LE
RELAZIONI
DELLA
REPUBBLICA
DELLA
CORTE
DI
SIS
Abbiamo
notata
l'origine
delle
relazioni
della
Repubblica
veneta
col
nuovo
regno
degli
Armeni
di
Cilicia,
cominciate
sot
to
i
governi
d'Enrico
Dandolo
e
di
Leone
il
Magnifico,
salutate
e
assodate
col
Privilegio
di
questo,
il
quale
divenne
poi
il
pro
totipo
di
molti
altri
trattati
che
nel
corso
di
un
secolo
e
mezzo
si
rinnovarono
ad
ogni
nuovo
regno,
e
qualche
volta
si
ripeteva
no
sotto
uno
stesso
regnante,
come
abbiamo
veduto
sotto
Hethum,
successore
di
Leone
negli
anni
1245,
1261:
e
benchè
non
se
ne
abbia
prova,
si
deve
tener
per
certo
che
prima
di
questi
due
ne
abbia
emapato
uno
nell'ascendere
al
trono
reale,
nell'anno
1226,
sotto
la
tutela
del
suo
potente
e
avveduto
padre
Costanti
no
detto
il
Bailo
e
Principe
de
principi.
Ricordammo
anche
il
Privilegio
di
Leone
II
nell'anno
della
sua
incoronazione
(1271);
e
siccome
nel
1288,
penultimo
anno
del
regno,
ne
emand
uno
per
i
Genovesi
assegoando
minutamente
le
tasso
per
ciascun
genere
di
merci
nell'entrata
e
nell'uscita
dallo
stato,
è
molto
verosi
mile
che
abbia
fatto
egualmente
per
i
Veneziani,
e
forse
ante
riormente,
quando
cioè
il
Bailo
veneto
per
ordine
del
suo
go
verno
(10
agosto,
1287)
dovea
presentarsi
per
un
affare
(ignoto
a
noi)
di
certo
Giovanni
Captoli
(31).
Si
sa
pure
che
l'anno
1284
per
consenso
del
Maggior
Consiglio
(12
agosto),
il
Bailo
di
8.
Giovanni
d'Acri
vendette
al
nostro
Re
una
tarita
al
prezzo
di
800
bisanzi,
(24).
Sotto
Leone
II,
l'anno
stesso
in
cui
emanava
il
suo
Privi.
legio
a
favore
dei
Veneziani
(1271),
il
famosissimo
loro
viaggiatore
Marco
Polo
si
trovava
nell'Armenia
col
padre
e
collo
zio;
e
pare
che,
per
temperare
il
lungo
tedio,
aspettando
l'elezione
del
nuovo
l'apa,
si
divertisse
ool
paragonare
il
va
o
vieni
delle
carovane
di
quel
neonato
porto
armeno,
Ayazzo,
con
quello
del
la
sua
incomparabile
patria
(Venezia);
come
anche
i
racconti
del
suo
genitore,
con
quelli
del
Re
Aethum
e
del
fratello
di
quest'ul
timo,
Sempad
il
Contestabile,
sulle
condizioni
e
meraviglie
di
quei
lontani
paesi
orientall,
i
quali
fra
pochi
anni
dovevano
essere
da
lui
visitati,
e
mirabilmente
descriti.
Si
può
dire
che
da
quel
porto
d'Ayazzo,
Marco
prese
il
suo
slancio,
imbarcato
sopra
un
bastimento
armeno,
e
condotto
a
S.
Giovanni
d'Acri
a
prov
vedersi
della
benedizione
del
nuovo
Papa
Gregorio
[1],
per
il
suo
sempre
memorabile
viaggio:
la
cui
descrizione,
come
ognuno
sa,
comincia
appunto
colla
partenza
da
Ayazzo;
e
quantunque
no
tissima
non
si
può
resistere
al
desiderio
di
ripetere
qui
il
preomio.
«Per
dar
principio
a
Darrar
delle
provincie
che
M.
Marco
Polo
ha
viste
nell'Asia,
delle
cose
degne
di
notizia,
che
in
quelle
ha
ritrovate,
dico
che
sono
due
Armenie,
una
detta
Minore
e
l'altra
Maggiore.
Del
Reame
dell'Armenia
Minore
è
signore
un
Re
che
abita
in
una
città
detta
Sebastoz
[2].
Sopra
il
mare
è
una
città
detta
La
Giazza
terra
di
gran
traffico;
al
suo
porto
vengono
molti
mercanti
da
Venezia,
da
Genova
e
da
molte
altre
regioni,
con
molte
mercanzie
di
diverse
specie ;
panni
di
seta
e
di
lana
e
di
altre
preziose
ricchezze ;
ed
anco
quelli
che
vogliono
entrare
più
dentro
nelle
terre
di
Levante,
vanno
primieramente
al
detto
porto
di
Giazza
» .
Morto
Leone
II
(
6
febb .
1289),
gli
successe
il
primogenito
fra
i
sette
suoi
figli
viventi,
Hethum
II,
il
quale
praticò
una
vita
singolare ;
sovrano,
soldato
e
monaco
in
pari
tempo :
possiamo
dire
anche
letterato
e
sempre
in
abilità.
Avendo
egli
particolare
divozione
a
S.
Francesco
d'Assisi
ed
al
suo
ordine,
fino
della
tenera
età
aveva
concepito
il
disegno
d'ascriversi,
e
lo
compi
prendendo
nome
di
Fra
Gioranni;
ma
non
rinunziò
affatto
al
regno,
perchè
conosceva
bene
il
carattere
dei
fratelli
minori ,
bollenti
di
sangue
e
smaniosi
di
gloria ;
i
quali
aspirando
alla
successione,
potevano
metterla
in
pericolo,
siccome
pur
troppo
ne
diedero
prova
in
seguito.
Hethum
assunse
ad
interim
il
regno,
ma
non
volle
mai
incoronarsi ;
secondo
i
tempi
e
gli
eventi,
ora
saliva
sul
trono,
ora
vi
facevasalire
uno
dei
fratelli,
e
da
ultimo
il
nipote
(Leone
III
) ;
ora
si
ritrovava
in
un
convento
dei
Frati
Minori,
indossandone
la
grossa
tonaca ;
ed
ora
si
slanciava,
vestito
dello
stesso
abito
monacale,
contro
i
nemici
della
fede
e
del
regno
paterno,
perseguitandoli
fin’a
Damasco
ed
al
Cairo,
ed
inoltrandosi
fin
alla
corte
del
Chan
Tartaro,
come
altre
volte
fin'
a
Gerusalemme.
In
tal
costume
religioso-militare,
bizzarro
agli
occhi
del
secolo,
si
trova
dipinto
in
vari
monasteri
e
chiese
dell'ordine
Francescano.
Abbiamo
visto
noi
pure,
e
forse
si
vede
qui
(a
Venezia)
a
San
Giobbe,
un
ritratto
suo
in
una
cella
di
quell'antico
convento
francescano,
e
per
caso
singolare
l'unico
che
rimane
fra
il
gran
numero
che
ce
n'era
prima ,
perchè
il
custo
de
del
locale
(
quando
fu
destinato
per
Orto
botanico)
sentendo
simpatia
a
quel
Beato,
non
permise
che
fosse
cancellato
come
il
resto ;
tenendo
per
tradizione
che
lo
stesso
fra
Giovanni
Hethum
avesse
un
tempo
abitato
in
quella
cella.
In
fatti
si
tiene
che
per
la
sua
tragica
morte
(la
quale
sarà
citata
in
seguito),
per
la
sua
fede
e
i
suoi
costumi,
fosse
il
nostro
Re
considerato
fra
i
Beati
di
quell'
ordine
ch'egli
ammiro,
venendo
reciprocamente
ammirato.
Speriamo
venia
a
questa
digressione
il
cui
scopo
era
di
indaga
re
se
anche
il
nostro
Re
frate
avesse
privilegiata
la
repubblica
Veneta
con
un
suo
editto,
nè
citato
espressamante
nè
conservato
negli
Archivi,
ma
che
non
dimeno
pare
indubitabile:
perchè
in
un
decreto
del
Maggior
Consiglio
(molto
posteriormente
al
fatto)
si
ordina
(21
aprile,
1310)
il
pagamento
dei
crediti
del
Bailo
Pan
crazio,
fra
i
quali
erano
300
deremi
di
spese,
per
ricevere
il
nuo
vo
privilegio
del
Ro
(46).
Ora
abbiamo
trovato
nella
serie
dei
Baili
questo
Pancrazio
negli
anni
1289-90,
ossia
appunto
nel
pri
mo
anno
del
governo
di
Hethum
II;
e
siccome
il
Pancrazio
era
licenziato
dal
Bailato
il
25
luglio
1290
(37),
è
da
credere
che
dopo
la
morte
di
Leone
II,
ma
innanzi
al
1290,
fosse
rinnovato
il
privilegio
ai
Veneziani.
La
quale
ipotesi
viene
ancora
confer
mata
dal
fatto
che
i
Genovesi
pure
avevano
ricevuto
nuovo
Pri
vilegio
o
conferma
nell'anno
1289
(come
ci
assicurano
i
loro
istorici),
per
mano
del
loro
ambasciatore
Benetto
Zaccaria,
ben
che
non
si
trovi
adesso
nè
la
copia
di
questo
privilegio
nè
di
quello
concesso
ai
Catalani
l'anno
1293.
L'anno
terzo
del
regno
di
Hethum
(1291,
luglio),
mandavasi
a
lui
e
al
Re
di
Cipro
un
nuovo
ambasciatore
dalla
repubblica
(38);
non
se
ne
sa
la
causa,
ma
pud
supporsi
fra
le
altre
il
movimento
dell'esercito
Egiziano;
il
quale
finalmente
debello
l'ultimo
baluardo
dei
Crociati,
S.
Giovanni
d'Acri,
e
minacciava
i
sopradetti
due
regni
di
Cipro
e
d'Armenia.
Hethum,
da
politico
circospetto,
cedendo
alcuni
punti
nell'estremità
del
suo
paese
e
confinanti
all'
egiziano,
salvo
il
resto;
ed
accomodando
le
cose
interne,
ne
confert
l'amministra
zione
al
fratello
suo
secondogenito,
Thoros,
o
si
ritird
fra
i
suoi
Francescani
nel
1293,
l'anno
stesso,
in
cui
accadde
la
rotta
del
l'armata
veneta
nelle
aoque
d'
Ayazzo
e
cagiond
la
perturbazione
delle
fin
allora
pacifiche
relazioni
commerciali
dei
Veneziani
nel
l'Armeno-Cilicia.
Per
la
qual
cosa
si
discorreva
spesso
nei
con
sigli
della
repubblica
e
decretavasi
(24
nov.
1294)
che
dopo
i
fatti
sinistri
e
la
battaglia
navale
in
quel
paese,
i
mercanti
salvati
potessero
ritornare
a
Venezia
con
qualsiasi
nave
(47);
e
alcuni
mesi
dopo
(25
aprile,
1295)
si
dava
commissione
a
tre
Savi
eletti,
di
esaminare
bene
l'affare,
sotto
multa
di
25
lire,
secondo
l'av
viso
del
Doge
e
suoi
consiglieri
(50).
Lo
stesso
si
ordinava
l'anno
seguente
(15
Feb.
1296),
cioè
di
eleggere
tre
esaminatori
dal
numero
dei
40
consiglieri
(51).
Nei
pochi
anni
del
suo
governo
(1293-6)
Thoros
sostituito
ad
Hethum,
intitolato
Signore
o
Barone
d'
Armenia,
pare
aver
accordato
ai
Veneziani
di
stabilirsi
a
Tarso
e
a
Mamestia,
come
si
può
dedurre
dal
Privilegio
del
suo
figlio
Leone
III
(5).
L'anno
1296
Thoros
accompagno
il
fratello
religioso
che
re
cavasi
&
Costantinopoli
8
salutare
la
sorella
Rila
sposats
al
figlio
dell'imperatore,
e
cold
Hethum
procurd
come
amico
comune,
di
cementar
la
pace
fra
Genovesi
e
Veneziani.
Non
è
l'unica
volta
che
i
sovrani
Armeni
si
prestassero
quali
mallevadori
in
favore
dei
Veneziani
e
presso
una
corte
più
alta,
cioè
quella
di
Roma;
come
fece
nel
1310
un
altro
fratello
di
Hethuin
(Ossin),
suppli
cando
il
Pontefice
di
levar
l'interdetto
pronunciato
contro
la
re
pubblica,
e
cið
si
manifesta
dalla
risposta
(severa
in
riguardo
ai
Veneti)
data
dal
Papa
Clemente
V.
li
4
aprile,
1310
(366).
Frattanto
mentre
Hethum
e
Thoros
si
trattenevano
a
Costan.
tinopoli,
un
altro
loro
fratello
più
baldo
ed
audace
(Sombate),
trovo
maniera
di
cattivarsi
non
solamente
l'esercito
e
i
Baroni,
ma
anche
il
Clero,
e
di
consenso
del
gran
Chan
di
Tartaria,
fu
solennemente
incoronato
ro
degli
Armeni,
e
come
sovrano
di
tutti
nel
ritorno
dei
suoi
fratelli
maggiori,
intercettando
loro
la
strada,
li
prese,
e
barbaramente
tolse
la
luce
degli
occhi
a
Hethum
(il
quale
la
ricuperd
poi
miracolosamente),
ed
&
Thoros
più
che
la
luce,
la
vita!
Abbiamo
veduto
altrove
(pag.
27)
un
contratto
di
questo
Re
Sembate
con
un
mercante
veneto,
Michele
Lo
Tataro
(275),
per
mezzo
del
suo
ambasciatore
&
Venezia
negli
anni
1297-8.
