   
    mandava 
   
    da 
   
    Venezia 
   
    al 
   
    suo 
   
    Patriarca 
   
    (Costan. 
   
    tino) 
   
    certe 
   
    porgamene, 
   
    e 
   
    poi 
   
    moriva 
   
    e 
   
    veniva 
   
    sepolto 
   
    a 
   
    Perugia 
   
    (l'anno 
   
    1385). 
   
    Essendovi 
   
    un 
   
    intervallo 
   
    di 
   
    44 
   
    anni 
   
    fra 
   
    le 
   
    dato 
   
    mortuarie 
   
    del 
   
    vescovo 
   
    Tommaso 
   
    e 
   
    di 
   
    Maria, 
   
    è 
   
    probabile 
   
    che 
   
    fosse 
   
    un 
   
    altro 
   
    vescovo 
   
    a 
   
    cui 
   
    lasciava 
   
    non 
   
    solamente 
   
    i 
   
    suoi 
   
    debiti 
   
    e 
   
    una 
   
    somma, 
   
    ma 
   
    si 
   
    noti 
   
    bene, 
   
    anche 
   
    tre 
   
    Padoni; 
   
    e 
   
    de 
   
    aveva 
   
    altri 
   
    Maria, 
   
    perchè 
   
    lascia 
   
    uno 
   
    al 
   
    prete 
   
    Giacomo, 
   
    uno 
   
    a 
   
    D. 
   
    Francisco 
   
    Custode 
   
    di 
   
    S. 
   
    Marco, 
   
    e 
   
    un 
   
    altro 
   
    in 
   
    pro 
   
    della 
   
    sua 
   
    anima: 
   
    dietro 
   
    questi 
   
    saperbi 
   
    uocelli 
   
    venivano 
   
    senza 
   
    dubbio 
   
    più 
   
    comuni 
   
    dallo 
   
    bassa 
   
    corto 
   
    della 
   
    buona 
   
    massera, 
   
    la 
   
    quale 
   
    ordina 
   
    di 
   
    farne 
   
    un'ecatombe, 
   
    un 
   
    agape 
   
    nel 
   
    giorno 
   
    della 
   
    sua 
   
    morte: 
   
    e 
   
    «De 
   
    omnibus 
   
    meis 
   
    galinis 
   
    fiat 
   
    una 
   
    charitas». 
   
    Un 
   
    altra 
   
    carità 
   
    ancora 
   
    di 
   
    10 
   
    D. 
   
    per 
   
    la 
   
    sua 
   
    anima, 
   
    seconco 
   
    l'ordinazione 
   
    dei 
   
    suoi 
   
    commissari: 
   
    similmente 
   
    ordina 
   
    di 
   
    fare 
   
    del 
   
    residuo 
   
    dei 
   
    suoi 
   
    effetti; 
   
    e 
   
    cið 
   
    mostra 
   
    che 
   
    non 
   
    avendo 
   
    altro 
   
    propinquo, 
   
    faceva 
   
    erede 
   
    l'anima 
   
    sua. 
   
    - 
   
    Era 
   
    per 
   
    altro 
   
    conveniente 
   
    destinare 
   
    qualche 
   
    cosa 
   
    anche 
   
    per 
   
    il 
   
    suo 
   
    corpo 
   
    esanime; 
   
    ed 
   
    ecco 
   
    che 
   
    ordina 
   
    – 
   
    e 
   
    afferma 
   
    ciò 
   
    che 
   
    poco 
   
    prima 
   
    cer 
   
    cavamo, 
   
    cioè 
   
    che 
   
    c'era 
   
    un 
   
    cimitero 
   
    armeno 
   
    a 
   
    S. 
   
    Giorgio 
   
    – 
   
    là 
   
    fra 
   
    i 
   
    suoi 
   
    nazionali 
   
    voleva 
   
    Maria 
   
    riposare 
   
    per 
   
    sempre, 
   
    lasciando 
   
    a 
   
    quei 
   
    religiosi 
   
    Benedettini 
   
    2 
   
    D. 
   
    per 
   
    messe, 
   
    e 
   
    un 
   
    gran 
   
    Doppiere 
   
    per 
   
    ac 
   
    cender.
   
    candele 
   
    davanti 
   
    al 
   
    Santissimo: 
   
    «Pro 
   
    illuminazione 
   
    Corporis 
   
    Cristi»: 
   
    ne 
   
    ordinava 
   
    un 
   
    altro 
   
    simile 
   
    per 
   
    la 
   
    chiesa 
   
    di 
   
    S. 
   