Intanto
Hethum
sano
di
occhi
e
di
mente,
cacciato
l'usur
patore
dal
trono
prese
le
redini
del
governo
ed
alleatosi
coi
Tar
tari
cinse
ancora
una
volta
la
spada
per
combattere
gli
Egiziani,
perseguitandoli,
fin
à
un
loro
fortissimo
castello,
e
spinse
la
spada
dentro
la
porta
ferrata,
lasciando
là
trofeo
memorabile.
Iu
diverso
modo
nel
ritorno
venuto
&
Gerusalemme,
vi
depose
lo
scettro
in
offerta
al
sepoloro
del
Redentore.
Arrivato
poi
al
suo
paese
e
messo
tutto
in
ordine,
alzd
al
trono
il
tenero
fanciullo
Leone
III
figlio
dell'infelice
Thoros,
desti
nandogli
per
isposa
la
giovine
Agnes
iglia
della
propria
sorella
Zablun
e
di
Amalrico
principe
di
Tiro,
fratello
del
Re
di
Cipro.
Dopo
tutto
ciò
rientrava
Hethum
(1301)
nel
suo
tranquillo
ritiro
claustrale.
In
questo
anno
(1301)
la
repubblica
aveva
non
so
che
que
stione
col
Barone
Ossin,
probabilmente
fratello
di
Hethum,
per
la
quale
ordinava
(1
ottob.
)
al
Bailo
Siniolo
di
contentarlo
scrivendogli
cortesamente
(256).
Più
importante
fu
la
raccomandazione
fatta
l'an
no
seguente
(1
settem.
1302)
a
Teofilo
Mocenigo,
che
nell'
andar
in
Armenia
pregasse
il
Re
od
il
Rettore
d'Ayazzo
di
don
intro
durre
novità
nel
trattamento
coi
mercatanti
(257).
Ma
una
novità
più
grande
e
mal'augurata
fecero
gli
stessi
Veneziani
con
l'
assalto
e
la
presa
della
fortezza
di
terra
d'Ayazzo,
come
si
è
detto
più
sopra,
donde
nacque
non
poco
malumore
e
controversia
fra
i
due
popoli
alleati,
finchè
l'anno
1307
(20
marzo)
il
giovine
Re
Leone
III
emand
un
nuovo
editto
di
previlegi
per
i
Veneziani
(8).
Frattanto
soffriva
anche
la
repubblica
e
si
facevano
spesso
consulti
per
mandar
ambasciate
a
spianare
la
difficoltà
(111:
113),
e
per
le
spese
del
viaggio
far
imprestito
di
due
soldi
per
cento
(60).
Eletto
ambasciatore
(2
agosto,
1306)
Giacomo
Quirini
vi
ri
punziava
a
cadeva
sotto
pena
di
multa
di
20
soldi
de
grossi,
e
veniva
poi
graziato
(61).
Ordinavasi
(29
marzo
1307)
nuovo
im
prestito
di
5
soldi
%,
se
non
fosse
suficiente
il
2%
della
tas
sa
doi
mercanti
nell'Armonia
(63),
ove
fu
mandato
in
ambasciata
Dolfino
Dolin,
mentre
vigeva
ancora
a
Venezia
la
questione
per
trovar
modo
di
soluzione
dell'intrigo;
e
perciò
venivano
(18
marzo,
1307)
eletti
5
sindaci
(62).
Era
raccomandato
all'ambasciato
re
di
far
risarcire
il
dando
sofferto
dai
Veneziani,
di
scemare
il
oredito
di
20,
000
deremi
di
Marino
Signolo,
e
di
40,
500
der.
di
Valterone
de
la
Splasa
(114),
di
domandar
l'esecuzione
della
tas
sa
del
4%
e
di
ristabilire
l'ordine
antico
(115).
Fintantochè
durava
la
dissensione
fu
impedito
il
navigare
verso
Armenia
(117).
Riusci
all'
ambasciatore
Dolfia
dopo
aver
indennizato
i
dan
neggiati
di
Ayazzo,
d'impetrare
il
nuovo
privileggio
dal
giovi
ne
Re,
scritto
in
francese,
e
sul
tenore
di
quello
dato
dal
suo
avolo
l'anno
1271,
ristringendo
un
poco
la
libertà
di
Veneziani,
ordinando
che
s'avessero
a
far
conoscere
nella
partenza
dal
paese,
o
obbligando
il
loro
Comune
&
soddisfare
l'armeno
o
lo
stranie
ro
offeso
da
un
veneziano:
il
Bailo,
a
garantire
quelli
de'
suoi
che
venissero
imprestar
moneta
o
di
farli
inscrivere
dal
capita.
oo
d'Ayazzo,
e
dove
si
trovassero
in
altre
città,
il
capitano
del
luogo
dovesse
mandarli
al
Bailo
ed
al
capitano
d'Ayazzo
(8).
Nella
raccolta
detta
Pacia
Forrarese
si
trova
altru
privilegio
già
pubblicato
e
creduto
del
tempo
di
oui
parliamo;
6880
man.
ou
di
data,
di
nome,
e
del
fine,
ed
è
dettato
in
un
italiano
rozzo
o
difficile
a
capire.
Per
socertarsi
dell'
età,
sarebbe
utile
conoscere
quello
di
Tommaso
Bondumier,
ivi
citato;
che
era
venuto
mes.
saggio
&
dimandare
varie
grazie.
Pare
a
me
quasi
certo
che
tale
privilegio
debba
essere
di
data
anteriore
al
1307,
perchè
molti
anni
prima
era
cessato
il
bailato
d'Aori
citato
in
quella
scrittura
anonima;
(dunque
deve
essere
anteriore
all'anno
1291),
è
però
emanato
da
Leone
II
(1270–89)
o
perchè
vi
si
tratta
la
domanda
di
una
chiesa
in
Ayazzo
e
del
promesso
del
Re
di
conce.
derla
quando
venga
a
stabilirsi
il
Bailo;
cosi
pure
si
parla
del
tra
smutamento
d'abitazione
da
Sis
ad
Ayazzo.
In
oltre
vi
si
diman
da
che
il
vicario
d'Antiochia
o
l'arcivescovo
di
Mamestia
curas
sero
i
bisogni
spirituali
dei
Veneziani
in
Ayazzo.
Tutto
ciò,
mo
stra
che
in
quel
tempo
non
vi
era
in
questa
città
nè
chiesa
nè
88
cerdoto
veneto,
come
ve
n'erano
a
Sis
e
a
Mamestia;
e
siccome
nel
Privilegio
del
1271
Leone
II
dice
concedere
una
chiesa
in
Ayazzo,
si
deve
conchiudere
che
questo
privilegio
senza
data
di
cui
discorriamo,
e
in
cui
il
donatore
cita
il
padre
suo
senza
no
minarlo,
deve
essere
anteriore
a
quello
del
1271:
e
giusto
nello
spazio
di
tempo
che
corse
dal
28
ottobre
1270
al
6
maggio
1271,
cioè
in
quei
pochi
mesi
del
governo
di
Leone
prima
che
fos
se
incoronato
e
nominato
effettivamente
Re.
Una
delle
domande
più
importanti
del
messaggio
era
l'e
senzione
di
tansa
(come
era
in
Ayazzo)
in
cinque
altre
città,
Sis,
Mamestia,
Adana,
Tarso
e
Coprestian
che
io
credo
Copitara,
e
che
fu
concessa;
ma
quando
si
dimando
che
la
stessa
esenzio
De
fosse
estesa
anche
pei
casali,
il
sovrano
feoe
distinzione,
es
sendone
alcuni
soggetti
al
Re,
il
quale
poteva
comandar
là,
al
tri
invece
appartenenti
ai
Baroni
e
Cavalieri,
nei
quali
non
po
teva
il
Re
esercitare
il
suo
potere
liberamente.
Lasciamo
a
chi
avrd
la
fortuna
di
leggere
e
di
capire
l'altre
domande
e
risposte
contenute
in
questo
potabile
documento
(5).
Appena
ristabilita
la
buona
armonia
fra
l'Armenia
e
la
re
pubblica,
questa
ordind
regali
per
il
Re
ed
il
Barone
Ossin
suo
zio,
e
se
le
spese
non
si
procurassero
altrimenti,
sieno
tolte
dalla
tassa
1/2
%
(130).
Ma
ecco
che
quasi
nello
stesso
punto
arrivò
la
notizia
del
tragico
fine
del
giovine
Re
armeno
o
del
suo
venerabile
zio
e
reggente
Hethum,
insidiosamente
truci
dati
(17
nov.
1307)
dal
crudele
Tartaro
Bilagù
luogotenente
del
Chan
in
quelle
parti;
ma
venne
egli
pure
ammazzato
per
ordine
del
Chan
ad
istanza
degli
ultimi
due
fratelli
gemelli
di
Hethum,
Ossin
e
Alinac;
i
quali
come
la
loro
nascita
voleva,
e
più
ancora,
si
amavano
svisceratamente,
e
si
offrivano
viceudevolmente
la
co
rona
reale;
ma
essendo
stato
Ossin
il
primo
&
venir
alla
luce,
consenti
&
cingersi
la
coropa
solennemente,
ritornato
che
fu
Alidac
dal
suo
viaggio
alla
corte
del
Tartaro
(1308).
Fu
solle
cita
la
Repubblica
ad
eleggere
invece
di
Dolfino
Dolfin
altro
ambasciatore,
Poscarini
Giovanni
(5
settembre,
1308),
tassando
2
soldi
per
cento
per
le
spese,
valutata
a
19
lire
di
grossi
quelle
dell'ambasciatore,
e
11
L.
de
grossi
per
regalo
al
Re,
oltre
quelli
destinati
per
Alinac
ed
altri
Baroni
(64).
Il
Foscarini
si
trovava
allora
a
Corone;
gli
fu
scritto
(22
settemb.
1308)
da
parte
del
Doge
consigliatolo
a
prepararsi
all'ambasciata,
procurando
l'occorrente
con
imprestito
da
chi
che
sia,
così
veneto
che
straniero,
che
sarebbe
soddisfatto
a
Venezia,
dopo
due
mesi
della
loro
presenza.
Nello
stesso
giorno
scrisse
il
Doge
(Pietro
Gradenigo)
al
Re
Ossin,
raccomandandogli
l'ambasciatore;
e
altrettanto
scrisse
ad
Alinac
(261),
e
con
poca
differenza
a
Bethum
signor
di
Coricos,
il
poto
storico,
il
Marco
Polo
Armeno
e
religioso
Remonstrateuse,
a
un
altro
Hothum
signore
del
castello
Neghir
(creduto
Nogro
o
Negrino
da
Latini),
il
quale
viene
intitolato
Capitano
del
regno
d'Ar
media.
L'ambasciata
fu
ritardata
per
la
malattia
e
la
morte
del
Foscarini,
a
cui
fu
sostituito,
dopo
lungo
corso
di
tempo,
(mag
gio,
1310)
Gregorio
Dolfin
(46);
e
perchè
i
regali
destinati
erano
rimasti
a
Corone,
fu
scritto
(12
mag.
1310)
al
castellano
di
quel
luogo
di
consegnarli
al
Duovo
ambasciatore,
e
di
tenere
in
riserva
gli
effetti
del
defunto
Foscarini
(265).
Scrisse
il
Doge
al
Re
Ossin
(14
maggio,
1310)
raccomandando
il
nuovo
ambasciatore,
ed
in
pari
tempo
Bailo
(267);
al
quale
era
raccomandato
di
diro
&
viva
voce
qualche
cosa
in
particolare.
Scrisse
ancora,
come
la
prima
volta,
ad
altri
dignitari;
tra
i
quali
al
Contestabile
Hethum,
non
solamente
la
credenziale
per
l'amba
sciatore,
ma
ringraziamenti
per
l'affetto
che
portava
questi
a
Venezia,
come
lo
attestavano
il
nobile
Nicolò
Morosini
ed
altri.
Parimenti
si
rivolse
all'altro
Hethum,
signore
di
Negbir
(264).
E
per
togliere
ogni
ostacolo
alla
pace
desiderata,
raccomando
contemporaneamente
al
Bailo
di
Negroponte,
obbligasse
Grioad
chino
Sanudo,
il
quale
con
due
galee
avea
depredato
Armeni
e
Cipriotti,
e
perciò
molti
Veneziani
erano
stati
incarcerati,
a
venire
a
Venezia
e
dar
conto
al
Doge
del
suo
fatto,
altrimenti
sarebbe
processato
(266).
Forse
per
questo
o
per
altro,
venivano
a
Venezia
da
parte
del
nostro
Re
il
milite
Gerardo
e
Nicold
Morosini
in
ambasciata
(14
mag.
1310),
e
ricevevano
le
risposta
del
Doge
da
comunicare
poi
a
vooe
al
Re
(267):
e
perchè,
come
si
è
detto
più
sopra,
(pag.
45)
questi
si
era
prestato
come
interoessore
al
Papa
in
favore
dei
Veneziani,
determind
il
Senato
(7
aprile,
1310)
che
le
dimande
del
Re
esaminate
dal
Consiglio
dei
Dieci,
fossero
con
fermate
come
se
decretato
dal
Maggior
Consiglio
(65).
E
per
portare
al
Re
ciò
che
gli
ora
destinato,
si
commise
all'
ambsoia
tore
armasse
una
tarita
di
20
o
22
marinai
e
non
più
(66);
ma
quegli
avendo
già
noleggiata
una
galea
di
30
o
35
uomini,
si
lascid
ai
Consoli
dei
Marinai
di
permettergli
quest'ultima
im.
barcazione
(70).