    Giuliano. 
  
 
   
    Queste 
   
    ultime 
   
    disposizioni 
   
    della 
   
    nostra 
   
    testatrice 
   
    dimostrano 
   
    indirettamente 
   
    che, 
   
    benchè 
   
    ci 
   
    fossero 
   
    preti 
   
    e 
   
    vescovi 
   
    Armeni 
   
    a 
   
    Venezia, 
   
    non 
   
    si 
   
    celebrava 
   
    allora 
   
    messa 
   
    nell'ospizio 
   
    armeno, 
   
    o 
   
    che 
   
    vuol 
   
    dir 
   
    lo 
   
    stesso, 
   
    non 
   
    vi 
   
    era 
   
    stabilita 
   
    cappella 
   
    regolare: 
   
    e 
   
    se 
   
    quei 
   
    due 
   
    Frati 
   
    armeni 
   
    beneficiati 
   
    (Vielmo 
   
    e 
   
    Ezechiele), 
   
    erano 
   
    sacerdoti 
   
    come 
   
    è 
   
    molto 
   
    probabile, 
   
    doveano 
   
    celebrare 
   
    in 
   
    qualun 
   
    que 
   
    altra 
   
    chiesa. 
   
    E 
   
    ancora 
   
    da 
   
    notare 
   
    che 
   
    non 
   
    solamente 
   
    non 
   
    si 
   
    parla 
   
    nel 
   
    testamento 
   
    di 
   
    S. 
   
    Croce 
   
    degli 
   
    Armeni 
   
    (ricordata 
   
    nei 
   
    secoli 
   
    posteriori) 
   
    ma 
   
    neanche 
   
    di 
   
    quei 
   
    frati 
   
    Armeni 
   
    di 
   
    S. 
   
    Giov. 
   
    Battista; 
   
    o 
   
    perchè 
   
    non 
   
    erano 
   
    ancora 
   
    stabiliti 
   
    a 
   
    Venezia, 
   
    o 
   
    perchè 
   
    quei 
   
    due 
   
    nominati 
   
    (Vielmo 
   
    e 
   
    Ezechiele) 
   
    erano 
   
    appunto 
   
    di 
   
    quelli 
   
    di 
   
    8. 
   
    Giov. 
   
    Batta; 
   
    altrimenti 
   
    non 
   
    poteva 
   
    dimenticarli 
   
    l'ingevus 
   
    Maria 
   
    armina 
   
    massera 
   
    della 
   
    casa 
   
    degli 
   
    Armeni; 
   
    alla 
   
    cui 
   
    buon’anima 
   
    ed 
   
    a 
   
    quelle 
   
    che 
   
    seco 
   
    lei 
   
    dormono 
   
    nelle 
   
    placide 
   
    ombre 
   
    dell'isola 
   
    benedettina 
   
    sia 
   
    sempre 
   
    pace! 
   
    Egualmente 
   
    a 
   
    quelle 
   
    anime 
   
    dei 
   
    loro 
   
    antichi 
   
    corrispondenti; 
   
    che 
   
    per 
   
    i 
   
    capriciosi 
   
    destini 
   
    del 
   
    mondo, 
   
    emigrati 
   
    dalle 
   
    patrie 
   
    onde 
   
    di 
   
    questa 
   
    vezzosa 
   
    Venezia 
   
    lasciarono 
   
    i 
   
    loro 
   
    avanzi 
   
    terreni 
   
    all'ombra 
   
    (pur 
   
    troppo 
   
    sparita) 
   
    di 
   
    un 
   
    al 
   
    tro 
   
    8. 
   
    Marco, 
   
    sulle 
   
    spiaggie 
   
    ormai 
   
    deserte, 
   
    abbandonate 
   
    insel 
   
    vatichite 
   
    dell'alleata 
   
    Armeno-Cilicia, 
   
    sia 
   
    Pace! 
  
 
  
  
   
  
    
   
      
       [1]           
     
      Sentiamo 
     
      lo 
     
      stesso 
     
      Polo. 
     