Fu
ancora
concesso
all'ambasciatore
di
perce
pire
dalla
tassa
del
1/2%
quel
tanto
che
bastasse
per
il
ristauro
dei
magazzini
e
di
altri
looali
del
comune
de'
suoi
nazionali
nel
l'Armenia
e
darne
conto
(268).
Non
è
da
dubitare
che
la
prima
dimanda
dell'
ambasciatore
al
Re
fosse
la
conferma
dei
Privilegi
dei
suoi
antenati.
Come
di
tanti
altri,
non
c'è
memoria
d'alcan
editto
di
Ossin;
ma
che
abbia
concluso
il
desiderato
Privilegio,
lo
assicura
il
proprio
figlio
(Leone
IV)
in
quello
dell'anno
1321 :
«
Nous
veant
l'
honorable
Privilege
que
notre
père
le
Roy
Osim
«
avoit
ordoné
et
otroié
a
l'honorable
et
puisent
comun
de
«
Venise
».
Credo
cosa
grata
ai
lettori
conoscere
i
titoli,
coi
quali
si
dirigevano
le
lettere
al
Re
e
ai
principi
armeni,
registrati
per
porma
dei
libri
dei
Patti
(274),
e
obe
servino
questi
ad
indicare
la
frequente
corrispondenza
della
repubblica
sotto
i
regni
di
Ossin
e
del
figlio
Leone
IV,
la
quale
viene
confermata
dal
gran
numero
di
ambasciate:
perciocobè
poco
dopo
la
partenza
di
Gr.
Dolin,
nello
stesso
anno
1310
(24
sett.
e
10
ottob.
)
si
decretava
di
ven
dere
i
doni
ricevuti
dal
Re,
drappi
di
seta
e
drappi
d'oro,
e
al
valore
del
prezzo
ricavato
preparare
contracambio
di
regali;
ma
bon
riuscendo
a
questo
scopo,
li
fanno
apprezzare
a
20
lire
di
grossi
e
per
tanti
si
ordina
far
il
cambio
(71.
72).
All'ambasciatore
che
si
preparava
a
partire,
si
permette
(10
luglio
1310)
di
estrarre
560
remi
grandi
e
piccoli
per
armare
due
galee
e
una
nave
(74).
Si
dà
lioonza
al
Bailo
Dolfio
(11
lugl.
1311),
permettendogli
di
ritornare
con
la
galea
di
Bembo
Dardi
(che
doveva
caricare
merci
in
Armenia
e
in
Cipro),
con
obbligo
di
condurre
senza
mercede
il
nuovo
ambasciatore,
che
fu
Nicolò
Morosini
(73),
ri
cordato
nel
decreto
del
10
nov.
1311,
(76).
Di
nuovo
nel
prin
cipio
del
1314
s'inviava
l'altro
ambasciatore
con
presenti
al
Re,
facendo
imprestito
per
mezzo
degli
Ufficiali
del
mare,
ai
quali
si
doveva
poi
restituire
colla
tassa
di
1/2
%
(82).
Pochi
mesi
dopo
(21
luglio
1314)
si
raccomandano
nuovi
regali
al
Re
per
il
valore
di
22
lire
di
grossi
(85);
e
ancora
maggiori,
altri
duo
anni
dopo
(6,
9
settem.
1316),
quando
il
Re
Ossin,
rimasto
vedovo
sposava
Giovanna
o
Irono
figlia
di
Filippo
principe
di
Taranto,
e
perciò
il
valore
dei
regali
si
alzò
a
30
L.
di
grossi,
permetten
dosi
al
Doge
ed
ai
suoi
Consiglieri
d'imprestare
da
chi
gli
sembrasse
meglio
(95.
96),
e
anobe
con
interesse
che
servirebbe
per
il
saldo
d'imprestiti
anteriori
(97).
Nei
titoli
d'alouni
te
sti
perduti
(d'Arohivi)
si
fa
cenno
d'altra
ambasciata
dell'anno
1317
o
1318,
ma
la
si
trattende
per
allora
(143).
Si
ricorda
anche
una
lettera
dogale
mandata
al
Re
per
mezzo
del
Bailo
di
Negroponte
(Fran.
Dandolo),
il
quale
ne
da
conto
al
Doge,
(26
giugno
1318),
parlando
anche
della
cattura
fatta
dai
Genovesi
della
galea
del
Grimani
(280).
Il
Re
Ossin,
questo
amico
dei
Veneziani,
mort
l'anno
1320
(20
luglio),
lasciando
erede
il
figlio
avuto
dalla
prima
moglie,
giovine
di
12
anni,
Leone
IV,
sotto
la
tutela
dei
due
sopracitati
Hethum
e
del
maresciallo
Baldoino.
Ad
esempio
del
padre
coltivo
Leone
IV
l'amicizia
della
Repubblica
oltre
venti
anni,
almeno
per
quanto
dipendeva
da
lui,
perchè
il
suo
regno,
piuttosto
il
tempo,
fu
molto
burrascoso
e
avventuroso.
La
sua
tenera
età,
l'ambizione
del
principe
e
conte
Ossin
signore
di
Coricos,
figlio
di
Aitone
(Hethum)
lo
storico,
che
si
fece
reggento
invece
dei
due
tutori,
nocquero
al
paese
a
oui
yenne
dato
il
colpo
di
grazia
dalle
frequenti
incursioni
degli
eserciti
egiziani,
colla
perdita
fatale
dell'importantissimo
em
porio
d'Ayazzo.
All'anunzio
della
morte
del
Re
Ossin,
la
Repub
blica
trattenne
(8
settem.
1320)
il
nuovo
Bailo
Gior.
Caroso,
che
era
per
partire
per
il
suo
posto
(103),
ed
invece
incarico
(1821)
l'ambasciatore
già
nominato
(139)
che
fu
Michele
Giustiniano,
di
impetrare
dalla
Corte
di
Sis,
l'abolizione
di
alcuni
abusi
nel
procedere
coi
mercanti
Veneziani.
È
un
rimarchevole
documento
l'istruzione
data
a
questo
ambasciatore,
conservata
in
copia
negli
archivi;
con
essa
veniva
in
primo
luogo
dimandata
la
conferma
degli
antichi
Privilegi;
ciò
che
fu
accordato
dal
nuovo
Re,
il
primo
maggio
1321,
con
scrittura
in
lingua
francese.
In
secondo
luogo
si
domandava
li
bera
vendita
per
l'oro
e
l'argento
portato
dai
Veneziani
in
Ar
menia:
il
re
concede
per
l'oro,
ma
vuole
che
la
metà
dell'
ar
gento
si
consegni
alla
sua
zecca,
onde
procacciarsi
il
soldo
pagabile
al
soldano
d'Egitto.
Si
lagnava
dell'altorazione
delle
bilancie
(di
peso):
il
Re
risponde
non
esservi
alterazione
alcuna
se
non
è
colpa
dei
bilanoieri.
Diverse
altre
dimande
da
parte
della
repubblica
vengono
esaudite
dal
Re,
come
per
es.
il
permesso
di
incatenare
le
navi
ai
cerchi
di
ferro
della
fortezza
marittima
di
Ayazzo,
di
scaricare
la
merce
agli
scali
di
detto
luogo,
essendo
insuficiente
lo
stretto
spazio
del
porto;
di
stabilire
un
nuovo
magazzino
presso
il
Cimitoro;
consolare
colla
regia
protezione
l'ar
cidiacono
di
Tarso
Nicolo.
Tutti
questi
capi,
da
prima
segnati
col
piccolo
sigillo
del
Re,
furono
dati
all'ambasciatore,
e
poi
estesi
e
ratificati
coll'
aureo
sigillo,
consegnati
al
Bailo
Caroso,
portati
da
lui
a
Venezia,
e
per
ordine
del
Doge
messi
nelle
Proouratie
coll'
originale
armeno
(11).
Nel
partire
(principio
del
1322)
per
il
suo
posto
dell'Armenia,
il
Caroso
portava
copia
della
scrittura
data
all'ambasciatore
Giustiniani
(104),
come
lo
faceva
il
Bailo
Blasio
Malipiero
l'anno
1328.
È
molto
probabile
che
questi
editi
reali
fossero
sotto
scritti
dai
tutori
di
lui,
i
già
nominati
Hethum
il
senatore,
He
thum
il
senescalco
e
Hethum
il
ciambellano,
come
si
prova
dalle
loro
signature
in
quello
donato
ai
Mompelierini
l'anno
1321
[3].
Benchè
non
si
trovi
aotato,
devono
però
esser
stati
magai
foi
i
doni
inviati
dalla
Repubblica
al
nuovo
Re,
cosi
per
la
sua
incoronazione
che
per
le
nozze,
che
non
tardarono,
secondo
il
costume
di
quel
tempo
nelle
corti
reali,
massime
per
le
mire
ambiziose
del
Conte
di
Coricos,
Ossin,
il
quale
persuase
il
gio
vine
sovrano
di
prender
in
moglie
Alica
ossia
Elisa,
sua
figlia
e
di
lasciargli
prendere
la
di
lui
matrigna,
la
regina
Giovanna.
Con
questo
matrimonio
egli
divenne
veramente
patrigno
del
Re,
e
perciò
lo
si
chiama
sempre
il
Bailo,
superiore
a
tutti
gli
altri
Baroni;
e
abusando
della
minorità
di
Leone,
si
fece
come
asso
luto
governatore
del
regno,
ed
anche
usurpatore,
ingrossando
con
la
potenza
i
suoi
domini
e
le
terre,
non
solamente
a
danno
dei
vassalli,
ma
dello
stesso
re,
appropriandosi
oastelli
e
tenute
dei
signori
diseredidati,
che
per
le
leggi
feodali
dovevano
ritor
pare
al
sovrano.
La
potenza
fa
strada
alla
prepotenza.
Ossin,
non
si
sa
la
causa
e
la
maniera,
fece
imprigionare
ed
ammazzare
Zablun
la
zia
del
Re,
unica
superstite
dei
16
figli
e
figlie
di
Leone
II,
quella
orgogliosa
e
magnifica
principessa
di
Tiro,
che
fu
moglie
d'Amalrico
famoso
reggente
di
Cipro,
col
quale
e
dopo
la
morte
del
quale,
fece
tanto
strepito
e
fu
causa
di
tanti
imbarazzi
tra
le
due
corti
d'Armenia
e
di
Cipro,
e
nell'
aula
del
pontefice
roo
mano.
Intanto
Leone
IV,
divenuto
maggiore,
risentito
dei
fatti
del
patrigno,
e
probabilmente
istigato
da
qualche
mal
contento,
ordinò
di
ammazzarlo
in
unione
al
fratello
di
lui
(1329),
come
colpevoli
di
lesa
maestà.
Gl'
interni
trambusti
pur
troppo
s'ac
compagnavano
a
quelli
di
fuori,
e
vacillava
il
regno
dei
Rupe.
piani
per
le
ripetute
scorrerie
degli
Egiziani;
contro
i
quali
il
Papa
sollecitava
inutilmente
i
sovrani
occidentali
in
favore
del
Re
e
del
paese
armeno.
A
questo
scopo
si
dedicò
particolarmente
e
con
molto
zelo
un
celebre
Veneto,
il
Vecchio
Sanudo
Torcello,
l'amico
e
quasi
cooperatore
di
Hethum,
padre
del
sopracitato
disgraziato
Ossin.
Tutti
e
due
(Hethum
e
Sanudo)
miravano
alla
stessa
impresa,
aju
tare
l'Armenia
e
Cipro
e
debellare
l'Egiziano:
a
questo
fine
quegli
scrisse
I
Fiori
della
storia
Orientale
ossia
l'
Istoria
dei
Tartari,
questi
il
Secretum
fidelium
Crucis,
stampato
nella
Raccolta
inti
tolata
Gesta
Dei
por
Francos:
in
calce
dell'opera
del
Sanudo
si
trovano
sue
lettere
dirette
a
diverse
corti
e
persone
illustri,
fra
le
quali
una
scritta
circa
il
1326
al
nostro
Re;
da
essa
impariamo
che
aveva
questi
scritto
al
Sanudo
e
mandato
al
Papa
in
ambasciata
il
Vescovo
di
Caffa
Pera
Taddeo:
e
che
Sanudo,
non
lettere
e
colla
sua
presenza,
esortava
il
Papa,
i
Re
di
Francia
e
d'Inghilterra,
il
Conte
di
Hannover,
ed
altri
principi,
ad
ajutare
gli
Armeni,
e
mandava
al
nostro
Re
un
certo
Ugo
frate
Domeniouno,
per
farlo
consapevole
del
suo
agire
(367).
Chi
vo
lesse
chiarirsi
dei
fatti
in
Oriente
di
quel
tempo,
troverà
rioca
materia
dell'opere
e
nelle
lettere
del
Sapudo.
Ma
per
noi
è
tempo
oramai
di
ritornare
alle
relazioni
più
dirette
della
Repubblica
vepeta
coll'Armenia,
colla
quale
aveva
allora
(1326-7)
una
questione
che
pare
molto
importante
(161),
per
cui
furono
eletti
cinque
savi
(169).
Frequentavano
nello
stesso
tompo
ambasciatori
armeni
alla
corte
papale,
e
sovente
passavano
per
Venezia:
e
venuto
qui
nell'anno
1327
Jacopo
Dragomano
con
certo
Raimondo,
questi
si
fermo
a
Venezia,
mentre
l'altro
coi
compagoi
si
parti
per
Roma.
L'anno
seguente,
partendo
il
nuovo
Bailo
per
l'Armenia,
gli
vende
raccomandato
dalla
Repub
blica
di
passare
per
Cipro
e
parlare
col
Re
di
alouni
affari
pen
denti
(176):
vennero
poi
(1329)
scelti
Savi
per
esaminare
i
fatti
avvenuti
in
quel
paese
e
nell'Armenia
(192):
in
pari
tempo
fu
mandato
ambasciatore
in
quest'
ultima,
accordandogli
per
le
spese
la
tassa
di
grossi
2
%;
e
fu
seguito,
sembra,
da
un
altro
am
basciatore,
per
cui
si
ripeteva
il
decreto
del
mandato
(196)
e
i
termini
da
comunicare
al
Re
(199).
si
trovava
a
vicenda
nel
medesimo
tempo
(1330)
in
Venezia
l'ambasciatore
armeno,
per
il
quale
fu
ordinato
(19
e
21
luglio)
regalare
dalle
entrate
del
Comune
per
4
lire
di
grossi;
e
mentre
da
una
parte
si
ri
potevano
ordini
di
armare
galee
per
l'Armenia,
d'altra
parte
s'
inouloasa
di
esaminare
i
fatti
avvenuti
laggiù,
in
termine
di
otto
giorni
(207).
Arrivando
nell'intervallo
nuovo
ambasciatore
dell'Armeno
(1331),
si
ordinava
ai
sevi
d'intendersi
con
lui
per
indurre
il
Re
a
levare
il
gravame
delle
tasse
introdotto
sotto
il
governo
suo
e
di
suo
padre
(212.
213),
e
per
lui
stesso
(l'ambasciatore)
far
regalo
del
valore
di
lire
3
di
grossi
(310).
La
gravezza
delle
tasse
era
cagiopata
dalle
guerre
cogli
Egiziani,
i
quali
battuti
dagli
Armeni
(1330)
presso
Ayazzo,
la
presero
nel
l'anno
seguente
(1331)
con
grave
danno
tanto
degli
Armeni
che
del
Chan
in
quelle
parti;
ma
venne
egli
pure
ammazzato
per
ordine
del
Chan
ad
istanza
degli
ultimi
due
fratelli
gemelli
di
Hethum,
Ossin
e
Alinac;
i
quali
come
la
loro
nascita
voleva,
e
più
ancora,
si
amavano
svisceratamente,
e
si
offrivano
vicendevolmente
la
corona
reale ;
ma
essendo
stato
Ossin
il
primo
a
venir
alla
luce,
consenti
a
cingersi
la
corona
solennemente,
ritornato
che
fu
Alinac
dal
suo
viaggio
alla
corte
del
Tartaro
(
1308).
Fu
solle
cita
la
Repubblica
ad
eleggere
invece
di
Dolfino
Dolfin
altro
ambasciatore ,
Foscarini
Giovanni
(
5
settembre,
1308),
tassando
2
soldi
per
cento
per
le
spese,
valutata
a
19
lire
di
grossi
quelle
dell'ambasciatore,
e
11
L.
de
grossi
per
regalo
al
Re,
oltre
quelli
destinati
per
Alinac
ed
altri
Baroni
(
64
).
Il
Foscarini
si
trovava
allora
a
Corone ;
gli
fu
scritto
(
22
settemb.
1308)
da
parte
del
Doge
consigliatolo
a
prepararsi
all'ambasciata,
procurando
l'occorrente
con
imprestito
da
chi
che
sia,
cosi
veneto
che
straniero,
a
che
sarebbe
soddisfatto
a
Venezia,
dopo
due
mesi
della
loro
presenza.
Nello
stesso
giorno
scrisse
il
Doge
(
Pietro
Gradenigo)
al
Re
Ossin ,
raccomandandogli
l'ambasciatore ;
e
altrettanto
scrisse
ad
Alinac
(
261
) ,
e
con
poca
differenza
a
Hethum
signor
di
Coricos,
il
noto
storico,
il
Marco
Polo
Armeno
e
religioso
Remonstratense,
a
un
altro
Hethum
signore
del
castello
Neghir
(
creduto
Negro
o
Negrino
da
Latini
),
il
quale
viene
intitolato
Capitano
del
regno
d'Armenia.
L'ambasciata
fu
ritardata
per
la
malattia
e
la
morte
del
Foscarini,
a
cui
fu
sostituito,
dopo
lungo
corso
di
tempo,
(maggio,
1310)
Gregorio
Dolfin
(46) ;
e
perchè
i
regali
destinati
erano
rimasti
a
Corone,
fu
scritto
(
12
mag.
1310)
al
castellano
di
quel
luogo
di
consegnarli
al
nuovo
ambasciatore,
e
di
tenere
in
riserva
gli
effetti
del
defunto
Foscarini
(
265).
Scrisse
il
Doge
al
Re
Ossin
(
14
maggio,
1310
)
raccomandando
il
nuovo
ambasciatore,
ed
in
pari
tempo
Bailo
(
267) ;
al
quale
era
raccomandato
di
dire
a
viva
voce
qualche
cosa
in
particolare.
dei
Veneziani.
Perciò
questi
venivano
di
nuovo
a
consulta
(20
lu
glio,
1332)
nel
termine
di
otto
giorni
(234),
per
spedire
senza
indugio
ambasciatori
a
sollecitare
la
rivisione
dei
trattati:
ordina
vasi
quindi
agli
Ufficiali
del
Sale
di
procurare
le
spese
del
viaggio
per
farli
partire
col
primo
imbarco
(222).
Frattanto
arrivando
dal
l'Armenia
notizie
allarmanti,
si
obbligava
il
Doge
(28
dicem.
1332)
col
suo
Consiglio
ad
eleggere
tre
savi
(sotto
multa
di
10
soldi),
per
determinare
fino
alla
metà
di
gennaio
prossimo
quello
che
si
dovrebbe
fare
e
presentare
per
scrittura.
L'ambasciatore
eletto
fu
Giacomo
Tropisanato,
per
cui
scriveva
il
Doge
F.
Dandolo
al
Duca
di
Creta,
preparasse
l'
imbarco
per
l'Armenia:
ove
arrivato
questi
e
scandagliato
tutto,
annunziava
la
diffiooltà
dell'impresa
per
l'estrema
irritazione
degli
Armeni,
a
cagione
di
quel
Bizali
che
aveva
fatto
fuggire
dalle
carceri
il
Contarini.
Riflettendo
da
sua
parte
il
Senato
su
queste
difficoltà,
deter
mind
(17
giugno
1333)
che
il
Doge
col
consiglio
dei
60
eleggesse
per
ambasciatore
uno
dei
mercanti
che
volesse
svernare
nell'Armenia,
e
parlasse
direttamente
col
Re,
dimandandogli
l'esatto
man
tenimento
del
suo
proprio
editto,
presentandogli
anobe
i
capi
delle
lagranze
dei
Veneziani,
le
quali
scritte
aveva
portato
il
Trevisan;
che
se
le
avesse
rinnegate
il
Re,
gli
mostrasse
le
lettere
del
Bailo.
Le
principali
dimande
erano,
di
alzare
il
prezzo
dell'ar
gento
che
essi
portavano,
per
la
rarità
di
quel
metallo
laggid;
di
ricevere
il
ducato
d'oro
per
24
Tacolini;
e
per
la
detta
rarità
d'argento
permettere
anche
il
corso
dell'oro
nella
piazza.
E
se
per
la
strettezza
dei
tempi
esigesse
il
Re
la
tassa
del
1/2%
lo
si
farebbe
in
grazia
di
lui
non
per
obbligo;
-
di
domandar
esenzione
del
dazio
nei
casali,
almeno
in
quelli
che
apparten
gono
al
Re;
di
non
permettere
l'esame
delle
valigie,
o
almeno
contentarsi
del
giuramento
dei
mercanti
al
Bailo:
di
pagare
&
Cristoforo
Nayzo
il
prezzo
del
legname,
siccome
aveva
già
accon
sentito
l'ambasciatore
del
Re
&
Venezia.
Se
a
tutto
ciò
non
volesse
soddisfare
il
Re,
l'ambasciatore
della
Repubblica
gli
dovrrebbe
anunziare
la
partenza
dei
Veneziani
dal
suo
Stato,
e
lo
stesso
inculcare
a
questi
al
termine
del
prossimo
mese
di
aprile ;
e
se
alcuno
dei
mercanti
non
ne
partisse,
sarebbe
multato
per
500
lire ;
per
50
chi
non
è
mercante ;
sarà
libero
a
stare
chi
abbia
abitato
là
da
tre
anni
in
su ;
nessuno
dovrà
ricevere
le
robe
e
le
manifatture
dei
multati,
sotto
pena
del
50
%;
lo
stesso
si
farà
per
chiunque
dopo
il
detto
termine
(mese
di
aprile)
condurrà
merci
d'Armenia.
Quelli
poi
che,
dopo
il
mese
di
dicembre
del
l'anno
corrente
partiranno
per
l'Armenia,
dovranno
prima
fer
marsi
a
Cipro
e
là
informandosi,
ove
non
trovino
appianate
le
questioni,
tornino
indietro ;
altrimenti
cadranno
sotto
la
stessa
pena.
Ognuno
dei
Rettori
è
obbligato
di
informarsi
di
questo
dal
Bailo
di
Cipro,
e
far
quello
che
si
dovrà.
Questa
grave
ambasciata
fu
affidata
a
Pietro
Bragadin
(nel
margine
si
scrive
Jacomelus
Cornaro
),
ordinando
agli
ufficiali
di
Sal
e
di
Mare
di
procurar
il
bisogno
dalla
tassa
del
5
%,
come
fu
fatto
altra
volta
per
il
Trevisanato.
L'ambasciatore
dovrà
partire
colle
galee
della
muda
d'Armenia
(234).
I
savi,
esaminate
tutte
queste
proposizioni,
giudicarono
prudente
il
temporeggiare,
per
sentir
l'effetto
delle
lettere
già
mandate
al
Re,
il
quale
d'al
tronde
sempre
si
era
mostrato
amico
della
Repubblica ;
ed
essere
meglio
aspettar
il
ritorno
del
Bailo
colle
galee,
e
15
giorni
dopo
l'arrivo
chiamarlo
al
consiglio,
e
informandosi
delle
disposizioni
del
Re
determinare
ciò
che
si
dovesse
fare
(226) .
Come
si
sperava,
si
acquetò
il
turbine,
e
la
pace
si
rassodò
col
nuovo
Privilegio
del
Re
(10
novembre,
1333) ,
consegnato
a
Jacopo
Trevisanato,
il
quale
si
vede
laggiù
esser
ritornato.
Oltre
la
conferma
dei
precedenti
articoli ,
si
concedono
da
parte
del
Re
esenzione
di
tassa
per
le
manifatture
dei
zambellotti
e
dei
panni;
esenzione
di
un
Tacolino
per
settimana
pagato
dai
venditori
di
vino,
e
di
uno
o
due
deremi
nuovi
per
regele,
che
si
pagavano
dentro
e
fuori
di
città;
libertà
d'introdurre
e
di
estrarre
dal
porto
di
Tarro,
pellame,
pellicce,
e
legna;
Agenzione
del
mi.
suramento
dei
panni;
tolto
l'obbligo
ai
Veneti
di
comperar
salo
e
frumento;
—
rispettarli
e
non
molestarli:
-
in
caso
di
ladrocinio,
l'incolpato
veneto
si
giudicherà
alla
corte
del
Re;
-
ed
il
debitore
resterà
ip
prigione
fino
al
pagamento.
Tale
è
il
tenore
dell'
ul
timo
Privilegio
che
siaci
noto,
dato
dai
Re
dell'Armeno-Cilicia
in
favore
dei
Veneziani.
Il
quale
ricevuto
con
piena
soddisfazione
mentre
il
Trevisanato
lo
portava
alla
dominante,
fu
sequestrato
da'
Genovesi,
come
si
è
detto
altrove
(318).
Ma
il
trattato
arrivo
in
salvo
e
servi
per
pochi
anni
a
vantaggio
del
commercio
veneto,
prima
della
presa
e
distruzione
di
Ayazzo
(1337),
per
parte
degli
im
placabili
Egiziani.
Cosi
per
un
breve
tratto
di
tempo
risorse
ancora
quel
porto
magnifico,
per
ricadere
per
sempre
sotto
le
sue
rovine
e
scomparire
entro
alle
onde
insanguinate.
Ma
prima
che
arrivasse
quello
catastrofe,
s'affrettò
la
Repubblica
&
raffermare
da
sua
parte
le
buone
intelligenze
col
Re,
sottomettendosi
anche
alla
con
dizione
meno
lucrosa
e
ordinando
sotto
pena
ai
suoi
cittadini,
por
mezzo
del
Bailo
(13
agosto
1332),
che
chiunque
portasse
argenti
in
Armenia
dovesse
consegnarne
la
metà
alla
zecca
reale
(238).
Intanto
s'abbuiava
l'orizzonte
politico
nel
paese
dei
Rupeniani:
il
Soldano
d'Egitto
lo
circondava
da
mezzodi,
quel
di
Aleppo
da
levante,
il
Caramano
da
settentrione.
Re
Leone
mandava
e
riman
dava
ambasciatori
al
Papa
e
alle
corti
occidentali.
Incitati
dal
Pontefice,
parvero
un
giorno
alleati
i
Re
di
Francia,
di
Navarra,
d'Aragona,
di
Boemia
per
soccorrere
i
nostri
Armeni;
ma
sic
come
avvenne
e
prima
e
dopo,
nessuno
si
mosse,
eccetto
alcuni
che
mandarono
qualche
ajuto
peouniario,
mentre
gl'
invasori
por
tavano
via
le
ricchezze
del
paese;
e
benchè
esacerbati
gli
Armeni,
facessero
strage
degli
Egiziani
trovati
in
Ayazzo
(1336),
non
per
tanto
furono
obbligati
l'anno
appresso
ad
abbandonare
quella
superba
piazza
alla
prepotenza
straniera.