      « 
     
      Il 
     
      prefato 
     
      Legato 
     
      eletto 
     
      Papa, 
     
      o 
     
      so 
     
      misse 
     
      nome 
     
      Gregorio 
     
      Decimo; 
     
      qual 
     
      considerando 
     
      che 
     
      al 
     
      presente 
     
      che 
     
      l' 
     
      era 
     
      fatto 
     
      n 
     
      papa, 
     
      poteva 
     
      amplamente 
     
      soddisfar 
     
      alle 
     
      dimando 
     
      del 
     
      Gran 
     
      Chan, 
     
      spaced 
     
      „ 
     
      immediate 
     
      sue 
     
      lettere 
     
      al 
     
      Re 
     
      d'Armonia, 
     
      dandoli 
     
      nuova 
     
      della 
     
      sua 
     
      elettion, , 
     
      et 
     
      pregandolo 
     
      che 
     
      se 
     
      li 
     
      duoi 
     
      ambassadori 
     
      che 
     
      andavano 
     
      al 
     
      Gran 
     
      Chan 
     
      non 
     
      fossero 
     
      partiti, 
     
      si 
     
      facesse 
     
      ritornare 
     
      a 
     
      lui. 
     
      Queste 
     
      lettere 
     
      le 
     
      trovarono 
     
      ancora 
     
      in 
     
      Armenia: 
     
      li 
     
      quali 
     
      con 
     
      grandissima 
     
      allegrezza 
     
      volsoro 
     
      tornare 
     
      m 
     
      in 
     
      Acri; 
     
      et 
     
      per 
     
      il 
     
      detto 
     
      Re 
     
      li 
     
      fu 
     
      data 
     
      una 
     
      galea 
     
      et 
     
      un 
     
      ambassador, 
     
      che 
     
      n 
     
      si 
     
      allegrasso 
     
      con 
     
      il 
     
      nuovo 
     
      Pontefice: 
     
      alla 
     
      presenza 
     
      del 
     
      quale 
     
      ginnti, 
     
      the 
     
      rono 
     
      di 
     
      quello 
     
      ricevuti 
     
      con 
     
      grandi 
     
      honori".
    
   
   
  
    
   
      
       [2]           
     
      La 
     
      capitale 
     
      del 
     
      Re 
     
      Armeno 
     
      era 
     
      e 
     
      fu 
     
      sempre 
     
      conosciuto 
     
      col 
     
      nome 
     
      di 
     
      Sis 
     
      o 
     
      rare 
     
      volte 
     
      Sissuan.
    
   
   
  
    
   
      
       [3]           
     
      Veggui 
     
      nel 
     
      Cartulaire, 
     
      pag. 
     
      136.
    
   
   
  
    
   
      
       [4]           
     
      Frescobaldi 
     
      Nicold 
     
      e 
     
      Gucci 
     
      Giorgio, 
     
      nei 
     
      loro 
     
      Viaggi 
     
      in 
     
      Terra 
     
      Santa. 
     
      Ultimamente 
     
      furono 
     
      fatto 
     
      al 
     
      Cairo 
     
      indagini 
     
      e 
     
      scavi 
     
      nell'antica 
     
      chiesa 
     
      ove 
     
      supponovasi 
     
      esser 
     
      sepolta 
     
      questo 
     
      Regina 
     
      Armona; 
     
      ma 
     
      non 
     
      si 
     
      trovo 
     
      traccia. 
     
      È 
     
      da 
     
      credere 
     
      che 
     
      Loone 
     
      V 
     
      tornato 
     
      alla 
     
      liberté, 
     
      abbia 
     
      fatto 
     
      traspor 
     
      tare 
     
      i 
     
      resti 
     
      della 
     
      compagna 
     
      de' 
     
      suoi 
     
      amori 
     
      e 
     
      dolori, 
     
      o 
     
      a 
     
      Gerusalemme 
     
      o 
     
      in 
     
      Occidente, 
     
      benchè 
     
      non 
     
      ne 
     
      parlino 
     
      ne 
     
      i 
     
      cronistri 
     
      che 
     
      ci 
     
      hanno 
     
      tramandate 
     
      tanto 
     
      notizie 
     
      intorno 
     
      a 
     
      lui, 
     
      né 
     
      la 
     
      Cronica 
     
      d' 
     
      Armenia 
     
      del 
     
      Dardel 
     
      rocento 
     
      monte 
     
      scoperta, 
     
      che 
     
      ha 
     
      scritto 
     
      lungamento 
     
      del 
     
      regno, 
     
      della 
     
      schiavitù 
     
      e 
     
      della 
     
      liborazione 
     
      di 
     
      Loone, 
     
      ma 
     
      che 
     
      non 
     
      parla 
     
      ponto 
     
      della 
     
      morte 
     
      della 
     
      Regina.
    