Fra
gli
ammazzati
dal
furore
degli
Armoni
o'erano
diversi
Egisiani
creditori
di
Veneti,
i
parenti
dei
quali,
e
il
governo
stesso
importunarono
la
Repubblica.
S'affretto
questa
a
scrivere
(3
sott.
1337)
al
suo
Bailo
di
Cipro:
(segno
che
quello
d'Armenia
erusi
ritirato
dopo
la
perdita
d'Ayazzo),
di
avvisare
tutti
i
debi
tori,
notassero
tutto
quello
che
dovevano
ai
Saraceni,
mandando
&
Venezia
l'effettivo
in
depositi
dell'
ufficio
de'
Frumenti,
in
alla
verificazione
dei
conti
e
al
pagamento
(243).
Si
scrisse
al
detto
Bailo
(24
agosto)
di
consultarsi
col
Capitano
nel
suo
arrivo
a
Cipro,
se
sia
conveniente
andar
o
no
in
Armenia;
se
si
potrebbe
stare
là
in
22
giorni,
se'
no
stasse
a
Cipro
15
o
18
giorni
(241).
A
simile
condizione
di
pagamento
furono
legati
i
Veneziani
pochi
apoi
appresso
(1341),
secondo
una
lettera
del
Re
Leone
IV;
altima
lettera
che
mostri
relazione
dei
Re
Armeni
con
Venezia,
rimasta
negli
archivi.
Per
sicurezza
del
suo
paese,
crudelmente
dampeggiato,
Leone
aveva
allontanato
di
là
tutti
i
Saraceni,
fra
i
quali
si
trovavano
ancora
creditori
dei
Veneziani,
e
l'ambascia
tore
del
Soldano
chiedeva
con
minacce
il
pagamento.
Il
Re
per
andar
losto
pago
lui
stesso
i
debiti
dei
Veneti,
si
muni
delle
quietanze
dovuto,
e
licenzió
i
oreditori
e
l'ambasciatore
impor
tubo;
dopo
cid
mando
il
conto
al
doge
Bart.
Gradenigo,
pregando
del
rimborso
immediato,
per
non
dover
costringere
il
resto
della
colonia
veneta
nėl
suo
paese,
a
soddisfare
per
i
loro
nazionali.
Nella
lista
mandata
al
Doge
è
notata
minutamente
la
quantità
del
cotone
venduto
dagli
Egiziani
al
peso
usato
nella
piazza
d'Ayazzo,
secondo
che
era
scritto
nei
quaderni
della
sua
dogana,
e
che
sommava
al
prezzo
di
24,
107
Tacolini;
ma
i
Saraceni
De
dimandavano
2890
di
più,
e
cosi
fu
forza
di
contentarsi
000
27,
000
Tacolini.
E
siccome
tre
dei
debitori
(Marco
Ardigon,
Pietro
Massai,
Pietro
Salomon),
avevano
valori
in
Armenia,
so
ne
presero
11,
000
Tacolini;
cosicchè
rimanevano
&
due
altri
16,
000
(15).
Per
la
notizia
delle
merci
e
dei
prezzi
di
quel
tempo
e
di
quel
luogo,
forse
non
sarà
inutile
ai
curiosi,
di
percorrere
quel
documento,
ultimo
del
genere,
nelle
relazioni
Armeno-Veneto
(134)
marzo).
Tre
anni
prima
di
questo
fatto
si
trova
un'altra
memoria
di
Leone
(29
giugno
1338),
da
cui
si
chiarisce,
che
o
per
lettera
o
per
mezzo
d'ambasciate,
egli
chiese
e
ottenne
dalla
Repubblica
un
veochio
leguo
di
20
banche,
al
prezzo
stimato
dagli
Ufficiali
dell'Arsenale.
Nell'età
ancora
fresca
di
33
o
34
anni,
mori
Leone
il
28
ago
sto
1342,
e
come
si
crede,
non
per
morte
naturale;
vittima
della
8u8
cordiale
e
costante
amicizia
ai
Latini
e
principalmente
alla
Corte
Ponteficia.
Con
lui
si
estinsero
le
nobili
e
reali
famiglie
Rupeniana
e
Hetbumiana,
la
quale
ultima
dal
primo
suo
capo
stipite
Hethum,
fin
all'ultimo
rampollo
Hethum
figlio
di
Leone
IV,
morto
bambino,
nel
corso
di
300
anni
aveva
dato
12
generazioni;
e
fu
forza
cercare
un
successore
a
Leone
nella
linea
femminile
della
famiglia
reale:
e
questo
fu
un
suo
cugino,
figlio
della
zia
pa
terna
(la
pricipessa
Zablun),
e
nominato
Ghi
o
Guidone,
per
cụi
la
corona
armena
passava
alla
famiglia
Lusiniana;
la
quale
non
fu
felice
nell'
Armenia,
perciocchè
Guidone
e
suo
fratello
Boe
mondo
furono
ammazzati
dopo
due
anni
(1341),
e
la
corona
passo
al
cognato
di
quest'ultimo,
Costantino
II
figlio
del
bravo
mare
sciallo
Baldoino.
Egli
regno
20
anni,
ma
il
suo
regno
fu
squal
lido
o
di
giorno
in
giorno
scemato
di
potere,
di
ricchezze
e
di
territorio.
Abbiamo
veduto
(pag.
27)
un
ambasciatore
di
que
sto
Costantino
a
Venezia
l'
anno
1347,
diretto
al
Papa
con
regali
(323).
L'anno
appresso,
mando
questo
Re
altri
ambasciatori
al
Papa
ed
al
Doge,
chiedendogli
ajuto
per
ricuperare
Ayazzo:
anche
il
Pontefice
(Clemente
IV)
scrisse
al
Doge
per
questo
fine
(25
set
tembre
1347),
che
doveva
interessarlo
più
che
nessun
altro,
perché
si
trattava
del
risorgimento
della
regina
del
mare
armeno.
Ma
prima
che
si
moregse
Venezia,
riusci
agli
Armeni,
per
un
supremo
sforzo,
coll'
ajuto
dei
Cavalieri,
ripigliare
il
loro
opulente
porto ;
il
quale
destinato
a
perire,
emergendo
un
ultima
volta
colla
fronte
dorata
all'aria
libera ,
scomparve
poco
dopo
per
sempre.
Nessuno
da
indi
in
poi
ricercò
la
chiave
della
ricchezza
dell'Armeno
-
Cilicia,
e
del
non
minore
interesse
di
tanti
commercianti,
fra
i
quali
primmeggiavi
tu,
orgogliosa
regina
dell'Adriatico ;
pensasti
mai
a
porgere
mano
pietosa
alla
tua
minore
sorella
in
quel
suo
supremo
momento,
ovvero
per
freddo
calcolo
di
politica
e
d'interesse
egoista,
rivolgesti
la
faccia
altrove
?
Su
questo
punto
meglio
è
il
silenzio,
e
giova
anche
la
nostra
ignoranza
! ..
Intanto
d'anno
in
anno
s'avvicinava
la
fine
delle
secolari
relazioni
del
regno
armeno
con
le
potenze
europee :
malgrado
tutto
il
suo
sforzo
e
le
ripetute
ambasciate
e
lettere
a
queste,
l'infelice
Costantino
II
ogni
anno
vedeva
un
brano
del
suo
territorio
o
una
citta
o
un
porto
sfuggirgli
di
mano
e
passare
in
quelle
degli
Egiziani,
Aleppini
e
Caramani .
Molto
sensibile
era
la
per
dita
delle
città
marittime,
perchè
si
troncava
la
comunicazione
cogli
occidentali;
e
già
da
Ayazzo
fin
a
Tarso
tutto
era
occupato
dallo
straniero ;
restava
solo
nelle
mani
del
Re
il
fortissimo
castello
e
il
porto
di
Coricos,
il
quale
con
miglior
decisione
o
disperazione
si
diede
(
nel
1361
)
a
Pietro
I
Re
di
Cipro:
non
rimaneva
a
Costantino
che
la
parte
montuosa
di
Cilicia,
e
i
suoi
castelli,
con
quello
inespugnabile
della
capitale
di
Sis,
bella
e
forte,
frutto
dell'ingegno
di
Leone
I.
In
tale
stato
di
cose
Costantino
chiuse
gli
occhi,
l'anno
1363,
già
privo
d'ambo
i
figliuoli
Ossin
e
Leone.
Era
d'uopo
di
nuovo
ricorrere
alla
famiglia
Lusiniana-armena:
e
siccome
il
più
vicino
erede
del
compianto
Guidone
era
suo
nipote
(figlio
di
Juan)
Boemondo,
chiamato
Bemunt
dagli
Armeni,
non
tardò
questi
a
presentarsi
come
pretendente
alla
corona
armena ;
e
per
facilitarsene
il
possesso ,
pensò
ricorrere
al
Papa.
Era
ancora
giovane,
in
età
d'anni
23 ;
dirigendosi
per
Roma
arrivò
a
Venezia,
dovendo
forse
rinnovare
l'antica
alleanza
dei
Rupeniani;
ma
la
volontà
suprema
destinava
altrimenti;
la
bua
speranza
e
la
vita
finirono
qui
a
Venezia;
il
come
e
dove
fosse
sopolto,
si
desidera
ancora
di
ricavarlo
da
qualche
archivio
o
da
qualche
annalista.
Dopo
un
biennio
di
incertezze
e
di
gare,
riusel
pel
1365
a
un
altro
Costantino,
III,
figlio
di
Hethum
il
Ciambellano,
(uno
dei
Baili
di
Leone
IV),
strappare
la
corona,
mentre
il
Papa
Ur
bano
V
la
proponeva
al
fratello
del
defunto
Bemunt,
Loone.
Di
qui
discordia
fra
i
principi
armeni,
sempre
fatale
ma
ancora
più
nello
stato
in
cui
si
trovava
allora
l'Armenia.
In
questo
tempo
turbinoso
ed
oscuro
apparve
inaspettatamente
la
figura
veneronda
d'una
donna;
una
donna
in
lutto;
vedova,
e
una
volta
regina.
Era
Maria
moglie
di
Costantino
II,
figlia
di
Ossin
il
Bailo
e
di
Giovanna
sooonda
moglie
del
Re
Ossin,
figlia
del
principe
di
Taranto.
Que
sta
donna
di
gran
cuore
tento
l'ultima
corrispondenza
coll'
an
tica
alleata
dei
Rupeniani,
con
la
Repubblica
veneta.
Chi
era
il
suo
ambasciatore
e
come
scrivesse
o
facesse
par.
lare
non
lo
sappiamo
appunto:
ma
per
fortuna
gli
archivi
del
Senato
conservano
la
lettera
(del
11
ottobre,
1368)
in
risposta;
nella
quale
la
Repubblica
per
bocoa
del
suo
Doge
protesta
l'an
tica
amicizia
e
il
buon
volere,
compassionando
l'augusta
donna,
promettendo
di
far
il
possibile,
quo
commodo
possumus,
a
pro
di
lei
o
del
suo
popolo;
annunziandole
che
appunto
per
questo
il
doge
si
era
inteso
col
confratello,
doge
di
Genova,
di
armare
una
flotta
per
attaccar
l'
Egiziano,
se
egli
rompesso
i
trattati
di
pace;
frattanto
si
dava
ordine
al
capitano
generale
di
ristringere
l'alleanza
coi
Genovesi,
e
comprendere
nell'accordo
coll'
Egiziano
gli
stessi
Armeni.
Adobe
il
Doge
genovese
aveva
insistito
su
questo
articolo
in
favore
degli
Armeni,
e
percid
il
veneto
rin
graziave
il
genovese.
Essendo
per
altro,
in
causa
della
guerra
degli
occidentali
fra
loro,
impossibile
il
passaggio
ordinato
dal
Papa,
doveasi
aspettare
il
tempo
favorevole,
ed
allora
s'unirebbe
Venezia
cogli
alleati ,
per
adempiere
ciò
che
il
dovere
e
la
volontà
di
Dio
comandavano
(
245
).
Che
fosse
vera
questa
alleanza
fra
le
due
Repubbliche
litiganti
in
ogni
seno
di
mare,
lo
assicurano
lunghe
scritture
con
servate
in
parte
nei
Commemoriali
del
veneto
archivio,
ove
si
leggono
lettere
del
Papa
a
queste
Repubbliche,
a
Giovanni
così
detto
principe
d'Antiochia,
ai
Maestri
dei
Cavalieri ;
e
si
mani
festa
il
piano
del
suo
sbarco
sopra
Alessandria,
fissato
per
l'anno
1370 :
ma
vi
si
parla
soltanto
in
favore
di
Cipro
!
Non
è
dunque
da
dubitare
che
tutto
ciò
era
determinato
prima
che
la
vedova
Regina
d'Armenia
ordinasse
la
missione
dei
suoi
ambasciatori.
Le
storie
delle
Crociate
c'
insegnano,
come
fossero
andate
in
aria
tante
simili
belle
promesse,
tante
alleanze,
e
questi
preparativi,
per
causa
delle
incessanti
guerre
dei
Francesi
cogli
Inglesi,
e
per
la
trascuranza
o
l'impotenza
degli
stati
secondari;
i
quali
tutti
assieme
ebbero
soltanto
il
bel
coraggio
di
abbandonare
alla
sua
fortuna
o
alla
rovina
quell'
unico
popolo
orientale,
che
si
fosse
alleato
ai
Crociati,
baluardo
della
Cristianità
contro
i
suoi
nemici;
e
per
dir
il
vero ,
si
mostro
poco
cavalleresco
chi
fu
sollecitato
a
venir
in
ajuto
dell'ultima
coraggiosa
Regina
Armena.
La
quale,
non
abbattuta
dalla
lentezza
e
dalle
vaghe
promesse
degli
occidentali,
spediva
ancora
dopo
pochi
anni
(
1371)
a
Napoli
l'Arcivescovo
di
Tarso
ed
il
Cavaliere
Emmanuele,
d'origine
armena,
naturalizzato
genovese,
per
sollecitare
i
parenti
della
sua
madre
(
la
regina
Giovanna),
ad
un
ultima
impresa ;
essendo
lo
stato
armeno
sull'orlo
del
precipizio.
Perocchè
l
'
ultimo
re
Costantino,
che
regnd
fra
gli
anni
1363-72,
da
molti
era
reputato
non
legittimo
ma
usurpatore;
e
però
ebbe
fine
di
tiranno ,
con
morte
forzata .
Prima
che
si
presentasse
nuovo
pretendente
alla
corona,
fu
essa
Maria
regina
istituita
reggente ;
e
allora
poco
prima,
il
Papa
Gregorio
XI
scrisse
(
22
gennaio
1272)
al
di
lei
parente
Filippo
principe
Tarantino,
di
unire
Maria
in
ma
trimonio
con
Ottone,
duca
di
Brunsvic,
incoronando
questo
a
Re
d'Armenia.
Ma
vi
era
un
pretendente
non
illegitimo,
Leone ,
fratello
dell'immaturamente
defunto
Bemunt,
il
quale
da
dieci
adni
aspettava
l'eredità
del
fratello
e
dello
zio;
e
fu
invitato
da
uno
dei
due
partiti
degli
Armeni,
divisi
in
due
cainpi
fra
loro
per
visto
religiose
e
politiche.
I
partigiani
degli
occidentali,
ossia
Latini,
erano
capitanati
dalla
stessa
reggente
Maria,
che
ben
vo
lentieri
accolse
il
Lusiniano
(Leone),
ultimo
fra
tutti
che
cinsero
corona
in
nome
dei
Re
d’Armenia,
da
oltre
2000
anni
in
allora.
Leone
portava
seco
la
moglie
Margherita
di
casa
di
Sassonia :
furono
incoronati
insieme
con
gran
pompa
reale
all'
armena.
Fu
breve
pur
troppo
il
suo
regno
(1374-5):
il
quale
egli
seppe
degna
mente
difendere
nel
suo
ultimo
baluardo,
la
Fortezza
di
Sis
la
capi
tale,
eroicamente
guerreggiando
con
pochi
fedeli
contro
gli
Egiziani
ed
Aleppini,
finchè
trovò
savio
arrendersi,
quando
era
impossibile
il
resistere.
Tradito,
ferito,
abbandonato,
salvo
da
pochi,
seppe
da
magnanimo
sovrano
trattare
col
nemico
e
sopportar
le
cateno
e
lunga
prigionia
in
Egitto.
Cattivatosi
poi
il
cuore
dell'orgoglioso
Sultano,
trovò
grazia
per
vivere
nel
Cairo
liberamente,
interes
sare
con
lettere
i
sovrani
ocoidentali
e
il
sommo
Pontefice,
ed
in
particolare
il
re
di
Castiglia;
e
finalmente
liberarsi
dalla
schia
vitu
(1381).
Potè
allora
imbarcarsi
sollecitamente,
e
nel
viaggio
approdo
all'
isola
di
Rodi,
ove
saluto
la
cugina
Isabella
figlia
del
Re
Guidone,
e
sbarco
quindi
qui
a
Venezia,
come
se
dovesse
consegnare
al
capo
della
Repubblica
gli
antichi
trattati
di
lei
coi
Rupeniani
sovrapi
dell'Armeno-Cilicia;
o
piuttosto
procuraro
nuova
alleanza
per
ricuperar
il
regno
perduto.
Speranza
fallita,
ma
non
mai
svanita
nel
cuore
di
Leone,
fin
all'ultimo
respiro
(29
nov.
1393).
Raccomandiamo
agli
archivisti
e
agli
appalisti
d'informarci
come
fosse
egli
ricevuto
dal
Doge
e
dal
comune
di
Venezia,
e
come
se
ne
partisse
per
andar
a
trovare
il
Papa
od
il
Re
che
si
erano
interessati
per
la
sua
liberazione,
e
dai
quali
venne
accolto
veramente
come
un
regnante,
onorato
e
arricchito
più
che
non
fu
sul
suo
trono
vacillante.
E
che
avvenne
della
Regina
Armena?
Due
erano
le
regine,
e
tutte
due
catturate
con
Leone
e
condotte
al
Cairo:
Marghe
rita,
moglie
di
costui
non
potendo
sopportare
le
conseguenze
della
schiavitù,
in
paese
cosi
lontano
e
differente
del
suo
nativo
e
dell'adottivo,
non
tardd
a
soccombere,
e
fu
sepolta
in
una
chiesetta
armena,
visitata
pochi
anni
dopo
da
due
viaggiatori
italiani,
da
cui
abbiamo
tolta
questa
notizia
[4].
Quanto
all'altra
Regina,
la
magnanima,
l'eroica
Maria,
la
quale
fu
cosi
pronta
a
rinunziare
alla
corona
in
favore
di
Leone,
e
che
lo
segul
pure
nella
cattività,
piuttosto
volentieri
che
forzata,
fu
presto
lasciata
alla
libertà;
la
quale
ella
impiegd
in
un
modo
degnissimo.
Invece
di
rimpatriare
come
Leone,
ed
essere
accolta
forse
con
maggiori
pompe,
onori
ed
ovazioni,
preferi
la
strada
dei
pellegrini:
andd
e
si
fermò
a
Gerusalemme:
vesti
abito
di
religiosa,
e
col
modesto
velo
ooprendo
tutta
la
gloria
e
la
vanità
umana,
vicino
al
Sepolcro
del
Redentore,
veglid,
dormi,
e
si
risveglid
nella
luce
perenne
(1377).
Intanto
Leone
traversava
e
ritraversava
le
Alpi
e
la
Manica,
scongiurando
tutte
le
Corti
per
ajutarlo
a
ricuperare
la
corona
perduta;
inchè
lasso
senza
quella
inchind
il
capo
fra
tanti
altri
coronati
e
scoronati,
nei
sotterranei
di
Saint
Denis
di
Parigi,
li
29
novembre,
1393:
da
quell'ora
suonano
giusto
500
anni!
Fin
agli
ultimi
anni
del
regno
armeno
in
Cilicia,
la
Re
pubblica
veneta
continuava
ad
emanare
decreti
per
l'andata
e
ritorno
delle
sue
galee
in
quei
porti,
ogni
di
più
abbandonati:
come
si
nota
nel
1363
il
22
novembre
(244),
il
primo
luglio
1373,
il
25
maggio
e
8
dicembre
1374
(247.
249),
cioè
pochi
mesi
prima
della
cattività
di
Leone
V;
donde
si
vede
che
col
regno
armeno
cesso,
o
quasi,
anche
la
navigazione
meroantile
veneta
su
quella
linea;
benchè
il
nuovo
governatore
egiziano
dell'antica
capitale
(Sis),
invitasse
anche
non
pochi
anni
dopo
(1415)
i
Veneziani
a
continuare
il
loro
commercio
del
paese
che
era
ancora
abitato
dagli
armeni
soggiogati.
È
noto
come,
giusto
un
secolo
dopo
la
caduta
della
monarchia
armena,
i
Veneziani
alleati
coi
principi
Caramani
e
col
famoso
Uzun
Hassan
Re
di
Persia
contro
l'
Ottomano,
s'impadronissero
d'una
parte
del
l'Armeno-Cilicia
marina,
per
pochissimo
tempo;
e
se
allora,
o
prima
o
dopo,
ebbero
nuove
relazioni
cogli
Armeni
non
più
in
dipendenti,
non
è
chiaro,
e
non
ce
ne
occuperemo,
perchè
questo
passa
i
limiti
del
tempo
che
ci
siamo
fissati.
Sarebbe
peraltro,
cre
diamo,
di
non
poco
interesse
ai
Veneziani
anche
oggi
di
visitare,
con
occhio
di
archeologo
e
di
patriota,
quelle
spiaggie
un
tempo
si
fiorite,
si
ricche,
si
animate,
ora
cosi
abbandonate
e
dimen
ticate;
sarebbe
dico
anche
onorevole
ricercare
sul
suolo
dell'
an
tico
alleato
le
proprie
reliquie
nazionali,
i
sepolcri
di
tanti
vene
ziani
ivi
sotterati,
le
rovine
del
8.
Marco
d'Ayazzo,
le
traccie
delle
loro
case,
della
loggia
comunale,
del
fondaco,
e
chissà
di
quali
altre
memorie
e
monumenti
inaspettati.
Quante
famiglie
veuete,
ancora
non
estinte,
troverebbero
in
quei
tumuli
e
in
quelle
rovine
secolari,
i
nomi
dei
loro
antenati
soolpiti
su
qual
che
frammento
di
lapide
!
Ma
lasciando
ormai
a
chi
possa
investigare
queste
traccie
venete
sul
suolo
armeno,
ricerchiamo
invece
quello
degli
Armeni
in
questa
dominante
adriatica.
Abbiamo
ricordato
tante
volte
le
ambasciate
della
Corte
di
Sis
a
Venezia,
e
la
venuta
delle
persone
principesche;
ma
di
stabile
dimora
degli
Armedi
a
Venezia
non
si
è
parlato,
e
non
se
ne
trova
precisa
memoria,
benche
sia
indubitabile
il
fatto,
essendo
che
nei
secoli
XIII-IV
gli
Armeni
hanno
lasciato
in
venti
o
trenta
città
italiane
traccie
della
loro
dimora,
e
sarebbe
cosa
incredibile
non
fosse
allo
stesso
modo
in
Venezia:
anzi
fra
tutte
le
altre
città
occidentali,
dopo
Roma
e
in
parte
più
anche
di
Roma,
Venezia
era
e
fù
frequentata
dai
nostri
nazionali,
come
anche
da
altri
popoli
orientali.
Sebbene
le
relazioni
Armeno-venete
comincino
col
secolo
XIII,
come
ab
biamo
veduto,
la
conoscenza
reciproca
e
gli
scambi
si
possono
stabilire
nel
secolo
precedente,
quando
«
Sebastiano
Ziani,
che
fu
poi
doge,
dimoro
assai
tempo
in
Armenia
e
lasciò
una
casa
in
contrada
di
S.
Giuliano
per
gli
Armoni
che
venissero
a
Venezia.
E
cid
fece
per
la
buona
compagnia
avuta
in
quelle
parti».
Sono
parole
dell'
annalista
Muamo,
riferite
dal
Filiasi
VI,
II,
265.
Forse
più
correttamente
dice
il
Sandri
(fra
tanti
altri
che
lo
ripetono):
«Conta
in
aspetto
di
commercio
veneziano,
e
conto
nel
secoli
decorsi,
la
nazione
degli
Armeni,
che
merito
accogli
mento,
abitazione
e
protezione
in
Venezia.
Antichissima
è
la
corrispondenza
loro
con
li
Veneziani,
e
quindi
il
loro
alloggio
Bella
Capitale.
Sin
dall'
anno
1253,
por
testamento
riconfermato
dell'anno
susseguente,
M.
Ziani,
nipote
del
Doge
Sebastiano,
famiglia
che
per
li
Veneti
cronisti
si
aterma
splendidiassima
in
ricchezza,
reso
ben
affetto
a
quella
Nazione
dalla
lunga
sua
dimora,
per
oggetto
mercantile,
nell'Armenia...
legò
alla
Procuratia
veneta
di
Citra
una
casa».
I
nostri
nazionali
che
in
diverse
circostanze
ebbero
questioni
col
governo
della
Repubblica,
ricordano
sempre
questa
largizione
dello
Ziani,
anzi
ne
anticipano
l'anno
scrivendo
1235
a
25
maggio:
(e
se
è
vero
questo,
come
se
fosse
sin
da
quell'anno
testato
e
poi
confermato
nel
1253,
sarebbe
il
più
antico
stabilimento
armeno
ricordato
nelle
memorie
in
Italia;
perohè
quello
di
Roma
è
del
1239).
Nell'ultimo
testamento
del
5
giugạo
1253,
dice
Marco:
«Domum
in
quo
manent
Armenii
(dunque
vi
erano
già
dimoranti
Armeni),
volumus
ut
in
perpetuo
ipsi
in
ea
stare
debeant,
et
quandocumque
fuerit
opportunum
eamdem
conciare,
de
nostris
bonis
debeat
conciare....
Costituimus
nostros
Commissarios
una
cum
reliquis
superviventibus,
Dominos
Procuratores
operis
Ecclesiae
8.
Maroi.
Marco
Ziani
fu
scorto,
o
seguitore
a
questa
beneficenza:
perchè
tutti
quelli
che
lo
riportano,
aggiungono
pure
che,
Opoco
prima
o
dappoi
(di
Marco,
secondo
Sandi,
ma
secondo
un
più
antico
Manoscritto),
un
devoto
docchio
Armeno
lasciasse
con
suo
testamento
certa
somma
di
denaro
prima
ancora
di
M.
Ziani,
acciocchè
fosse
comperata
una
casa
e
fabbricata
una
Chiesetta
nella
calle
delle
Lanterne,
per
comodo
ed
utilità
dei
suoi
nazionali
provenienti
da
quelle
lontane
parti
della
Persia
».