   
   
  
    
   
      
       [5]           
     
      L'erudito 
     
      D. 
     
      Rossi 
     
      citando 
     
      l'accidente, 
     
      ta 
     
      questa 
     
      riflessione : 
     
      “Per 
     
      antico 
     
      Privilegio 
     
      i 
     
      mercanti 
     
      Armoni 
     
      dimoranti 
     
      in 
     
      Venezia 
     
      avevano 
     
      il 
     
      loro 
     
      cimitero 
     
      d' 
     
      intorno 
     
      al 
     
      Campanile 
     
      di 
     
      8. 
     
      Giorgio. 
     
      Veggonsi 
     
      ancora 
     
      alcune 
     
      lapidi 
     
      con 
     
      iscrizioni 
     
      in 
     
      quel 
     
      linguaggio 
     
      formate: 
     
      ma 
     
      molte 
     
      altre 
     
      furono 
     
      c& 
     
      nato. 
     
      posto 
     
      appanto 
     
      nella 
     
      fondamenta 
     
      del 
     
      nuovo 
     
      companile. 
     
      Potrebbe 
     
      sac 
     
      codere 
     
      che 
     
      scuoprendosi 
     
      nei 
     
      secoli 
     
      futari, 
     
      facessero 
     
      impazzire 
     
      qualche 
     
      antiquario 
     
      n. 
     
      Cicogna, 
     
      Inscriz. 
     
      Venez. 
     
      IV. 
     
      216. 
    
                
     
      Questo 
     
      celebre 
     
      autore 
     
      delle 
     
      Insorizioni 
     
      cita 
     
      da 
     
      an'opera 
     
      manoscritta 
     
      di 
     
      D. 
     
      Marco 
     
      Valle 
     
      (De 
     
      Monasterio 
     
      di 
     
      S. 
     
      Giorgio) 
     
      la 
     
      caduta 
     
      della 
     
      campana : 
     
      " 
     
      Anno 
     
      1698 
     
      cocidit 
     
      campana 
     
      maxima 
     
      super 
     
      marmoria 
     
      lapides 
     
      ubi 
     
      Arme 
     
      dioram 
     
      sopultura".
    
   
   
  
    
   
      
       [6]           
     
      Lo 
     
      molto 
     
      scritture 
     
      di 
     
      quel 
     
      tempo, 
     
      e 
     
      pid 
     
      recenti 
     
      ancora, 
     
      si 
     
      vede 
     
      il 
     
      nome 
     
      Armono 
     
      scritto 
     
      Armino, 
     
      o 
     
      qualche 
     
      volta 
     
      Brmeno, 
     
      Ermenia. 
     
      Ma 
     
      è 
     
      più 
     
      notevole 
     
      (diciamo 
     
      di 
     
      passaggio) 
     
      in 
     
      Venezia 
     
      l'uso 
     
      del 
     
      nome 
     
      Armenia 
     
      come 
     
      nome 
     
      proprio 
     
      o 
     
      battesimalo 
     
      posto 
     
      allo 
     
      bambine: 
     
      nei 
     
      Registri 
     
      di 
     
      Battesimi 
     
      e 
     
      di 
     
      matrimoni 
     
      delle 
     
      chiese, 
     
      dalla 
     
      metà 
     
      del 
     
      secolo 
     
      XVI 
     
      alla 
     
      metà 
     
      del 
     
      XVI, 
     
      se 
     
      ne 
     
      trovarono 
     
      oltre 
     
      a 
     
      quaranta 
     
      esempi, 
     
      senza 
     
      confonderli 
     
      col 
     
      nome 
     
      Arminia 
     
      o 
     
      Erminia.
    
                
     
      Non 
     
      potrà 
     
      anche 
     
      questo 
     
      servire 
     
      per 
     
      indizio 
     
      d'amicizia 
     
      e 
     
      di 
     
      simpatia 
     
      fra 
     
      i 
     
      Veneziani 
     
      e 
     
      i 
     
      loro 
     
      ospiti 
     
      commercianti?