Da
quest'ultima
parola
si
crederebbe
che
il
vecchio
patriota
non
fosse
dell'Armeno-Cilicia
bensi
dell'Armenia
Maggiore.
Saremmo
felici
se
si
scoprisse
oggi
il
testamento
del
buon
vecchio,
come
pare
ben
conosciuto
dai
suoi
nazionali
dopo
tre
secoli,
quando
avendo
questi
un
processo
o
inchiesta,
dicevano
(l'anno
1498)
al
governo:
«
Il
testamento
fatto
dal
vecchio
Armeno
al
tempo
del
primo
doge
Ziani
(dunque
fin
dal
1171-9)in
forza
di
cui
essi
Procuratori
aveano
co'
denari
del
defunto
comperata
una
casa
e
fabbrioata
una
chiesetta
nella
Calle
delle
Lanterne
a
comodo
degli
Armeni
che
venissero
ad
abitar
in
Venezia»
(Galliccioli,
II
276).
Come
poi
s'accordi
che
tanto
il
vecchio
quanto
lo
Ziani
indicassero
per
il
riconoro
degli
Armeni
lo
stesso
sito
nella
Calle
delle
Lanterne
o
dei
Ferali,
non
vogliamo
discutere;
probabilmente
il
vecchio
Armeno
lasciò
la
somma,
mentre
una
casa
dei
Ziani
era
abitata
dagli
Armeni,
ai
quali
poi
questi
lasciò
in
dono
la
stessa
casa'e
anche
un
fondo
per
i
ristauri
occorrenti,
ma
il
mantenimento
si
amministrava
col
lascito
dell'altro.
Varie
volte,
nei
ricorsi
e
nei
processi
degli
Armeni
davanti
il
Senato,
fu
questione
della
chiosa
o
chiesetta
armena,
come
e
quando
fosse
stabilita,
e
non
fu
possibile
verificarlo,
perchè
non
vepne
la
chiesa
indicata
precisamente,
come
la
Casa
armena;
eppure
per
noi
era
più
essenziale
il
saperlo,
per
la
ragione
che
la
chiesa
presuppono
gli
aderenti
di
un
rito
qualunque,
non
vice
versa.
D'altra
parte
non
si
è
mai
visto
che
colonie
armene,
an.
che
piccole,
si
fermassero
in
una
città
senza
procurarsi
un
ospizio
e
una
chiesa
o
cappella,
siccome
ci
attestano
tante
città
italiane
acoepnate
più
sopra;
in
alcune
delle
quali,
p.
es.
Roma,
Ancona,
Firenze,
Rimini,
c'erano
chiese
amministrate
dai
propri
sacerdoti
in
dalla
prima
metà
del
secolo
XIII,
e
tuttora
si
trovano
codici
armeni
scritti
in
quegli
ospizi.
Era
dunque
assai
probabile
che
non
mancasse
un
eguale
centro
di
comunità
nazionale
armena
anche
a
Venezia.
Non
per
tanto
può
destaro
meraviglia
il
silenzio
de'
docu
monti
e
degli
storici
Veneziani
su
quest'
argomento,
mentre
quelli
degli
altri
paesi
in
Italia
rammentano
il
tempo
della
ve
nuta
dei
preti
e
frati
armeni
Basiliani,
e
la
fondazione
e
il
nome
delle
loro
chiese.
Per
dirlo
in
poche
parole,
bisogna
ammettere
o
che
nella
casa
degli
Armeni
a
S.
Giuliano
ci
fosse
una
cappella,
come
voleva
il
vecchio
testatore
e
amministrata
da
sacerdote
armeno,
o
che
in
un
altro
sestiere
di
Venezia
fosse
una
chiesa
o
un
con
vento
armepo.
Non
è
molto
probabile
l'antichità
della
cappella
nella
casa
della
Calle
dei
Ferali;
ma
se
anche
c'ern,
doveva
essere
piccolissima,
perchè
tre
o
quattro
volte
rinnovata
e
am.
pliata
negli
anni
1496,
1510–20,
1689,
si
vede
tanto
angusta
l'at
tuale
chiesa
di
Santa
Croce,
che
pur
è
bellissima.
Bisognerebbe
dunque
per
forza
cercare
altrove
o
un
santuario
o
una
como
nità
religiosa
armena,
per
stare
a
livello
delle
comunità
conso
relle
nelle
altre
città
italiane:
e
per
cid,
compulsare
almanoo
gli
archivi
par
averne
lume.
Ed
ecco
una
piccola
scintilla
che
può
servire
di
guida
ai
cercatori.
Certo
Zannino
di
Scala,
col
suo
testa
mento
registrato
da
Ognibene
parroco
di
S.
Giovanni
di
Rialto
a
26
giugno
1348,
fra
molte
altre
lascite
fa
anche
una
ai
Frali
Armeni
di
S.
Giovanni
Battista,
di
D.
5
per
so
viver,
(come
al
trettanto
ai
poveri
di
S.
Lazzaro,
per
loro
camicie
e
gonelle).
Ecco
dunque
una
comunità
religiosa
armena
a
Venezia,
nella
prima
metà
del
secolo
XIV.
Non
so
se
si
conosce
bene
la
chiesa
di
8.
Giovanni
di
Rialto,
di
cui
il
parroco
era
Notaio
in
quel
tempo:
si
può
credere
che
in
quella
stessa
contrada
fosse
stato
l'abitacolo
di
quei
Frati
Armeni:
e
se
non
è
nota
adesso
la
chiesa
parrocchiale,
qual
meraviglia
se
sieno
rimasti
in
oscurità
quoi
poveri
Frati
Armeni
chi
sa
da
dove
e
come
ricoverati
!
Un
secolo
dopo
questo
accenno,
la
prima
volta
nell'anno
1434
si
trova
nelle
memorie
armene
un
ricordo
della
chiesetta
armena
nella
Calle
delle
Lanterne
officiata
da
sacerdote
armeno.
Il
primo
pensiero
del
pellegrino
armeno,
ovunque
lo
trasse
la
fortuna,
fu
sempre
la
chiesa
e
l'ufficio
di
rito
nazionale;
per
ultimo
dovea
essere
e
fu
il
luogo
del
suo
riposo
finale.
Chiesa
e
Cimitero
vanno
del
pari,
particolarmente
nelle
colonie,
sieno
vicine
l'una
all'
altra
o
sieno
distanti.
Dopo
l'ultima
fondamen
tale
fabbrica
di
S.
Croce
(1689)
molti
Armeni
sono
ivi
sepolti
ed
ancora
se
ne
leggono
gli
epitafj:
ma
nei
secoli
anteriori
al
XVII
non
era
possibile
tumulare
là
dove
manca
lo
spazio;
era
veces
sità
di
procurarsi
altrove
l'ultima
dimora.
Le
necrologie
delle
chiese
venete
notano
in
varie
di
esse,
Armeni
sepolti
nei
secoli
XVI-XVIII;
ma
quei
registri
non
salgono
più
in
sù:
per
buona
Borto
abbiamo
memorie
antiche
le
quali
ci
assicurano
che
fin
dai
primordi
della
frequenza
degli
Armeni
a
Venezia,
loro
fu
conceduto
cimitero
proprio
nell'Isola
di
S.
Giorgio
Maggiore.
In
un
processo
intimato
contro
i
PP.
Benedettini,
religiosi
di
quell'Isola,
nel
1675,
gli
Armeni
sostenevano
il
loro
gius
di.
sepellimento
in
quel
luogo,
ottenuto
fin
da
400
anni:
la
qual
data
oi
conduce
all'epoca
del
loro
possesso
della
casa
zianiana.
Un
altro
documento
(di
cui
fra
poco
si
parlerà
a
lungo),
lo
attesta
indubitatamente
nell'anno
1341.
E
le
lapidi
dei
defunti
non
si
saranno
per
cost
dire
viventi
testimoni
per
risolvere
la
questione :
Abimel
bisogna
cercarle
per
la
maggior
parte
sotto
l'attuale
fondamento
del
superbo
campanile
di
quella
magnifica
chiesa,
intorno
al
quale
nel
cortile
attiguo
erano
collocati
quegli
ci
melli
donde
veniva
chiamato
Cortile
degli
Armeni:
un
giorno
(1598)
la
più
grande
campana
mentre
lo
s'innalzava
alla
cas
sella
della
torre,
stanca
si
lasciò
cadere:
un
altro
giorno
(27,
feb
braio,
1774)
lo
stesso
campanile;
e
molte
di
quelle
lapidi
sepol
crali
andarono
in
pezzi,
e
poi
nella
rifabbrica
della
torre,
per
dolorosa
trascuranza,
furono
usate
per
le
sue
fondamenta,
molto
pid
abbasso
di
quelle
povere
reliquie
da
esse
coperte.
[5]
Poche
di
quelle
lapidi
rimanevano
ancora
sullo
scorcio
del
secolo
passato
colle
inscrizioni
armene
dei
secoli
XVI
e
XVII,
copiate
per
buona
sorte
dai
vecchi
Padri
Mochitaristi,
e
cost
salvate
da
fivale
ro
vina;
perciocchè
nell'
ulteriore
ristauro
del
selciato
di
quel
luogo,
anche
quelle
lapidi
una
volta
salvate,
in
una
maniera
o
nell'altra
scomparvero
per
sempre.
Fintanto
che
si
mostra
la
tomba
non
è
scevra
di
consolazione,
ma
quando
essa
stessa
viene
sepolta,
che
cosa
si
sente
sia
per
tanto
pace
alle
anime
di
quei
sepolti
e
sepellitori;
e
ritorniamo
alla
ricerca
dei
viventi,
o
piutosto
di
quegli
Armeni
che
vivevano
a
Venezia
nell'età
che
studiamo.
Frequenti
erano,
come
abbiamo
veduto,
le
missioni
d'amba
sciatori
a
Venezia,
ma
non
sono
registrati
i
nomi
che
di
pochi;
come
quell'Emmanuele
mandato
dal
Re
Sembate
circa
gli
anni
1297–8,
(v.
pag.
27).
-
Abbiamo
pure
veduto
come
la
Repubblica
li
trattasse
con
regali
di
valore
2,
3,
4
lire
de
grossi,
e
per
loro
mezzo
mandasse
doni
più
cospicui
a
loro.
sovrani.
Nel
principio
del
secolo
XIV
permetteva
il
Senato
(23
settembre
1302)
a
certi
mercatanti
di
venire
da
la
Liza
colle
venete
imbarcazioni,
e
fra
questi
si
trovavano
Giorgio
ed
altri
Armeni.
Nel
1331
si
trovava
pure
certo
Aytone
processato
per
non
so
qual
causa,
a
cui
però
si
dava
venia
(220).
Era
in
quel
turno
(1332)
che
il
noto
dragomando
e
condottiere
Adac
si
trovava
pure
&
Venezia
(v.
pag.
32).
Nella
seconda
metà
di
quel
secolo
incon
trammo
due
fratelli
reali
Armeno-Lusignani,
uno
in
cerca
di
corona,
morto
a
Venezia,
l'altro
dopo
aver
perduta
la
corona
traversar
Venezia.
Dopo
questi
non
c'è
più
caso
di
avere
simili
ospiti
o
passeggieri;
ma
invece
gli
stabili
naturalizzati,
come
furono
un
certo
Antonio
figlio
di
Basilio
capitano
di
mare,
che
nel
1395-8
testava
alla
sua
moglie
Martha
la
sua
dote
di
3
lire
de
grossi
(358);
e
un
Giovanni
Armeno
di
Cafa
di
Crimea,
il
quale
di
là
costituiva
(6
giugno
1395)
suo
coinmissario
in
Vene
zia
la
propria
consorte
Margherita.
Nell'anno
della
venuta
di
Leone
V
a
Venezia
(1382),
vi
si
trovava
un
frate
armono,
Domenicano
nativo
d'
Erzerum,
di
nome
Avedic
(Nunziato)
cambiato
poi
con
quello
di
Agostino;
egli
copiava
le
Prefazioni
dei
libri
sacri,
aggiungendovi
riflessioni
religiose
in
prosa
o
in
versi
ed
è
il
primo
libro
armeno
mano
scritto
che
conosciamo
compilato
a
Venezia
e
lo
possediamo:
ma
quello
che
c'
interessa
per
il
nostro
scopo
è
l'aver
egli
fatto
ricordo
(nel
29
febb.
del
suddetto
anno
bisestile)
della
Chiesa
di
Venezia
(ի
Վընեժոյ
եկեղեցին),
e
il
nome
della
città
scrive
un
po'
alla
francese
Venéje.
Quale
chiesa
intende
il
pio
Frate?
Chi
ne
cercasse
fra
le
tanti
latine,
senza
dubbio
dovrebbe
a
S.
Marco;
ma
S.
Marco
era
cosi
noto
e
celebre
nella
memoria
degli
Armeni
che
nessuno
non
lo
ricordava
senza
ripeterne
il
nome;
resta
dunque
il
supporre
o
che
la
chiesa
di
Vendje
sia
quella
stessa
dei
Frati
armeni
di
S.
Giov.
Batta
del
1348,
e
tanto
più
pro
babilmente
quanto
che
l'autore
era
un
Domenicano;
ed
appunto
appena
un
mezzo
secolo
prima
era
istituito
nell'Armenia
Mag
giore
un
ordine
di
Armeni
Domenicani,
intitolati
Unitori,
i
quali
non
solamente
avevano
diversi
conventi
in
quelle
contrade
ma
000
a
Caffa,
e
visitavado
sovente
i
conventi
domenicani
d'Italia:
-
oppure
Agostino
accennava
alla
chiesuola
degli
Armeni
della
Calle
delle
Lanterne,
la
quale
si
chiamo
pure
Calle
degli
Armeni,
e
l'abbiamo
ricordato
più
sopra
(pag.
68);
sappiamo
pure
che
solo
un
mezzo
secolo
dopo
l'opera
di
questo
Frate,
si
conosceva
ed
era
ufizziata
la
chiesa
armena.
Pochi
anni
prima
del
ricordo
dei
Frati
armeni
di
Venezia,
cioè
nell'anno
1341,
alli
2
ottobre,
per
mano
del
notajo
Jacopo
Marchesini
prete
di
S.
Giuliano
faceva
registrare
il
suo
testamento,
un'Armona
—
(e
questa
è
la
prima
volta
che
si
vede
una
donna
di
quella
nazione)
-
abitante
nell'Ospizio
armeno
nella
calle
sopra
detta,
di
nome
Maria;
la
quale
chiama
se
stessa
Maria
Armina
[6]
-
Massaria
Domus
Armeniorum.
Ella
non
pare
essere
una
serra,
come
s'intende
oggi
a
Venezia
l'appellazione
massora,
ma
Ben
condo
il
senso
di
Massaja,
ossia
l'
aja
o
la
goocrnante
della
casa
armena.
Finora
è
l'unico
documento
in
questo
genere,
cioè
di
Testamonti
armeni
scoperti
negli
archivi
veneti,
ove
devesi
sperare
di
trovarne
altri
più
antichi,
che
dei
posteriori
ne
abbiamo
un
centinaio,
tutti
dei
secoli
XVI-XVIII
(369).
Preziosissimo
e
curiosissimo
è
il
testamento
di
Maria
Armena
per
diversi
capi:
non
ci
palesa
essa
nè
il
suo
paese
natale
ne
i
suoi
genitori
nè
parenti
alcuno:
pare
abbastanza
benestante,
al
disopra
dello
stato
di
una
semplice
serva:
e
i
diversi
lasciti
che
fa
sommano
circa
100
ducati
(d'oro),
oltre
certi
oggetti.
Il
più
notevole
e
prezioso
ricordo
del
testamento
è
l'esistenza
e
i
nomi
di
una
decina
di
abitanti
della
casa
armena
di
ambi
due
i
sessi,
e
di
Prati;
ma
può
essere
che
secondo
una
pia
costa
manza
di
quei
tempi
tutti
gli
abitanti
di
un
ospizio
si
chiamas
sero
fra
loro
fratelli.
Ora
la
nostra
testatrice,
costituisce
oltre
Giacomo
de
Monte
prete
di
S.
Giuliano,
commissari
Pra
Michele
Armeno,
e
la
Domina
Bartolomea
Armina,
lasciando
a
questa
per
memoria
un
fiorino
e
una
veste
nera,
a
quello
2
fiorini
(d'oro):
a
Giacomo
sudetto
4
ducati
e
il
regno,
ossia
la
caparra,
che
teneva:
ed
«al
Notaro
1
fiorino.
Ricorda
due
altri
Frati
armeni
senza
indicare
se
abitassero
o
no
nella
stessa
casa,
all'
uno
di
nome
Vielme
lascia
4
D.,
all'altro
Ezechiele,
2
D.
Fra
le
altre
persone
del
suo
sesso
cita
Zabel
(Isabella),
Rome
in
gran
uso
sotto
il
dominio
dei
Rupeniani
nell'Armeno-Cilica,
e
le
lascia
il
suo
mantello
e
la
tunica
alba,
e
sopra
più
un
D.
–
Calli
abitatrice
della
casa
stessa,
a
oui
lascia
i
suoi
panni
e
16
soldi
di
piccoli:
-
Francisca
Armina,
la
quale
abitava
a
S.
Biagio,
riceverd
un
fio
rino.
Giova
notare
questo
sito
ove
forse
si
trovava
altro
ricovero
armeno.
-
Come
buona
cristiana,
prima
di
tutto
Maria
dà
la
decima:
«In
primis
omnium
rectam
dimitto
decimam»:
lascia
due
D.
ai
sacerdoti
di
S.
Giuliano,
per
dir
messe;
cosi
pure
due
D.
a
quelli
di
S.
Marco;
-
alle
monache
di
S.
Zaccaria
1
D.
Si
ricordi
che
quel
monastero
fu
fondato
coll'
elargizione
d'un
Imperatore
armeno
e
che
nei
ultimi
secoli
vi
si
trovavano
vergini
armene,
può
oredersi
che
sene
trovasse
alcuna
anche
al
tempo
della
te
statrice.
–
Per
il
restauro
della
casa
armena
lascia
8
fiorini.
Rivolgendo
gli
occhi
più
lontano
vede
Maria
altri
ospizi
na
sionali
nelle
città
consorelle,
e
da
brava
patriota
lascia
a
quelli
di
Bologna,
di
Perugia,
di
Siena,
di
Genova
a
ciascuno
2
D.
o
fiorini:
a
quello
di
Civita
Vecchia
(Urbe
Veteri)
1
D.
-
Notevole
e
cospicuo
fra
i
beneficiati
viene
a
galla
l'Arcivescovo
Armeno,
a
cui
regala
i
D.
30
imprestati
dal
monsignore,
ed
anche
il
pegno;
e
soprapid
10
fiorini:
peccato
che
non
ne
cita
il
nome,
ma
è
assai
notevole
la
semplice
appellazione
di
Arcivescovo
degli
Armeni,
quasi
che
questi
avessero
a
Venezia
o
in
qualunque
parte
d'Italia
un
loro
proprio
vescovo;
sappiamo
d'altronde
che
in
fatti
vi
era
a
quei
tempi
un
Vescooo
d'Ilalia
armeno
di
nome
Tommaso,
il
qualo
una
volta
mandava
da
Venezia
al
suo
Patriarca
(Costan.
tino)
certe
porgamene,
e
poi
moriva
e
veniva
sepolto
a
Perugia
(l'anno
1385).
Essendovi
un
intervallo
di
44
anni
fra
le
dato
mortuarie
del
vescovo
Tommaso
e
di
Maria,
è
probabile
che
fosse
un
altro
vescovo
a
cui
lasciava
non
solamente
i
suoi
debiti
e
una
somma,
ma
si
noti
bene,
anche
tre
Padoni;
e
de
aveva
altri
Maria,
perchè
lascia
uno
al
prete
Giacomo,
uno
a
D.
Francisco
Custode
di
S.
Marco,
e
un
altro
in
pro
della
sua
anima:
dietro
questi
saperbi
uocelli
venivano
senza
dubbio
più
comuni
dallo
bassa
corto
della
buona
massera,
la
quale
ordina
di
farne
un'ecatombe,
un
agape
nel
giorno
della
sua
morte:
e
«De
omnibus
meis
galinis
fiat
una
charitas».
Un
altra
carità
ancora
di
10
D.
per
la
sua
anima,
seconco
l'ordinazione
dei
suoi
commissari:
similmente
ordina
di
fare
del
residuo
dei
suoi
effetti;
e
cið
mostra
che
non
avendo
altro
propinquo,
faceva
erede
l'anima
sua.
-
Era
per
altro
conveniente
destinare
qualche
cosa
anche
per
il
suo
corpo
esanime;
ed
ecco
che
ordina
–
e
afferma
ciò
che
poco
prima
cer
cavamo,
cioè
che
c'era
un
cimitero
armeno
a
S.
Giorgio
–
là
fra
i
suoi
nazionali
voleva
Maria
riposare
per
sempre,
lasciando
a
quei
religiosi
Benedettini
2
D.
per
messe,
e
un
gran
Doppiere
per
ac
cender.
candele
davanti
al
Santissimo:
«Pro
illuminazione
Corporis
Cristi»:
ne
ordinava
un
altro
simile
per
la
chiesa
di
S.
Giuliano.
Queste
ultime
disposizioni
della
nostra
testatrice
dimostrano
indirettamente
che,
benchè
ci
fossero
preti
e
vescovi
Armeni
a
Venezia,
non
si
celebrava
allora
messa
nell'ospizio
armeno,
o
che
vuol
dir
lo
stesso,
non
vi
era
stabilita
cappella
regolare:
e
se
quei
due
Frati
armeni
beneficiati
(Vielmo
e
Ezechiele),
erano
sacerdoti
come
è
molto
probabile,
doveano
celebrare
in
qualun
que
altra
chiesa.
E
ancora
da
notare
che
non
solamente
non
si
parla
nel
testamento
di
S.
Croce
degli
Armeni
(ricordata
nei
secoli
posteriori)
ma
neanche
di
quei
frati
Armeni
di
S.
Giov.
Battista;
o
perchè
non
erano
ancora
stabiliti
a
Venezia,
o
perchè
quei
due
nominati
(Vielmo
e
Ezechiele)
erano
appunto
di
quelli
di
8.
Giov.
Batta;
altrimenti
non
poteva
dimenticarli
l'ingevus
Maria
armina
massera
della
casa
degli
Armeni;
alla
cui
buon’anima
ed
a
quelle
che
seco
lei
dormono
nelle
placide
ombre
dell'isola
benedettina
sia
sempre
pace!
Egualmente
a
quelle
anime
dei
loro
antichi
corrispondenti;
che
per
i
capriciosi
destini
del
mondo,
emigrati
dalle
patrie
onde
di
questa
vezzosa
Venezia
lasciarono
i
loro
avanzi
terreni
all'ombra
(pur
troppo
sparita)
di
un
al
tro
8.
Marco,
sulle
spiaggie
ormai
deserte,
abbandonate
insel
vatichite
dell'alleata
Armeno-Cilicia,
sia
Pace!
[1]
Sentiamo
lo
stesso
Polo.
«
Il
prefato
Legato
eletto
Papa,
o
so
misse
nome
Gregorio
Decimo;
qual
considerando
che
al
presente
che
l'
era
fatto
n
papa,
poteva
amplamente
soddisfar
alle
dimando
del
Gran
Chan,
spaced
„
immediate
sue
lettere
al
Re
d'Armonia,
dandoli
nuova
della
sua
elettion, ,
et
pregandolo
che
se
li
duoi
ambassadori
che
andavano
al
Gran
Chan
non
fossero
partiti,
si
facesse
ritornare
a
lui.
Queste
lettere
le
trovarono
ancora
in
Armenia:
li
quali
con
grandissima
allegrezza
volsoro
tornare
m
in
Acri;
et
per
il
detto
Re
li
fu
data
una
galea
et
un
ambassador,
che
n
si
allegrasso
con
il
nuovo
Pontefice:
alla
presenza
del
quale
ginnti,
the
rono
di
quello
ricevuti
con
grandi
honori".
[2]
La
capitale
del
Re
Armeno
era
e
fu
sempre
conosciuto
col
nome
di
Sis
o
rare
volte
Sissuan.
[3]
Veggui
nel
Cartulaire,
pag.
136.
[4]
Frescobaldi
Nicold
e
Gucci
Giorgio,
nei
loro
Viaggi
in
Terra
Santa.
Ultimamente
furono
fatto
al
Cairo
indagini
e
scavi
nell'antica
chiesa
ove
supponovasi
esser
sepolta
questo
Regina
Armona;
ma
non
si
trovo
traccia.
È
da
credere
che
Loone
V
tornato
alla
liberté,
abbia
fatto
traspor
tare
i
resti
della
compagna
de'
suoi
amori
e
dolori,
o
a
Gerusalemme
o
in
Occidente,
benchè
non
ne
parlino
ne
i
cronistri
che
ci
hanno
tramandate
tanto
notizie
intorno
a
lui,
né
la
Cronica
d'
Armenia
del
Dardel
rocento
monte
scoperta,
che
ha
scritto
lungamento
del
regno,
della
schiavitù
e
della
liborazione
di
Loone,
ma
che
non
parla
ponto
della
morte
della
Regina.
[5]
L'erudito
D.
Rossi
citando
l'accidente,
ta
questa
riflessione :
“Per
antico
Privilegio
i
mercanti
Armoni
dimoranti
in
Venezia
avevano
il
loro
cimitero
d'
intorno
al
Campanile
di
8.
Giorgio.
Veggonsi
ancora
alcune
lapidi
con
iscrizioni
in
quel
linguaggio
formate:
ma
molte
altre
furono
c&
nato.
posto
appanto
nella
fondamenta
del
nuovo
companile.
Potrebbe
sac
codere
che
scuoprendosi
nei
secoli
futari,
facessero
impazzire
qualche
antiquario
n.
Cicogna,
Inscriz.
Venez.
IV.
216.
Questo
celebre
autore
delle
Insorizioni
cita
da
an'opera
manoscritta
di
D.
Marco
Valle
(De
Monasterio
di
S.
Giorgio)
la
caduta
della
campana :
"
Anno
1698
cocidit
campana
maxima
super
marmoria
lapides
ubi
Arme
dioram
sopultura".
[6]
Lo
molto
scritture
di
quel
tempo,
e
pid
recenti
ancora,
si
vede
il
nome
Armono
scritto
Armino,
o
qualche
volta
Brmeno,
Ermenia.
Ma
è
più
notevole
(diciamo
di
passaggio)
in
Venezia
l'uso
del
nome
Armenia
come
nome
proprio
o
battesimalo
posto
allo
bambine:
nei
Registri
di
Battesimi
e
di
matrimoni
delle
chiese,
dalla
metà
del
secolo
XVI
alla
metà
del
XVI,
se
ne
trovarono
oltre
a
quaranta
esempi,
senza
confonderli
col
nome
Arminia
o
Erminia.
Non
potrà
anche
questo
servire
per
indizio
d'amicizia
e
di
simpatia
fra
i
Veneziani
e
i
loro
ospiti
commercianti?